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 2013  gennaio 22 Martedì calendario

Notizie tratte da: Riccardo Muti, Verdi, l’italiano. Ovvero, in musica, le nostre radici, Rizzoli 2012, a cura di Armando Torno, pp

Notizie tratte da: Riccardo Muti, Verdi, l’italiano. Ovvero, in musica, le nostre radici, Rizzoli 2012, a cura di Armando Torno, pp. 218, 18,50 euro.

(vedi anche biblioteca in scheda 2225974
e libro in gocce in scheda 2228227)

NB. I virgolettati senza fonte sono di Muti

Giuseppe Fortunino Francesco: i nomi di Verdi all’atto di nascita. [pagina 8]

La vita di Verdi, un’amarezza continua. Nelle sue opere i personaggi più tristi e desolanti sono quelli che rappresentano la sua autobiografia. [20]

La traviata, una risposta alle critiche dei benpensanti di Parma e Busseto per il fatto che, da vedovo, conviveva con Giuseppina Strepponi. Papà Germont dell’opera – il padre di Alfredo che induce Violetta a lasciare il figlio – sarebbe nella realtà papà Barezzi, il padre di sua moglie Margherita.

Prima opera di Verdi: Oberto conte di San Bonifacio, 1839. Ultima: Falstaff, 1893. Negli anni di Oberto gli ottoni non avevano pistoni, gli archi erano differenti, la buca dell’orchestra non esisteva, i teatri erano sempre illuminati. [27]

«… I Cantanti si permettevano creare (come dicono ancora i Francesi) le loro parti, e farvi in conseguenza ogni sorta di pasticci e controsensi. No: io voglio un solo creatore, e mi accontento che si eseguisca semplicemente ed esattamente quello che è scritto… Io non ammetto né ai Cantanti né ai direttori la facoltà di creare, che è un principio che conduce all’abisso» (Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi l’11 aprile 1871). [34]

Teatro alla Scala, 1854. Locandina del Trovatore (che ha debuttato l’anno prima a Roma): primo atto dell’opera, balletto, seondo atto, intrattenimenti vari, fine. Il terzo atto, quello con «Di quella pira» non c’è. [35]

La cabaletta del Trovatore «Di quella pira», scritta in Do maggiore: molto spesso si fa in Si, mezzo tono sotto, o ancora più spesso in Si bemolle maggiore, un tono sotto, solo perché il tenore «vuole fare quel famigerato acuto che deve durare mezz’ora. Però Verdi teneva molto ai rapporti fra le tonalità: non si può cambiare il colore di un’intera cabaletta solo perché si vuole cantare un acuto. È un delitto». [38]

In tutta la letteratura operistica è raro trovare arie che terminano con acuti: ne possono contenere tanti, ma la risoluzione della frase è sempre in basso. Succede anche nelle cadenze di Rossini, anche nelle grandi improvvisazioni virtuosistiche dei castrati.

Il Si bemolle acuto che chiude «Celeste Aida»: in partitura segnato pianissimo, morendo, con una tessitura orchestrale molto delicata. Solitamente invece il tenore spara l’acuto. [39]

Verdi preferiva i tempi veloci, non amava che la sua musica subisse rallentamenti a favore di un cantante o per l’indolenza di un direttore. Voleva che non si perdesse mai la tensione drammatica. [42]

Verdi e i tedeschi, che accusano gli italiani di essere il popolo dello zumpappà. Ma i cosiddetti accompagnamenti verdiani, che a volte risuonano come musica da banda, sono note che, attraverso una pulsione ritmica, creano attorno alla voce l’evocazione di una situazione drammatica interiore. «Non conosco una sola battuta di Verdi in cui ci sia un elemento di volgarità (a meno che non sia intenzionale)». [46]

Il suono verdiano è quello che ci ha lasciato Toscanini, che prima di diventare direttore d’orchestra aveva suonato il violoncello in orchestra diretto dallo stesso Verdi. [48]

