Gabriele Romagnoli, la Repubblica 22/1/2013, 22 gennaio 2013
DELNERI, TEMPO FINITO LA STRADA SENZA SBOCCHI DEL CALCIO ALLA CEDRATA
Non appariva né triste né preoccupato. Va detto che Gigi Delneri, in arte Gino, ha nel repertorio facciale un’espressione
in meno di Clint Eastwood (con o senza cappello) limitandosi a presente o assente e a volte anche quella differenza lì sfugge. Scriverebbe Pasquale Panella: fa il feroce con i baffi che non ha da puma, con le guance gonfiate fa il precoce. Dicendo: «Vado avanti per la mia strada». Che poi era quella imboccata da Rupert Everett nell’ultima scena di “Dellamorte Dellamore”: una
carretera
interrotta su un precipizio non segnalato. Non segnalato? Ma da quanto tempo ruoti intorno al pallone, Gino? Due giorni fa il tuo presidente ha dichiarato: «Se con tutte le sconfitte Delneri è ancora
lì vuol dire che la fiducia nei suoi confronti è eterna». Parola di Preziosi. Tradotto: è finita, tempo di fare i bagagli e cambiare aria. Otto punti in tredici partite, nove sconfitte, se andavi avanti per la tua strada dove finivi?
Raccontano che George Mc Govern, candidato democratico alle presidenziali del 1972, la sera del voto attendesse lo spoglio sorseggiando un cocktail di residua fiducia e folle speranza. I sondaggi lo davano per tumulato sotto una valanga di schede per Nixon. Lui continuava a vedere uno spiraglio. Era andato avanti per la sua strada proponendo il ritiro dal Vietnam e la grazia per i disertori, barra a sinistra
e via. Anche molti tra i democratici non lo votarono. Perse con un distacco storico. E commentò: «Non me l’aspettavo, credevo il mio messaggio fosse arrivato, che lo stessero capendo».
Delneri ha acclarato la «volontà di cambiare passo», ma è altro che stava cambiando. Fa tristezza il dopopartita infarcito di proclami («Lavorerò sulle motivazioni») quando altre partite non ci sono, ma così funziona il mondo del calcio e, nonostante Berlusconi la pensi diversamente, è assolutamente identico a quello reale: improbabile, malgestito e inevitabilmente ipocrita.
Gino è sempre stato una figura strana. La sua foto di gruppo alla Juventus è stata rifiutata dai responsabili della Settimana Enigmistica come una versione troppo facile della pagina “Scova l’intruso”. Il risultato, inadeguato pure quello. Paragonabile solo all’esito ottenuto da Gigi Maifredi, solo che l’altro Gigi metteva l’idrolitina nel tavernello e lo chiamava champagne, Delneri sgasava la cedrata. La sua dimensione è la provincia, si sentenziò, dato che anche alla Roma era andato
malaccio. In realtà Gino ha una dimensione tutta sua e una particolare abilità per cancellare le soavi memorie. È una specie di Penelope furibonda che distrugge il proprio operato non per amore, ma per testardaggine. È tornato a Chievo e ha dato fuoco all’album dei ricordi, retrocedendo e facendosi esonerare. È ripassato da Genova, dove aveva vissuto una delle sue stagioni migliori alla Sampdoria, e ha fatto un record negativo sull’altra sponda.
È che, come molti, ha fatto della propria forza un difetto (dopo aver inizialmente realizzato l’opposto). Nella voce Wikipedia è scritto: “In tutta la sua carriera di allenatore ha sempre usato il modulo 4-4-2”. Ora, vanno bene le convinzioni, ma se non hai nessuno che corre sulla fascia che senso ha? Fai il brodo con due etti di pancetta tagliata
a dadini? Quando lo sondarono per un ruolo da ct pose come condizione che tutte le selezioni nazionali, balilla, figli della lupa e arditi azzurri, marciassero compatte in formazione 4-4-2. Probabilmente avrebbe convocato Cerci e Pasquato invece di Diamanti e Montolivo. Quando vede un fantasista l’allergia lo sfigura. Arrivato alla Juventus allontanò Diego come una minaccia per la salute e puntò su giocatori così laterali (Martinez, Motta, Krasic) che appena arrivato Conte finirono fuori.
In passato ha avuto, e per ben due volte, la lucidità di capire che è meglio non provarci neppure. Arrivato al Porto per sostituire Mourinho (oddio: esce Cristiano Ronaldo, entra Pepe) guidò un paio di allenamenti, notò una sfilza di giocolieri brasiliani, decretò: “O me o loro” e la storia si concluse lì. Era già accaduto qualcosa di simile anni prima all’Empoli, a dimostrazione che non è questione di provincia o grande città. È che la strada di Gino non si piega proprio, considera la curva un cedimento morale e va dritta verso il suo traguardo: ultimamente, il nulla.