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 2013  gennaio 22 Martedì calendario

SERIE A, PASSA LO STRANIERO

La Juventus vince anche perché va controcorrente, puntando decisa sul made in Italy. In una Serie A sempre più esterofila, i bianconeri sono tra i po­chi a credere che il “nocciolo duro” italiano sia ancora un valore aggiunto. La squadra di Conte domina con al­meno sette-otto titolari nati dentro i confini. Contro l’U­dinese sabato sono scesi in campo cinque stranieri, an­che per le assenze di Chiellini e Pirlo. Ma i punti fermi ’esotici’ sono solo tre: Vidal, Vucinic e Lichtsteiner.
Chi insegue è più multietnico: il Napoli domenica ha pa­reggiato a Firenze con otto ’importati’ (e con gol di Ca­vani), l’Inter si è presentato a Roma nella solita versio­ne multinazionale, con Ranocchia unico italiano. La Fiorentina ne ha schierati otto, Zeman e Lazio si sono fermati a sette.
La legione straniera, del resto, conquista tutta l’Europa. Mai come quest’anno i club hanno attinto alla mano­dopera venuta da lontano. Secondo l’annuale “studio de­mografico” sul calcio continentale del CIES Football Ob­servatory di Neuchatel, pubblicato ieri, il 36,1% dei gio­catori (più di un terzo) non è cresciuto nella Lega dove gioca attualmente. «La percentuale non è mai stata co­sì alta», sottolinea Raffaele Poli, direttore dell’Osserva­torio. In sei tornei, la quota di stranieri è addirittura so­pra il 50%. Tra questi c’è anche la Serie A, dove gli im­migrati del pallone hanno ormai toccato il 52,2%. Una classifica che ci vede al 5° posto dietro Cipro (largamente primo con il 74,2% di stranieri), Inghilterra (55,1%), Por­togallo (53,8%) e Belgio (53,2%).
La Juve si differenzia dal trend generale anche sotto un altro profilo: in prima squadra ci sono De Ceglie, Gio­vinco, Marchisio e Marrone, tutti sbocciati nel vivaio. Una ’buona pratica’ secondo i canoni imposti dal Fair Play finanziario, che però in pochi per il momento se­guono. Dati alla mano, l’Italia è addirittura ultima in Eu­ropa nella valorizzazione dei talenti “a km zero”: solo il 7,8% gioca nella squadra dove è cresciuto. Un fenome­no peraltro diffuso in tutti i paesi Uefa: per il secondo anno consecutivo si è abbassata la quota media dei cal­ciatori “autoctoni”, scesa al record negativo del 21,1%.
L’austerity, insomma, c’è solo a parole: si continua a comprare a destra e a manca piuttosto che valorizzare quello che c’è in casa. Nel 2012 gli acquisti in Europa sono nel complesso diminuiti rispetto all’anno prece­dente, ma sono stati comunque superiori a quelli ef­fettuati nel 2009 e nel 2010. Tra le leghe più “consumi­ste” c’è sempre la nostra Serie A che, seppur di poco (+1%), ha comunque incrementato il numero dei nuo­vi contratti sottoscritti. Soltanto Bulgaria, Romania e Ci­pro hanno comprato di più. Un vizio che trasforma in extra large le squadre italiane (27,5 giocatori in media, solo in Romania sono leggermente più abbondanti) e finisce indirettamente con l’invecchiarle. L’età media dei giocatori nei club italiani supera infatti i 27 anni: so­lo il campionato di Cipro è più anziano del nostro (28,29). In Spagna si scende a 26,58 anni, in Germania addirittura a 25,67.
La scelta di ’puntare sui giovani’, sbandierata a inizio stagione dai nostri club, si riduce nella maggior parte dei casi a un effimero slogan. Il Milan ci sta provando sul serio con El Shaarawy e Niang, la stessa Juve sta racco­gliendo splendidi frutti con Pogba, strappato quasi gra­tis allo United (un milione d’indennizzo). Ma si tratta an­cora di timide eccezioni, perché anche il Calciomerca­to invernale finisce con il privilegiare l’usato sicuro. Per rinforzare l’attacco, l’Inter ha scelto il 35enne Rocchi, e il Milan è ad un passo dal riprendersi Kakà, che di anni ne ha già 30.
Vero, comprare giovani in Italia costa. E c’è anche una norma paradossale che incoraggia l’import: la Covisoc impone un aumento di capitale ai club indebitati che vogliono fare shopping. Intervento considerato «non virtuoso» dal Fair Play Uefa, che però non è richiesto per acquisti all’estero. Anche per questo si preferisce sce­gliere nei supermercati altrui, magari spendendo di più e persino peggio.