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 2013  gennaio 19 Sabato calendario

ATTENTI A QUESTE DUE

È difficile interrompere una conversazione, e cominciare un’intervista, quando due signore stanno chiacchierando di gatti. O meglio, di gatte. Persiane, quindi superbe e vanitose come Nanà, «che non smetteva di specchiarsi sulla toeletta nemmeno mentre la coda, passata su una candela, le prendeva fuoco». «Anche Coco è un fenomeno, non miagola mai. Però morde. Pensa, ho conosciuto anche i suoi genitori ». Così non se ne esce. Provo a interrompere il fiume felino con il motto di Madame de la Ferté, a sua volta citata da Franca Valeri nell’autobiografia Bugiarda no, reticente (Einaudi): «Le donne non hanno capito che i gatti sono più belli di loro». «Lo sa, vero, che quella citazione me la sono inventata? E anche la scrittrice. Ma mi sembrava degna di diventare storica, ecco». Grandi risate. Ed è giusto cominciare così: con l’ironia di due grandi protagoniste della comicità italiana e la vanità. Felina, ma soprattutto umana.
Vanità e ironia: una felice convivenza? Franca Valeri: «Una persona ironica ha diritto anche alla vanità».
Lella Costa: «Poi un vanitoso, se è davvero ironico, sa essere anche autoironico. Detesto il luogo comune per cui la persona ironica deve essere trascurata nell’aspetto, un po’ spettinata e sciatta: vanità e ironia credo che siano una bella formula capace di rendere una persona amabile». (Breve pausa. Attesa. La stoccata di Franca Valeri è nell’aria)
FV: «In fondo l’ironia è una forma di snobismo! ». (Il pianista Arturo Benedetti Michelangeli disse che, per avere idea di cosa fosse il senso del ritmo, occorreva prestare attenzione alle pause nei monologhi di Franca Valeri).
LC: «In epigrafe al mio librino (Come una specie di sorriso, Piemme, ndr) cito Romain Gary che dice una cosa molto simile: “L’ironia è una dichiarazione di dignità. L’affermazione della superiorità dell’essere umano su quello che gli capita”. L’ironia non fa sempre ridere. Ti pare?» FV: «I comici che non sono ironici magari fanno ridere le folle, non me».
LC: «Il pubblico deve poter riconoscere nelle battute qualcosa che già sa e scoprire anche qualcosa che lo sorprende. Forse c’è proprio una sorta d’incompatibilità tra l’ironia e la comicità dei grandi numeri, perché questa per natura deve essere più immediata, semplice, banale».
È solo una questione di differenza tra teatro e tv, o è un fenomeno legato anche ai tempi?
FV: «La stampa insiste a parlare di come sono cambiate le donne. E io, dentro di me, penso che non sono cambiate per niente. I giovani ridono ancora come pazzi di fronte alla Signorina Snob».
LC: «Perché il tuo pensiero, mai banale, sopravvive alle mode. Non ti sei mai occupata dell’attualità in senso stretto, ma di contemporaneità. Una lezione che spero di aver messo a frutto anch’io».
È per questo che Le donne, scritto molto tempo fa e ripubblicato ora da Einaudi, funziona ancora?
FV: «“Molto tempo fa”… E diciamolo cinquant’anni fa! Nella mia commedia Mal di madre ero una paziente seccata dall’uso ipocrita che il medico faceva dell’aggettivo “anziana”. A un certo punto esplodevo: “Basta con questa parola assurda! Vecchia! Io sono vecchia!”».
La Signorina Snob è sopravvissuta alla borghesia?
FV: «Che non ci sia più la borghesia è azzardato dirlo. Si è spaventata: finge di essersi assuefatta ai cambiamenti».
LC: «Però molte cose sono irrimediabilmente cambiate. Penso al titolo della tua autobiografia: che splendido esempio di riservatezza! Se c’era una cosa, a Milano, di cui ci si vantava con sobrietà era la sobrietà. Non ti manca un po’?».
FV: «Quella pudicizia ai limiti dell’ipocrisia, sì. Roma è tutt’altra cosa. Dopo più di mezzo secolo, questa città non ha scalfito neanche un po’ la mia milaneseria».
LC: «Be’, a inizio carriera ti ha accolto benissimo anche Parigi, che non è poco… ».
FV: «Il pubblico ha un qualcosa che l’accomuna, al di là della lingua in cui reciti e del paese in cui vai in scena».
LC: «Ecco, io ammiro tantissimo in te questo non aver mai rinunciato alla complessità, anche quando hai dato vita ai tuoi personaggi».
FV: «Ciascuno ha la propria specificità. Tu, ad esempio, hai un’acutezza del sorriso, come dice il titolo del tuo libro, che è solo tua e non te la leva nessuno».
