Riccardo Sorrentino, IlSole24Ore 23/01/2013, 23 gennaio 2013
FEDERAL RESERVE E NIPPON GINKO HANNO SPAZI PIÙ AMPI DI MANOVRA
Crescita o inflazione? Indipendenza o no? La decisione della Nippon Ginko di Tokyo riapre discussioni mai sopite, sul ruolo delle banche centrali e i loro poteri.
Un equilibrio impossibile
In tempi normali - non in Eurolandia, oggi - la politica monetaria ha un effetto immediato e a volte persino anticipato, sui mercati finanziari; dopo almeno sei mesi sull’economia reale; e dopo un paio d’anni, sui prezzi. Si discute - per molti economisti è un dogma - se gli effetti sulla crescita siano "azzerati" man mano che emergono quelli sui prezzi. Il ritardo con cui si manifestano gli effetti sull’inflazione la rende comunque l’obiettivo critico, e praticamente tutte le banche centrali per evitare di gonfiarla troppo stimolando la crescita si concentrano sulla stabilità dei prezzi.
L’enfasi è però diversa: la Fed, per legge, deve tener conto anche dell’occupazione e a dicembre ha così scelto di mettere un po’ tra parentesi l’inflazione. La Bce, per il trattato istitutivo, ha il mandato prioritario di tener stabili i prezzi. La Nippon Ginko ha sempre rivendicato con forza libertà d’azione, ma malgrado due decenni di deflazione ha mantenuto stretti i cordoni della liquidità. Al punto da essere criticata persino da un "rigorista" come Milton Friedman, il fondatore del monetarismo, in genere associato con politiche molto rigide. Anche ieri la Banca del Giappone ha spiegato che l’obiettivo di inflazione sarà perseguito con flessibilità. Nel mondo accademico si discute oggi sulla possibilità di scegliere un altro obiettivo (sempre monetario), il livello del Pil nominale, che darebbe un po’ di libertà durante le recessioni senza essere costretti ad alterare le regole di fondo, che per essere credibili devono essere cambiate il meno possibile.
Una guerra paradossale
Se la politica monetaria ha un effetto immediato sui titoli finanziari, lo ha anche sui cambi. Le banche centrali evitano però di parlare delle valute, quando sono fluttuanti, perché il mercato va sempre "oltre", tende a strafare, e salvo casi molto particolari - come un tetto massimo, per esempio - ogni obiettivo sarebbe mancato "per eccesso". Solo la Nippon Ginko, in passato, è riuscita a governare la sua valuta con interventi mirati sui mercati, attività in cui aveva acquisito grandi capacità di manovra. Il rischio di perdere, nel gioco contro gli investitori, è però cresciuto nel tempo e ha consigliato sempre più prudenza: solo interventi coordinati tra tutte le banche centrale possono davvero avere successo.
Le autorità monetarie sono così costrette a contrastare una tentazione molto forte per le élites politiche ed economiche: una valuta più bassa tende a sostenere l’export, anche se occorre che prezzi e salari restino fermi perché l’effetto sia pieno e duraturo. La svalutazione, però, aumenta il costo delle importazioni - si pensi al petrolio - e questo, a parte un effetto temporaneo, "rovina" nel tempo il gioco. Nel 2008, spiega Lars Christensen di Den Danske Bank, la Svezia lasciò deprezzare la corona e la Danimarca restò agganciata all’euro. Le performances dell’export, però, non furono così diverse, e se Stoccolma fece "meglio" fu solo grazie alla domanda domestica, sostenuta da tassi più bassi.
Una svalutazione determina anche, e subito, un deflusso di finanziamenti, in cerca di "rischi" più elevati e remunerativi e di monete in apprezzamento: quanto hanno inciso le politiche espansive di Fed e Banca del Giappone, ci si può chiedere, sul miglioramento degli spread in Eurolandia? E se le cose vanno così, si può davvero parlare di una guerra delle valute? Sarebbe una guerra davvero paradossale.
Indipendenti? Da chi?
I partiti politici in carica hanno spesso la tentazione di usare l’arma monetaria, la più rapida ed efficace, come strumento per garantirsi la rielezione. Strutturalmente e naturalmente in debito, come le aziende, i governi amano poi l’inflazione che rende più semplice rimborsare i prestiti.
Si è così deciso di sganciare le banche centrali dagli interessi politici, ma solo quelli di breve periodo: sono comunque le leggi a indicare i grandi obiettivi, mentre i governatori sono scelti dal mondo politico - che a volte decide il "tetto" di inflazione - e devono dar conto del loro operato ai parlamenti. La moltiplicazione degli obiettivi (inflazione, occupazione, stabilità finanziaria) e l’assenza di target espliciti fanno però calare molta nebbia attorno alla Fed e alla Nippon Ginko, molto potenti dunque, rendendo complicato valutare il loro operato.