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 2013  gennaio 22 Martedì calendario

SCILIPOTI E RAZZI DUE PICCOLE CAMBIALI PER IL CAVALIERE


In un partito nel quale da una settimana ci si punta il coltello alla gola perché tutti i patti sono saltati, e non ci sono meriti da spendere né riconoscenze da pretendere, Silvio Berlusconi almeno un paio di cambialette le ha dovute pagare: ad Antonio Razzi e Domenico Scilipoti. Cioè a due dei personaggi più ameni della legislatura morente. Per i pochi all’oscuro delle loro biografie politiche: il giorno del colpo di mano di Gianfranco Fini (14 dicembre 2010), la coppia mollò l’Italia dei Valori nella quale era stata eletta e votò la fiducia al governo di centrodestra, per una garanzia di sopravvivenza di undici mesi. Ma proprio due cambialette piccole piccole, visto che, per rientrare in Parlamento, gli onorevoli hanno bisogno di un dono del cielo: Razzi è quarto in lista in Abruzzo, Scilipoti sesto in Calabria, entrambi per il Senato; se il Pdl non otterrà il premio di maggioranza, eventualità non prevista dai sondaggi, rimarranno appiedati.

Però, sino a pochi giorni fa, né l’uno né l’altro pareva più tanto certo nemmeno di essere candidato, in rispetto alla voga moderna: liste pulite e presentabili. Non che vantino fedine penali all’altezza; Scilipoti è persino incensurato e Razzi se la cava con una questioncella che ha a che fare col Centro regionale abruzzese di Lucerna, da lui presieduto e fondato nel 1977; ora gli affiliati sostengono che Razzi si sia messo in tasca i soldi per i terremotati, ma è un’accusa senza verifica. E però la fama di cui entrambi godono, meritata o no, pareva averli preceduti e cancellati. Scilipoti - uomo di una furbizia tutta sua - aveva pure dichiarato: «La decisione di non presentare una mia lista alle prossime elezioni politiche è maturata dal fatto che ritengo sia più importante condividere un progetto e delle idee comuni su dei temi di interesse nazionale, piuttosto che dar spazio alla mera ambizione personale di sedere in Parlamento». La traduzione è adesso più chiara: nessuna lista che tanto non me la vota nessuno, vado col Pdl e mi gioco le poche chance di rientrare in Parlamento. Il più taciturno Razzi (anche perché ha vissuto molti anni in Svizzera e pratica un italiano rudimentale) non si è sbilanciato e però ora, naturalmente, viene alla memoria quello che denunciò nel settembre del 2010, due mesi prima del ribaltone: «Si è parlato anche di pagarmi il mutuo e darmi un posto nel governo, ma la proposta più concreta è stata la rielezione sicura». Parlava del prezzo del passaggio da Di Pietro a Berlusconi. Prezzo che il Cav ha ora pagato, ma un po’ alla magliara dal momento che la svalutazione ha ridotto drasticamente il numero di posti di cui dispone.

Un po’ deve esserci entrata anche la ribellione degli abruzzesi, che un paio di giorni fa sapevano di dover ospitare non soltanto il corregionale Razzi, ma anche il messinese Scilipoti, nato a Barcellona Pozzo di Gotto e sbocciato come politico a Terme Vigliatore, dove fu consigliere comunale e pure - brevemente - assessore al Bilancio. Secondo i racconti di ieri, per quanto confusi, il presidente della Regione, Gianni Chiodi, si è messo alla testa di un drappello furente di assessori e consiglieri regionali, e pure sindaci, e ha ottenuto che Scilipoti fosse traslocato e Razzi retrocesso, per il buon nome dell’Abruzzo eccetera eccetera. Reperire l’angoletto per Scilipoti a quel punto è stato un problema. È venuta buona una Regione non così schizzinosa come la Calabria, e un posto non così comodo come il sesto. Cambialetta pagata: in tempo di crisi ci si deve accontentare.