Arturo Toscanini, che anche da vecchio, dopo aver diretto un concerto, tornato a casa si metteva in un angolo e sfogliava di nuovo la partitura per controllare le cose che non erano andate nell’esecuzione. [57]

Nel Macbeth (1847) Verdi chiede all’orchestra un «suono muto», al cantante una «voce soffocata». Altre indicazioni: «senza suono», «con voce oscillante». [49]

«Con voce sepolcrale»: così Violetta malata dovrebbe dire «È tardi» nel terzo atto della Traviata (ha letto la lettera di Germont padre che le annuncia il ritorno di Alfredo). La difficoltà di interpretare Violetta, nei tre atti dell’opera una prostituta, una donna innamorata, una santa. Con tre voci diverse. [57]

Teatro alla Scala, 7 dicembre 1986: Muti inaugura la stagione dirigendo la sua prima opera come direttore musicale del teatro milanese. Nabucco di Verdi. «Quando finimmo il “Va’, pensiero”, l’urlo del pubblico fu una delle cose indimenticabili della mia vita… Fare il bis poteva in qualche modo sancire il mio successo, ma sapevo benissimo che, dai tempi di Toscanini, i bis erano banditi, giustamente, perché sono un’interruzione dell’opera». Il bis si fece, il pubblico in sala apprezzò, seguirono accese discussioni. [67]

Teatro alla Scala, 3 giugno 1995: La traviata in locandina, con Muti sul podio. A sala già gremita gli altoparlanti annunciano uno sciopero dell’orchestra. Recita sospesa, boati del pubblico inferocito, Muti decide di accompagnare lui i cantanti al pianoforte. In teatro è disponibile solo un mezza coda, che sul palcoscenico, per la forte pendenza del pavimento, tende a scivolare verso la buca dell’orchestra. I macchinisti rimediano. Il corpo di ballo, che non è in sciopero, si mette tutt’intorno al pianoforte, «come in un salotto ottocentesco a Parigi». Traviata si fa così, è un grande successo, la notizia dell’esecuzione senza orchestra poche ore dopo fa il giro del mondo. [73]

Ballo in maschera, secondo atto, duetto d’amore: un accordo e un arco di poche parole per creare un’atmosfera erotica, sensuale. «Wagner ci avrebbe impiegato almeno venti muniti». [80]

Rigoletto, la più commovente ma anche la più moderna nella concezione drammatica, la più audace tra le opere di Verdi. Quando, già avanti negli anni, gli fu chiesto quale delle sue opere avrebbe salvato, rispose: «Il mio gobbo». Rigoletto, strutturato in pratica tutto su una nota: il Do naturale con cui l’opera inizia e su cui si svolge il tema della maledizione. [83]

Rigoletto conciso e veloce, Il trovatore vasto, di spazi e di suoni. Opera di pianissimi. In un punto, poco prima del finale della seconda parte, indicazione con quindici «p», quindici volte piano. Opera con l’orchestra completamente subordinata ai cantanti. Il conte di Luna, baritono, il personaggio più tragico e degno di compassione. Sua l’aria più bella dell’opera. [87]

Aida, commissionata dal khedivè egiziano Ismail Pascià non per l’inaugurazione del canale di Suez, come in genere si dice, ma per l’apertura del nuovo Teatro dell’opera al Cairo.

Verdi parte sempre dal libretto. La musica è scritta per quelle parole, è suggerita da quelle parole. Nei concertati, le parti in cui tutti cantano, al pubblico il testo risulta incomprensibile, ma direttore e cantante devono aver sempre presente il significato delle parole. [95]

Attila nel grande concertato della prima parte dell’opera: «Quell’ardire, quel nobile viso: Dolcemente mi fiedono il cor». «Io non avevo mai sentito il verbo “fiedere”… Significa “ferire”, “percuotere” e lo usa anche Dante nel Purgatorio».

