Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 22/1/2013, 22 gennaio 2013
SERVONO REGOLE UGUALI PER TUTTI
L’ispezione straordinaria del Fondo monetario internazionale nelle grandi banche italiane non sembra aver provocato particolari reazioni «emotive» tra gli investitori di Borsa. Malgrado l’enfasi mediatica, soprattutto dall’estero, e le "veline" fatte circolare in Europa sulla durezza di un esame che si profila «senza sconti», i titoli dei principali istituti di credito hanno registrato, al più, un andamento contrastato: UniCredit è salita, Intesa è rimasta ferma e Mps ha perso qualcosa. Per molti osservatori, è un segno evidente che l’arrivo in Italia degli ispettori di Christine Lagarde non crea sul mercato alcuna ansia e soprattutto non cambia la valutazione d’insieme che viene data al nostro sistema bancario.
Un sistema che presenta certamente alcune debolezze strutturali (i costi sono ancora troppo elevati rispetto ai concorrenti e il numero delle filiali sproporzionatamente alto rispetto alle nuove necessità), che ha alcune situazioni problematiche da risolvere (vedi Mps e in parte il Banco Popolare) e che è relativamente più esposto di altri al rischio sovrano e all’andamento della congiuntura nazionale. Che ci sia un problema di sofferenze, inoltre, è noto a tutti. Resta però il fatto che il sistema bancario italiano è uno dei pochissimi ad essere uscito dalla crisi post-Lehman senza fallimenti, salvataggi in extremis o maxi-esborsi di denaro pubblico per sostenere le grandi istituzioni finanziarie. Un sistema, insomma, non certo perfetto (l’Eba lo ha costretto a ricapitalizzazioni per 15 miliardi dopo gli stress test) ma che se analizzato con le lenti giuste appare ancora ben patrimonializzato malgrado i morsi della recessione e quasi due anni di spread fuori controllo. Che cosa c’è allora che non va? O meglio: che cosa preoccupa il Fondo Monetario al punto di aver fatto già sapere pubblicamente di voler mettere sotto verifica la qualità del credito erogato dalle nostre banche? La risposta, e questo spiega anche l’indifferenza della Borsa all’arrivo degli ispettori, è già ben nota al mercato, alle banche e alla stessa autorità di vigilanza nazionale, la Banca d’Italia di Ignazio Visco: il problema delle banche italiane è la visione distorta che ne emerge quando si confronta la loro solidità patrimoniale con quella dei concorrenti europei. In altre parole, mettere sotto esame Bankitalia e il sistema bancario che gestisce rischia di essere un esercizio impreciso e dannoso, perchè non tiene conto delle differenze sostanziali che esistono in Europa nel metodo di calcolo della qualità dei crediti bancari. In Italia, per essere chiari, le banche devono sottostare a un insieme di regole e requisiti che non hanno paragoni per rigidità nel resto d’Europa: l’obiettivo di garantire ai risparmiatori italiani la sicurezza dei loro risparmi, insomma, è stato raggiunto dalla vigilanza imponendo alle banche regole contabili non solo onerose, ma che sulla carta le fanno apparire più deboli dei loro concorrenti. Basti pensare alle classificazioni dei crediti: l’Italia è uno dei pochissimi paesi europei ad avere ben 4 classificazioni del credito problematico (sofferenze, incagli, credito ristrutturato e credito scaduto), con parametri di copertura che secondo la stessa Abi, l’associazione delle banche, sono tra i più penalizzanti d’Europa. Un esempio? Se per erogare il mutuo su una villetta al mare (o per un nuovo capannone industriale) una banca italiana è obbligata (a titolo indicativo) a coprire il 30 o il 40% dell’erogazione con asset liquidi, a una banca francese è chiesta la metà. Il risultato è evidente: le nostre banche sono certamente le più sicure, ma questa sicurezza «nazionale» crea un’asimmetria di costi a parità di operazioni (i cosiddetti asset ponderati per il rischio) che penalizza le banche italiane e la loro redditività rispetto ai concorrenti.
In conclusione, il sistema di vigilanza nazionale adottato in Italia rende certamente più sicuro il settore bancario, ma di sicuro non lo aiuta quando viene messo sotto esame dalle autorità internazionali di vigilanza. Bankitalia ha voluto rafforzare le banche e ci è riuscita, ma se lo stesso sistema non viene adottato dagli altri Paesi si crea una pericolosissima asimmetria patrimoniale che rischia di paralizzare il credito invece di sbloccarlo. Il Fondo Monetario non sembra voler tenere conto di questa realtà, rischiando così di fornire agli investitori un’analisi distorta e conclusioni non appropriate: o si crea un «levelled field», costringono gli altri paesi europei ad applicare alle proprie banche gli stessi parametri prudenziali adottati in Italia, o non si avrà mai un’idea precisa e paragonabile di quale sia la situazione reale delle banche in Europa. Con buona pace delle «missioni straordinarie» del Fondo Monetario, della creazione di un vero mercato unico bancario e della sicurezza del credito nell’Eurozona.