Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 22 Martedì calendario

LE FALSITA’ CHE CIRCOLANO SULLA CURA MONTI

Si sta diffondendo una sciocchezza, cioè un’opinione che non ha riscontri nell’evidenza empirica. Il rigore nei conti pubblici sarebbe la ragione per cui la recessione si prolunga e la disoccupazione non scende. Lo ripete da alcuni mesi Stefano Fassina, responsabile economico del Pd («I dati sulla disoccupazione sono conseguenza di politiche di austerità autodistruttive. La crescita e, conseguentemente, l’arresto dell’emorragia di lavoro è impossibile nel quadro vigente di finanza pubblica», 1° giugno 2012). Gli fa eco Silvio Berlusconi («Le politiche di austerità del governo tecnico hanno condotto alla recessione», 13 gennaio 2013). Ne fa cenno persino il Fondo monetario internazionale che raccomanda all’Europa cautela nell’aggiustare i conti pubblici. Lo scrive Wolfgang Münchau sul Financial Times (nell’articolo «Why Monti is not the right man to lead Italy», perché Monti non è l’uomo giusto a guidare l’Italia), che ieri ha paragonato Mario Monti a Heinrich Brüning, l’ultimo cancelliere della Repubblica di Weimar il cui tentativo di riportare in ordine i conti pubblici avrebbe, secondo alcuni, determinato la fine dell’ultimo esperimento democratico prima dell’avvento del nazionalsocialismo.
Cerchiamo di mantenere un minimo di prospettiva. Senza austerità, in Italia come in altri Paesi europei, non vi sarebbe stata più crescita ma spread alle stelle, una probabile ristrutturazione del debito, scricchiolii nei bilanci delle banche: insomma, il rischio di un altro 2008. Detto questo, ci sono modi diversi per realizzare una politica di austerità.
L’evidenza empirica — ammesso che tale metodo interessi ancora a qualcuno in questo dibattito — dimostra che tagli di spesa, accompagnati da liberalizzazioni e riforme nel mercato dei beni e del lavoro comportano costi di gran lunga inferiori (in alcuni casi addirittura nessun costo) rispetto ad aumenti di imposte. Se il governo Monti avesse perseguito l’austerità in questo modo, cioè tagliando la spesa, la recessione sarebbe stata molto meno grave. Ma tra questo e dire che l’Italia non avrebbe dovuto far nulla, magari spendere un po’ di più, quando lo spread sfiorava i 600 punti e il debito era diventato sostenibile, è da irresponsabili. Mario Monti — lo ripetiamo da oltre un anno — avrebbe dovuto correggere i conti pubblici in modo diverso, tagliando la spesa anziché limitarsi ad aumentare le tasse. Ma scrivere che egli non sarebbe adatto a guidare l’Italia perché ha a cuore il rigore fiscale è una stupidaggine tale che stupisce che il Financial Times l’abbia pubblicata.
Alberto Alesina
Francesco Giavazzi