Verdi chiese di essere sepolto con la partitura del Te Deum, una delle ultime cose che scrisse, tra il 1886 e il 1897.

Il Requiem, ideato dopo la morte di Rossini, nel 1869, ma composto dopo la morte di Manzoni, nel 1873, e a lui dedicato. Diretto per la prima volta dallo stesso Verdi nella chiesa di San Marco, a Milano, il 22 maggio 1874, primo anniversario della morte dello scrittore. L’accordo finale di Do maggiore (adoperato per secoli nella storia della musica come un accordo di luce, di gioia, di serenità) è un punto interrogativo: non sappiamo esattamente se siamo in Do maggiore o nella dominante di un Fa minore. [109]

Il tenore nel Requiem, che per Verdi doveva avere quasi una voce da prete (cioè il contrario di quella da tenore eroico). [113]

«Sì, sì, ancora pochi anni, forse pochi mesi, e l’Italia sarà libera, una, repubblicana… Tu credi che io voglia ora occuparmi di note, di suoni?… Non c’è né ci deve essere che una musica grata alle orecchie degli Italiani nel 1848. La musica del cannone!» (Verdi al librettista Francesco Maria Piave nell’aprile del 1848). [131]

Italianità di Verdi: nelle sue opere «traspaiono il desiderio, la passione, l’amore, il silenzio, la delusione, talvolta anche l’insolenza, l’aggressività o l’intolleranza che comunque fanno parte della nostra cultura, della nostra natura». [140]

Italianità di Verdi: nella cantabilità, nello stile italiano di cantare o di scrivere una melodia, anche se nella musica da camera giovanile si riconoscono timbri e atmosfere che derivano dal suo studio della musica austriaca e tedesca. [146]

Il corno inglese o i sei violoncelli della «Preghiera di Zaccaria», in Nabucco, strumenti inconsueti per i compositori dello stesso periodo.

«Bene, benone, benissimo, benississssimo! Jago colla faccia da galantuomo! Hai colpito! Mi par di vederlo questo prete, cioè questo Jago con la faccia da uomo giusto! Presto dunque» (Verdi al pittore Domenico Morelli che gli prospetta un bozzetto di Otello). [156]

Verdi voleva che il diapason nell’Otello fosse molto basso, 430, meno di un quarto di tono sotto gli abituali 442: «L’orecchio sente un cambio di colore più che un cambio di altezze nei suoni: Verdi lo richiedeva perché tutta la tinta dell’Otello diventasse scura e l’intera opera acquistasse un colore bronzeo. Alla Scala facemmo l’Otello con diapason 436… Per le repliche di Parigi dovemmo far fare degli strumenti apposta». [160]

Il Falstaff, un’idea di Camillo Boito per il settantaseienne Verdi: «… Avete mai pensato alla cifra enorme de’ miei anni? So bene che mi risponderete esagerando lo stato di mia salute, buono, ottimo, robusto… E sia pur così: ciò malgrado converrete meco che potrei essere tacciato di grande temerità nell’assumermi tanto incarico. E se non reggessi alla fatica? E se non arrivassi a finire la musica?» (Verdi a Boito, il 7 luglio 1889). [163]

Falstaff, l’anziano Verdi che riflette sul proprio percorso come uomo e come compositore (il quale, alla fine, chiedeva che le sue carte venissero bruciate). [165]

«Abbiamo raddrizzato le gambe al vecchio Boccanegra» (Verdi commentando la seconda versione dell’opera, perché sapeva che nella prima stesura non c’era teatralità). Nella seconda versione, il Simon Boccanegra ha passi che fanno presagire i procedimenti armonici e melodici di Mahler. [175]

«Verdi è prima di tutto un uomo di teatro… Ogni accordo, ogni croma, ogni semicroma ha una sua ragion d’essere che è sempre di natura teatrale e drammatica». [177]