Ugo Bertone, Libero 22/1/2013, 22 gennaio 2013
ARIA DI «BAD BANK» ANCHE IN ITALIA
[Secondo gli ispettori del Fondo monetario il perdurare della crisi può far crescere pericolosamente le sofferenze sui mutui dei nostri istituti. E si fa strada l’ipotesi di girare allo Stato i debiti-spazzatura] –
In Borsa le banche stanno andando a mille. Exane, premiata ditta di analisi finanziaria d’oltralpe, si spinge a dire che il 2013 decreterà il rientro dall’emergenza per l’intero sistema bancario di casa nostra, su cui continua a gravare la diffidenza di una parte (sempre più esile) di scettici. Eppure, all’apparire degli ispettori del Fondo Monetario nella City meneghina per verificare la solidità dei crediti delle banche nostrane (analoga missione si è tenuta tra Roma e Siena prima di Natale), i banchieri non nascondono una certa preoccupazione. Anche perché il viaggio degli 007 di madame Lagarde cade a meno di venti giorni dall’atteso meeting di Bergamo, quando alla vigilia delle elezioni toccherà al governatore Ignazio Visco dettare la linea in materia bilanci, accantonamenti (tanti), dividendi (pochi) e, magari, aumenti di capitale che i banchieri vivono come una sorta di punizione infernale. Ma, visto che non c’è limite al peggio, si fa perfino strada l’ipotesi cara ai mercati di una bad bank alla spagnola, in cui infilare tutti i crediti inesigibili. Una bella soluzione, in teoria, ma un salasso per i contribuenti (e le banche) quasi intollerabile. Oltre che un’altra spallata alla credibilità del Paese.
Questo nel caso peggiore, del resto assai improbabile. Ma perché, c’è da chiedersi, c’è questa diversa percezione da parte della Borsa e dei vari regolatori? Marco Onado, autorità indiscussa in materia di banche e mercati, la spiega così al sito finanziario Firstonline. «Il rialzo dei titoli in Borsa – spiega – è stato soltanto l’effetto meccanico del recupero dei Btp. Più scende lo spread, più salgono le quotazioni delle banche». Ma la meccanica non è tutto. «La vera questione - spiega il bocconiano doc – è l’ammontare degli accantonamenti. Lo scorso anno, parlo del 2011, il totale fu superiore alla somma del 2009 e del 2010. Se il trend proseguirà nei bilanci di quest’anno, allora sarà dura». Non occorre aver la sfera di cristallo per capire che i timori di Onado sono destinati a materializzarsi presto. A novembre 2011 le sofferenze ammontavano a 121,8 miliardi ma, secondo la società di consulenza Alix partners, la cifra andrebbe aumentata di altri 23 miliardi. Per la cronaca, il totale del 2010 era di 75 miliardi. A fronte di queste partite a rischio, negli ultimi anni, il sistema ha abbassato la soglia degli accantonamenti che ammontavano al 60,7% delle sofferenze nel 2008, ma l’anno scorso (nonostante le critiche del Fmi) non hanno raggiunto il 50%. Certo, come obiettano i banchieri, si deve tener conto che la Banca d’Italia è più severa di altri istituti centrali (vedi Spagna o Germania). E corre una bella differenza tra crediti ipotecari e chirografari. Tutto vero, ma gli ispettori temono, vista la gravità della recessione italiana, che le banche abbiano bisogno di affrontare per tempo il rischio di una caduta. Anche perché, ultimo segnale di pericolo, ci sono segnali di cedimento anche nel campo immobiliare, finora ben più solido in Italia che altrove.
Insomma, non è escluso che di qui alla primavera suoni il campanello d’allarme del Fondo, salvo interventi tempestivi. La Banca d’Italia, che ha sottoposto ad ispezione i 25 principali gruppi del Paese, in parte condivide. Certo, via Nazionale svolge la difesa d’ufficio del sistema, senz’altro più solido di altri (Germania compresa) che frenano sulla via della Vigilanza della Bce, ma la questione degli accantonamenti preme a Visco ancor più che al Fmi. Il governatore ha già fatto sapere, in via informale, ai principali banchieri che non è giunta l’ora di allentare la guardia. Anzi, le risorse vanno destinate in via prioritaria a rafforzare la diga degli accantonamenti perché l’economia, ancora una volta in frenata più rapida e violenta di quanto previsto dal governo, promette brutte sorprese. Perciò, niente dividendi o quasi, nonostante le richieste delle Fondazioni che si sono dissanguate per rimpolpare le casse dei Big senza cedere il controllo oltre frontiera. Per questo, in attesa del responso di primavera del Fmi(che opera in pieno accordo con Banca d’Italia) cresce la tensione per le parole del governatore. A Verona, due anni fa, Mario Draghi ingiunse agli istituti di fare aumenti di capitale: una linea ai tempi più criticata che apprezzata, dietro cui i maligni vedevano un gesto per compiacere la Bundesbank. In realtà, pochi mesi dopo scoppiò la tempesta sullo spread e solo l’aumento tempestivo evitò, ad esempio, a Banca Intesa di correre i guai più grossi.
La storia è destinata a ripetersi? Probabile, anche se, sottolinea Onado, i nodi del sistema hanno radici ancor più profonde. «Il problema – è la sua diagnosi – è che la crisi dell’economia colpisce le banche nel momento in cui la redditività è ai minimi storici. Di questo passo sarà inevitabile prendere quei provvedimenti in materia di sportelli e di personale che finora, per una comprensibile preoccupazione sociale, non sono stati presi». Anche questa sarà una delle grane sul tavolo del governo che uscirà dalle elezioni. Assieme, naturalmente, ai costi della frenata dell’economia, all’aumento degli oneri per far fronte agli ammortizzatori sociali e al tentativo di evitare l’aumento dell’Iva a luglio. In tutto un salasso in grado di vanificare il calo dello spread (circa 10 miliardi su base annua) che potrebbe concretizzarsi se il livello dei tassi si manterrà sui valori. Ma questo sarà possibile solo se le pagelle delle nostre banche supereranno la prova di maestri che, finora, non ci hanno fatto alcuno sconto.