Gianluca Nicoletti, La Stampa 23/1/2013, 23 gennaio 2013
QUANDO ERAVAMO TUTTI FINANZIERI
Ricordo che quando iniziò il 1986 ancora ci cullavamo sulla coda lunga dell’«edonismo reaganiano», che s’era inventato l’anno prima Roberto D’Agostino.
A febbraio Arbore arrivò secondo a Sanremo, illudendoci ancora su possibili connubi gioiosi per clarinetti e chitarrine, invece poi esplose Cernobil. Gli isotopi radioattivi occuparono tutta il nostro immaginario con quella nube che ci portò una mattina di aprile, da sempre il mese più crudele. Tutti ci sentimmo contaminati. Fu vietata l’insalata, ma soprattutto il latte fresco, iniziò l’assalto ai supermercati per accaparrarsi quello a lunga conservazione o in polvere.
Nonostante i momenti di panico da carestia, fu anche l’anno in cui tutti giocavamo in Borsa, a maggio l’indice Mib toccò il massimo storico, così ci inventammo finanzieri. Dalle portinerie ai piani alti, agli uffici, agli oratori, fummo rapiti in pomeriggi al cardiopalma, con colleghi e parenti, inchiodati davanti a Televideo. Penna e foglietto in mano, per prendere appunti, impegnati in discussioni da bar dello sport, ma sui movimenti di Borsa.
Lo stipendio medio di un operaio era 600 mila lire, un caffè costava 400 lire la benzina 1280 lire al litro. Fu l’anno che a Roma nevicò a febbraio, come non accadeva da secoli. Allora il biglietto dei mezzi pubblici costava 600 lire, non c’erano grandi fisime automobilistiche, ancora giravano i vecchi Maggiolini, le 500 e le Dyane. Tutti simboli di flussi ideologici oramai sovrascritti. La 126 costava 5.650.000 e la Panda 750 (appena uscita) 7.251.000, allora erano utilitarie considerate ottime per muoversi in città, anche per giovani professionisti in carriera. I neonati «paninari» segnarono il vero inizio della latitanza di ogni impegno ideale, il pensiero dei giovani iniziò a investire nella luccicante cornucopia dell’immagine; vera luciferina promessa della tv commerciale. Eppure fu l’anno di Gorbaciov, del maxi processo di Palermo, della guerra tra America e Gheddafi, che sembrò quasi coinvolgerci con i missili libici che lambirono Lampedusa. Fu anche l’anno della giustizia, seppur amara, per Enzo Tortora, finalmente proclamato innocente.
La chimera dei Mondiali del Messico, poi vinti dall’Argentina, accelerò la ponderata decisione dell’acquisto di un videoregistratore, solo attraverso lunghe riunioni di famiglia, perché la spesa di mezzo milione circa era considerata voluttuaria. Sanciva però uno status: chi l’aveva non era più schiavo del palinsesto, in più poteva invitare amici a casa, per vedere i pochi film che si affittavano nelle videoteche. La scelta dello standard era opzionabile. I puristi ancora resistevano sul migliore
Betamax, che vide il netto sorpasso del più commerciale Vhs, caldeggiato dai più dissoluti tra i maschi di casa, solo perché offriva maggiore scelta di cassette zozze, soprattutto con Cicciolina.
Il personal computer si usava soprattutto per scrivere e creare data base, arrivò il primo Pc compatibile Amstrad, che costava in Italia circa un milione di lire ed era venduto abbinato a una stampante ad aghi. Nel 1986 da solo due mesi era entrata in funzione, a Roma e Milano, la nuova rete Rtms (Radio telephone mobile system), ma il telefono in auto era una spesa nemmeno valutabile per i comuni cittadini. Solo le aziende e qualche vip potevano permetterselo.
I più tecnologicamente avanzati, al massimo, facevano crepare d’invidia gli amici con l’effetto speciale di una segreteria telefonica. Non incideva poco sul budget mensile, per risparmiare si prendeva quella «non omologata», costava almeno 200 mila lire, per il modello che permettesse il riascolto a distanza dei messaggi ricevuti. Si azionava un ridicolo apparecchietto che produceva un cicalino, da inviare tramite la cornetta di un telefono pubblico. Funzionava una volta su dieci, ma suscitava grande ammirazione richiamare ostentando la frase: «Sono fuori, ma vedo che mi hai cercato a casa…» Twitter non esisteva nemmeno nei pensieri, ma si riuscì comunque a sopravvivere.