Paolo Valentino, Corriere della Sera 22/01/2013, 22 gennaio 2013
50 ANNI. IL TRATTATO FRANCO-TEDESCO: «QUELL’EUROPA NATA DA UN MALINTESO» — A
Daniel Cohn-Bendit, leader dei Verdi europei, abbiamo chiesto di ragionare sul significato e l’attualità del Trattato dell’Eliseo, l’accordo che cinquant’anni fa sancì la riconciliazione franco-tedesca e la nascita dell’intesa che avrebbe fatto da motore al processo d’integrazione europea, alla luce della crisi in atto.
Con la sua stessa biografia — ebreo tedesco, nato in Francia, cresciuto a Francoforte, educato all’Università di Nanterre — l’ex leader del Sessantotto parigino incarna i complessi e tormentati legami tra i due Paesi leader dell’Unione Europea.
Cosa rimane oggi dell’amicizia tra Francia e Germania e qual è il suo senso nell’Europa dei Ventisette?
«Il Trattato fu il coronamento della riconciliazione tra i due grandi Paesi d’Europa, nemici fino alla metà del XX secolo e ancora prima. Oggi questa riappacificazione è ancorata nel sistema politico continentale, una guerra tra Francia e Germania è impensabile, prima ancora che impossibile. Il processo di riconciliazione, conditio sine qua non del processo europeo, è irreversibile».
Questo dal punto di vista storico, ma da quello dell’attualità politica…
«No, no. Questa è attualità politica. Il dibattito odierno sull’Europa in crisi è saldamente ancorato a questa realtà. Certo, possiamo sostenere che occorra dare un nuovo salto di qualità all’integrazione, sia tra Francia e Germania che tra i Ventisette; ribadire che siamo a un tornante storico. E la domanda che dobbiamo porci è se Parigi, Berlino, ma anche l’Italia e gli altri Paesi europei saranno capaci di progredire speditamente verso un’Europa federale, rafforzando la condivisione di sovranità. Cioè definendo la sovranità non più in termini nazionali, ma come sovranità condivisa europea».
Qual è la sua risposta a questa domanda?
«È una battaglia. Non ho la sfera di cristallo per poter predire l’esito finale. Io sono convinto che sia un passo necessario, indispensabile. Oggi la sovranità nazionale è stata spazzata via dalla globalizzazione e dai mercati. Se vogliamo riconquistare sovranità dobbiamo farlo attraverso l’Europa, sola a poterci restituire ciò che abbiamo perso a causa della mondializzazione».
Ma tornando a Francia e Germania, non pensa che gli interessi nazionali continuino a giocare un ruolo eccesivo nei loro comportamenti in Europa, fra l’altro non più convergenti?
«Tutti sanno che nulla di significativo in Europa si muove senza iniziativa e accordo tra i due Paesi. Ma non bisogna neppure cadere nell’errore che è stato fatale a Sarkozy, quello di credere che basti l’intesa, a qualunque prezzo, tra Parigi e Berlino a far avanzare in qualche modo il processo. Non è così, non è più così nell’Europa a 27. La sfida consiste proprio nella capacità dei due Paesi, le cui economie sono ormai altamente integrate, di capire che la loro sovranità nazionale è sempre più limitata. Congiuntura a parte, sono entrambi nella stessa situazione. Fra meno di 30 anni, né Germania, né Francia, né Italia faranno più parte del G8. Dunque o ci si impone attraverso l’Europa, ovvero continueremo a perdere progressivamente in termini di sovranità. E il declino sarà inevitabile per tutti».
Che peso ha l’argomento, più volte evocato da Jacques Delors e Helmut Schmidt, che il vero problema dell’Europa è l’assenza di personalità forti, di leader politici degni di questo nome?
«In politica è sempre stato così, si avanza se ci sono grandi leader che impegnano e trascinano le società. Oggi abbiamo una generazione di leader, che sono troppo ossessionati dai sondaggi e agiscono in funzione di questi. Angela Merkel ne è l’esempio principe: esprime il sentimento della maggioranza dei tedeschi, ma non trascina i tedeschi, non propone loro nulla. Segue il clima, lo Zeitgeist per dirlo nella lingua di Goethe».
A che punto siamo nella crisi? L’Europa va verso l’unione bancaria, probabilmente verso l’unione fiscale, ma tutto ciò avviene sotto la pressione degli avvenimenti, senza un disegno, una visione strategica…
«Verissimo. Ma abbiamo fatto l’Europa e la riconciliazione franco-tedesca soltanto dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale».
Ma allora c’era una visione…
«Non bisogna esagerare. C’era uno spirito, la voglia di mettersi alle spalle l’orrore della prima metà del secolo. Guardiamo proprio il Trattato dell’Eliseo, visto che è l’anniversario: fu un grande malinteso franco-tedesco. Per Adenauer la riconciliazione era la reintegrazione della Germania nello spazio della democrazia occidentale, il ritorno a Ovest. Per de Gaulle invece era il contrappeso all’egemonia americana. Lo sapevano tutti. Eppure ha funzionato. Quello che era differente rispetto a oggi è che allora le emozioni erano molto più forti, ma è eccessivo parlare di visioni».
L’ultima domanda riguarda la Gran Bretagna e la prospettiva di un referendum che potrebbe portare alla sua uscita dall’Unione. Sarebbe un danno o un ostacolo tolto dalla strada verso l’Europa federale?
«La Gran Bretagna ha il diritto di scegliere se uscire o rimanere. Ma non ha il diritto di ricattarci».
Ma se Londra esce, pensando all’argomento di Joschka Fischer sulla massa strategica necessaria per contare di più negli equilibri mondiali, l’Europa sarebbe più debole o no?
«La secessione inglese sarebbe sicuramente un indebolimento. Ma saremo ugualmente indeboliti se stanno dentro giocando al ricatto. La verità è che occorre finirla una volta per tutte con l’Europa à la carte».
Paolo Valentino