LC: «Scusa, ma devo proprio rubare il mestiere al giornalista e farti una domanda musicale…».
FV: «Non ti scusare, cara. I giornalisti ormai non fanno più nemmeno le domande: ti mettono il microfono davanti e più tu parli, più sono contenti perché hanno meno da lavorare». (Ridiamo. Io getto uno sguardo al mio quadernino con tutte le domande preparate e ancora non fatte)
LC: «Quand’è incominciata la tua passione per la musica?»
FV: «Da bambina una coppia di amici dei miei genitori mi portava alla Scala. Diventavo pazza. Ero disposta ad alzarmi per andare a scuola senza insultare la cameriera, come tutti gli altri giorni. Poi mio padre ha assecondato questa mia curiosità regalandomi dischi di opere».
Nella sua autobiografia lega ai ricordi scaligeri un vestito fucsia che suo padre le aveva portato da Parigi…
FV: «Il vestito è importante, ha un significato. Quando dico che certe regie mi danno noia, mi rispondono: “Non sei moderna”. Oggi si sente troppo il bisogno di attualizzare. Ma l’autore prevedeva di essere comprensibile anche ai posteri! A che serve far diventare i ragazzi della Bohème dei tossicodipendenti? È inutile vestire dei cavalieri del 700 in pelle: va tutto a finire nella pelle...». A
proposito di pelle, il rapporto tra maschera comica e chirurgia plastica?
FV: «La maschera comica attinge al surreale, una faccia plastificata è solo penosa ».
LC: «Qualunque maschera per essere espressiva deve essere speciale, riconoscibile. La bellezza vive della propria unicità. Il fotografo Bob Krieger mi riportava un aneddoto della figlia di un’amica, che un giorno le chiese: “Mamma, ma com’è che le tue amiche son tutte parenti?”».
FV: «Se io sembrassi una bambola, tutti direbbero: guarda quella vecchia come s’è conciata! La chirurgia non toglie l’età. Le donne veramente belle che si lasciano invecchiare, acquistano una bellezza nuova, speciale. Mia madre era una di quelle, bellissima anche da vecchia».
Quanto ha contato per voi la capacità di stare da sole in scena e come autrici?
FV: «È un’attitudine improntata alla libertà, non è una scelta culturale. Ci sono molti personaggi bellissimi di fronte ai quali però riconosco che io per natura non saprei farli».
LC: «Sottoscrivo. Spesso mi chiedono se non ho voglia recitare una parte, che so, la bisbetica domata… Ma non è la mia strada. Forse sono romantica, ma credo che qualsiasi creazione artistica debba nascere da una necessità».
FV: «Il nostro è un mestiere molto pericoloso ».
E infatti ha avuto coraggio a partecipare all’occupazione del teatro Valle di Roma...
FV: «È lì che ho debuttato nel ’47. L’avevano ridotto agli stracci. Questi ragazzi hanno avuto un gran coraggio; ma adesso devono farlo funzionare e dargli una programmazione vera e propria».
LC: «Io ho vissuto un’esperienza simile con l’occupazione della torre Galfa a Milano, Macao. Lì ho capito che ci vuole sempre molto rispetto: non arrivare con soluzioni preconfezionate. La mia generazione potrebbe fare un passo indietro».
Siete entrambe grandissime lettrici. Come vi staccate da quel che avete letto quando scrivete per il teatro?
FV: «A un certo punto si smette di leggere e si comincia a essere colti. Intendo dire che si continua a leggere, ma non con lo stesso atteggiamento famelico. Col tempo le letture diventano la tua cultura. Non te ne stacchi mai, sono parte di te».
Qual è quel pezzo teatrale che rubereste a un altro?
LC: «Qualunque cosa di Shakespeare».
FV: «Sono stata anche tentata di attaccarmi a qualcosa scritto da altri. Ma è risultato impossibile: senza quel mondo, mi sembrava che tutto perdesse senso ».
Cosa pensate degli esiti comici della politica e dei comici in politica?
FV: «Quando la realtà diventa comica è disgustosa».
LC: «Berlusconi una volta ha detto il “mio pubblico”, invece di “il mio popolo”. Un lapsus significativo. Dovremmo chiedere i danni: ci vorrebbe una class action dei comici veri contro i comici dilettanti prestati alla politica».
FV: «Mai fatto uno sketch politico, io. Erano bravi i francesi, una volta».
LC: «Anche da noi c’è qualcuno che centra meravigliosamente il bersaglio. Fiorello, in radio, il giorno delle dimissioni del premier, disse che fuori da Palazzo Grazioli c’era “la bandana a mezz’asta”. Per me è la battuta definitiva sul ventennio berlusconiano».
FV: «Buona».