Ferruccio Sansa e Davide Vecchi, il Fatto Quotidiano 22/1/2013, 22 gennaio 2013
DESIO, MILIONI SPARITI IN LUSSEMBURGO
[Un manager denunciò la rete di scatole vuote per esportare soldi. Ma venne licenziato. Operazioni fatte anche con la filiale estera di intesa] –
Decine di milioni di euro spariti con due passaggi: un acquisto di titoli high yield e un trasferimento dalla Brianfid Lussemburgo del Banco Desio alla Société europeénne de banque (Seb), la banca lussemburghese di Intesa. Milioni provenienti dall’Italia e portati oltre confine illegalmente. Su queste operazioni ha aperto un’indagine la commissione di Vigilanza sul settore finanziario (Cssf), la Consob in Lussemburgo. Ed è già stato accertato da un’altra inchiesta a Monza che parte di quei soldi sono finiti in Svizzera sul conto corrente Pinocchio e sarebbero stati usati anche per pagare tangenti a politici, fra cui Filippo Penati. Marco Bus, il numero uno di Seb-Intesa, è indagato per concorso in riciclaggio mentre Alessandro Jelmoni, un broker internazionale che gestiva in Lussemburgo il patrimonio in nero di grandi clienti italiani, è stato arrestato lo scorso maggio con l’accusa di riciclaggio. Il tutto durante la presidenza di Corrado Passera.
PRIMA ANCORA delle procure, ad aver individuato il sistema di illeciti e averlo denunciato è stato Antonio Alvarez, direttore amministrativo della Brianfid, oggi in liquidazione. In una lettera alla Ccsf e al cda spiegava di aver individuato movimenti strani dopo l’acquisto del titolo High yield. All’epoca dei fatti direttori di Brianfid erano Marco Claus e Alberto Cavadini.
Il sistema era semplice, lo stesso del caso Parmalat: Jelmoni aveva emesso un veicolo societario da far sottoscrivere ai clienti con portafogli in Lussemburgo. Una volta che questi hanno acquistato il titolo l’emittente ne ha azzerato il valore e trasferito i soldi su altri conto esteri tra cui il Pinocchio. Non solo, Alvarez minacciava, in caso di mancata adozione delle necessarie verifiche, di “risolvere i contratti di domiciliazione stipulati da diverse società con la Brianfid”. In pratica il fiume di denaro proveniente dall’estero. E citava in particolare due società: la Sequoia e la Cornier Luxembourg, affermando che erano state riconosciute commissioni di gestione anche se il revisore della Cpc, la banca svizzera di proprietà della società, aveva rilevato dei problemi di autorizzazione con la Finma, l’autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari. Alvarez si è rivolto anche all’ordine degli avvocati segnalando che l’amministratore della società, Fabio Trevisan, non era legittimato a portare avanti la gestione quotidiana dell’istituto di credito. Trevisan, del resto, è anche il legale di Jelmoni in Lussemburgo. Insomma Alvarez, con la prima lettera e in altre successive, spiegava che il sistema ledeva la maggioranza dei clienti dell’istituto. Ricevute le comunicazioni la Cssf ha avviato le indagini e ringraziato Alvarez, la Brianfid invece il 15 dicembre (a 5 giorni dalla pensione e dopo 38 anni di servizio) lo ha licenziato, tramite Gabriele Sprocati amministratore non residente.
IL MOTIVO? “Aver leso l’immagine dell’istituto”. In una lettera di tre pagine la banca spiega che Alvarez è stato ritenuto colpevole di aver “attirato l’attenzione della Cssf sul fatto che la società non rispetterebbe le condizioni giuridiche relative alla gestione quotidiana delle attività del settore finanziario”. Ancora: “La banca ritiene che i comportamenti del signor Alvarez abbiano nociuto alla società e che la minaccia di risolvere i contratti era non solo inaccettabile ma, qualora messa in atto, avrebbe provocato danni irreparabili: Alvarez sa benissimo che i contratti di domiciliazione rappresentano la principale fonte di utili della società”. I documenti, a cui Il Fatto Quotidiano ha avuto accesso, sono agli atti del procedimento in corso al Cssf che venerdì ha sentito l’amministratore delegato del Banco Desio, Tommaso Cartone che ha sostituito a giugno l’ex ad, Nereo Dacci. Il sospetto è che la controllata Brianfid abbia operato come il Credito Privato Commerciale, istituto di Lugano (oggi in liquidazione) controllato dal Banco Desio e finito nel mirino della magistratura italiana: una dozzina di manager tra il 2008 e il 2009 avrebbero costituito una associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio per aiutare clienti facoltosi a esportare 20 milioni di euro non dichiarati al fisco. L’udienza preliminare si terrà a Roma il 19 aprile prossimo. Tra gli indagati figura anche Roberto Perazzetti, direttore generale del Credito Privato ai tempi dei fatti contestati, che in un’intercettazione parlava con Dacci, allora ad, in questi termini: “Tutte le rogatorie vengono respinte una dietro l’altra. Quindi possiamo fare quello che vogliamo. I partiti vogliono mettere nella Costituzione sia il segreto bancario che la non assistenza giudiziaria. A quel punto sarò nella black list, tanto io continuerò a fare i soldi. Così, anziché avere un miliardo e quattro di raccolta, ne avremo tre e mezzo”.