Roberto Condio, La Stampa 22/1/2013, 22 gennaio 2013
PARADISO TURCHIA, NON SOLO SNEIJDER
Passare dall’Inter al Galatasaray può essere, sportivamente, un discreto declassamento. Per il resto, chi ha detto che lasciare Milano per la 10 volte più grande Istanbul e l’Italia col fiatone per la Turchia che va di corsa sia un passo indietro? Di sicuro non Wesley Sneijder, accolto ieri da re dai suoi nuovi tifosi giallorossi. Non lo pensa nemmeno chi, e sono già tanti tra calcio, volley e basket, il salto lo ha già fatto con piena soddisfazione nel recente passato. Questione di soldi, d’accordo. Ma anche di prospettive. Di impietosi confronti tra il modello sportivo europeo che funzionava meglio negli Anni 90 e poco oltre e quello oggi più in vista tra gli emergenti.
Istanbul e la Turchia sono il nuovo che avanza. Idee e investimenti, energie ed ambizioni, pubblico e privato che, a cavallo tra Europa e Asia, attirano il meglio esistente sulla piazza. Con il vantaggio non da poco di non essere geograficamente così fuori dal circuito come cinesi, arabi e russi estremi, gli altri nuovi ricchi dello sport mondiale. Arrivano da un decennio di boom economico, i turchi. Sono un Paese pieno di giovani e di entusiasmi, sempre più aperto. Dal 2003, col governo Erdogan, per uscire dal guscio hanno puntato forte sullo sport come manifesto di una Turchia in salute. Una pioggia di soldi per costruire impianti, organizzare eventi, ingaggiare campioni e, di conseguenza, provare finalmente a vincere qualcosa e a scatenare ritorni d’immagine e di afflusso turistico.
Era solo calcio o poco più, lo sport turco. Ora è molto altro. È la probabile sede delle Olimpiadi 2020, è il posto che un anno fa ha accolto un bel po’ di stelle del basket, bloccate dal lockout Nba e ingaggiate dagli unici club europei che se le potevano permettere. È diventato anche il paradiso del volley femminile: ha vinto le ultime due Champions, ha tre squadre (tutte allenate da italiani) in corsa per il tris, schiera fuoriclasse a raffica, azzurre comprese. «Una volta il top era la nostra A1 - dice Donato Saltini, il procuratore più attivo nella pallavolo -. Oggi con lo stipendio di una sola big turca da noi si fa un’intera stagione. E quel che promettono mantengono, puntualmente». Quattrini garantiti da banche e assicurazioni, da telefonia e chimico-farmaceutica ma anche dallo Stato. Che per una vittoria in Champions dà un milione di dollari di premio. Che, per mano delle federazioni, crea strutture. Come i 5 modernissimi impianti «regalati» in giro per il Paese alla pallavolo.
Adesso, dopo aver smaltito a fatica lo scandalo che nel 2010/11 portò in manette una cinquantina di protagonisti, tocca al calcio provare a guadagnare posizioni. La passione dei tifosi ha pochi eguali al mondo, le disponibilità finanziarie dei top club idem. Il 3° posto della Nazionale al Mondiale 2002 fu un fuoco di paglia. Non sembra invece esserlo la caccia al campione straniero avviata dalle leader storiche del campionato. Che sono Galatasaray, Fenerbahce e Besiktas: 49 titoli su 56 targati Istanbul, centro del nuovo Eldorado. Una volta attraeva solo gente a fine corsa, oggi può stregare anche i top player. Si vive bene, sulle rive del Bosforo. E si guadagna sempre meglio, con la mini-tassazione (il 15% sull’ingaggio netto contro il 43 italiano) che, da Sneijder in poi, può stregare chiunque. Mica solo scarti juventini come Felipe Melo o Krasic.