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 2013  gennaio 23 Mercoledì calendario

TOKYO CONTRO DEFLAZIONE E SUPER YEN

[Governo e Banca centrale fissano al 2% l’obiettivo del costo della vita] –
«Un accordo di portata storica»: così il nuovo premier giapponese ha definito l’intesa raggiunta con la banca centrale per creare inflazione, fissando come obiettivo congiunto un aumento annuale dei prezzi al consumo del 2% da raggiungere «il più presto possibile» ponendo quindi fine alla deflazione.
La Banca del Giappone, come previsto, ha concordato di passare dal modesto obiettivo di massima («medo») dell’1% sull’inflazione introdotto con riluttanza lo scorso febbraio a un vero target («mokuhyou») del 2%, accettando anche di segnalare come permanenti gli stimoli monetari all’economia: il programma attuale di acquisto addizionale di asset (al di là dei normali acquisti annuali di titoli di stato per 21.600 miliardi di yen) – in scadenza a fine anno – sarà rimpiazzato da un piano senza limiti temporali per nuovi acquisti mensili da 13mila miliardi di yen, che dal gennaio 2014 porterà a un ampliamento complessivo dello shopping per 10mila miliardi di yen (e in seguito dovrebbe rimanere «sugli stessi livelli»).
Il governatore Masaaki Shirakawa si è cautelato facendo sottolineare che il raggiungimento di quello che ha voluto chiamare «target di stabilità dei prezzi» del 2% (un ossimoro) è responsabilità anche del governo, che dovrà varare riforme e garantire la sostenibilità fiscale. I mercati, che già hanno spinto la Borsa al rialzo di un quarto e lo yen al ribasso di circa il 15% negli ultimi due mesi, hanno reagito in senso contrario «sulla notizia»: il Nikkei ha perso lo 0,4% dai massimi da quasi 3 anni, mentre la valuta si è mossa al recupero su dollaro e euro (anche perché in molti si attendevano un aumento immediato degli acquisti di titoli).
Nella sostanza, la Banca del Giappone si è piegata alla richieste di un esecutivo che intende rilanciare l’economia attraverso le due classiche ricette del Partito liberaldemocratico: la spesa pubblica e il cambio debole che favorisce le esportazioni. Sul primo punto, Abe può fare da sé: con la sua larga maggioranza parlamentare è in grado di varare una maximanovra di stimolo fiscale dal valore diretto di 10.300 miliardi di yen, mettendo la sordina alle preoccupazione sul livello del debito pubblico in quanto i tassi restano per ora molto bassi. Sul secondo punto – invocato a gran voce dal mondo industriale – il premier di un governo «business friendly» ha bisogno che la banca centrale rincorra la Federal reserve con una politica monetaria sempre più espansiva e ha minacciato l’indipendenza della BoJ nel caso remasse contro. Abe non ha più bisogno di cambiare la legislazione attuale che garantisce l’autonomia della Nippon Ginko, anche perché tra marzo e aprile scade il mandato di ben tre membri del suo Board (governatore compreso) e potrà cercare di pilotare le nuove nomine verso personaggi "reflazionisti".
Al dunque, la futura intensità delle pressioni governative sull’istituto centrale perché con ulteriori allentamenti monetari si acceleri il raggiungimento di un target di inflazione che il Paese non vede dal lontano 1997 dipenderà dal livello del cambio: se lo yen non dovesse tornare ad apprezzarsi, l’iniezione di inflazione nell’economia non parrà poi così urgente, tanto più che non pochi esperti avvertono su alcuni effetti indesiderabili della ripresa dei prezzi al consumo in vista della probabile continuazione del ristagno di salari e potere di acquisto (gli industriali hanno già detto di non volere aumenti del costo del lavoro nella tornata primaverile di negoziati sindacali). «In sé – dice una fonte giapponese ben informata – il target di inflazione è un falso scopo. È necessario che nel secondo trimestre (e oltre) l’economia sia in ripresa per l’ok definitivo al rialzo dell’imposta sui consumi dal 5% al 7% nell’aprile 2014, indispensabile per la sostenibilità fiscale. Pochi l’hanno notato, ma la stessa BoJ ha pronosticato che, dopo questo rialzo, i prezzi al consumo saliranno quasi al 3%. Altrimenti, prevede, resteranno sotto l’1% anche a fine 2014».