Renato Brunetta, il Giornale 21/1/2013, 21 gennaio 2013
SUPERMARIO SBAGLIA I CONTI: SUL PIL UNA SVISTA DEL 500%
[Monti aveva previsto una decrescita dello 0,2% nel 2013. Bankitalia lo sbugiarda: -1%. Un errore che costerà una manovra aggiuntiva] –
Monti sbaglia i conti. Nella nota di aggiornamento del Def del 20 settembre 2012, il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia e delle finanze, Vittorio Grilli, prevedevano una crescita, si fa per dire, del Pil di -0,2%. A meno di 4 mesi di distanza, il Bollettino economico della Banca d’Italia, pubblicato lo scorso 18 gennaio, calcola una decrescita del nostro Pil pari all’1%. Un errore del 500%. Non male per un governo di tecnocrati. Anche perché da questo errore deriverà, molto probabilmente, una nuova manovra correttiva. Figlia della politica economica sbagliata proprio dell’esecutivo dei capaci di Mario Monti. Complimenti e andiamo a capo. Anche perché nel frattempo la verità sta venendo a galla. La difficoltà dell’ultimo governo Berlusconi è stata quella di non riuscire a conciliare rigore finanziario con programmi di crescita in una fase difficile della finanza pubblica, dopo aver trattato con l’Europa il percorso ambizioso di azzeramento del deficit e avviato la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, tagliando la spesa pubblica senza aumentare le tasse. L’esecutivo tecnico, al contrario, ha spostato il peso del risanamento dalla riduzione della spesa all’aumento delle tasse (i risibili risultati della spending review sono ancora basati su tagli lineari), nella totale assenza di un programma di crescita. Risultato prevedibile: la recessione.
L’Italia ha bisogno di crescere, il Pdl può farlo alle seguenti condizioni: una pressione fiscale ridotta di cinque punti percentuali (dal 45% al 40%); una spesa pubblica ridotta in misura corrispondente (80 miliardi); un sentiero di riduzione costante del debito (sotto il 100% del Pil), tale da soddisfare gli impegni europei. Dando ossigeno, così, alla crescita.
Naturalmente è necessario indicare come e dove tagliare tasse e spesa. La riduzione della pressione fiscale di un punto percentuale all’anno per 5 anni comporta un minor gettito (exante, cioè a Pil invariato) di circa 16 miliardi all’anno e di 80 miliardi alla fine del quinquennio di previsione.
Poiché la spesa pubblica complessiva è pari a circa 800 miliardi di euro, si tratta di ridurla del 10% in 5 anni, con un taglio di spese progressivo di 16 miliardi all’anno. Il cuore dell’operazione dovrà consistere in un forte, serio, credibile piano di attacco al debito pubblico, che incida sullo stock e sui flussi. Ma quali sono gli spazi di manovra per una loro riduzione? Lo spazio di manovra dipende dalla capacità di mettere in atto un piano di riduzione dello stock del nostro debito pubblico per almeno 400 miliardi di euro in 5 anni in modo tale da portarlo al di sotto del 100% del Pil. Si tratta di adottare in modo più coraggioso i vari piani didismissione e valorizzazione del patrimonio pubblico proposti in questi anni, anche utilizzando le migliori tecniche di gestione finanziaria. In altri termini, riducendo lo stock del debito, aumenta la sostenibilità dello stesso, quindi la credibilità del nostro paese, quindi diminuiscono i rendimenti.
Alle misure sopra prospettate, che dovranno garantire circa metà del programmato abbattimento di 80 miliardi della spesa pubblica, incluso un accordo bilaterale con la Svizzera per la tassazione dei capitali ivi detenuti (sul modello di una simile convenzione già siglata con la Svizzera da Germania e Inghilterra), che libera 30-40 miliardi subito e ulteriori 5-7 miliardi negli anni successivi, dovrà accompagnarsi una seria azione di contrasto a illogiche forme di «erosione fiscale» ricorrenti nel nostro paese.
Infine, in modo realistico, senza ricorrere a tagli lineari, un’azione seria di recupero di efficienza della pubblica amministrazione e delle sue modalità di spesa può garantire progressivamente nel quinquennio almeno 10 miliardi addizionali di risparmi su un totale di circa 300 miliardi tra spesa per stipendi e consumi intermedi.
Bene, abbiamo i soldi. Come li utilizziamo per ridurre la pressione fiscale di 5 punti in un quinquennio? Dal 2013, eliminando l’Imu sulla prima casa, costo stimato 4 miliardi di euro. Con i restanti 4 miliardi a disposizione avviamo il quoziente familiare, il cui costo totale è stimato in 12 miliardi di euro. A questo, pertanto, destiniamo anche gli ulteriori 8 miliardi che si libereranno per le famiglie dall’attacco al debito e dalla revisione delle tax expenditures nel 2014. A partire dal 2015, e per il 2016 e il 2017, infine, destineremo alle famiglie l’ulteriore abbattimento programmato della pressione fiscale, con la progressiva riduzione dell’Irpef e l’obiettivo di convergere verso un sistema fiscale composto da 2 sole aliquote, del 23% e del 33%, prendendo un livello di 40mila euro come discrimine.
Utilizzeremo gli otto miliardi (40 a regime) per abolire gradualmente l’Irap, che vale 34-35 miliardi all’anno, che vuol dire aumentare la competitività dell’intero sistema paese. Significa nuove assunzioni. Alla fine del quinquennio di revisione avremmo una pressione fiscale ridotta di 5 punti in percentuale del Pil, una riduzione di spesa corrispondente di cui quasi la metà rappresentata da minori uscite verso l’estero cioè senza impatto sulla domanda interna e un rapporto debito/Pil pari al 100% secondo la nostra ipotesi. In questa situazione possiamo ipotizzare un tasso di crescita costante almeno dell’1,5%-2% in termini reali, e quindi un tasso di crescita nominale intorno al 3,5%- 4% se la Bce mantiene l’obiettivo di inflazione al 2%, mentre il tasso di rendimento medio del debito si dovrebbe ridurre almeno di un punto e, quindi, intorno al 3,5%. Un semplice calcolo ci dice che l’avanzo primario necessario a mantenere stabile il rapporto debito/Pil scenderebbe vicino allo zero. Ciò significa ancora che per arrivare all’obiettivo di un rapporto debito/ Pil del 60% in 20 anni, secondo gli impegni comunitari, si dovrà ridurre lo stock del debito di 2 punti percentuali all’anno e, quindi, un avanzo primario che all’inizio del percorso dovrà essere intorno al 2%, cioè meno della metà di quello programmatico attuale per il 2013, e in riduzione progressiva nel processo di convergenza. Uno sforzo accettabile. Monti, nei suoi 13 mesi di governo, è stato incapace anche solo di pensare una strategia di questo tipo. Senza coraggio nonostante la sua maggioranza parlamentare. Senza capacità di visione. Agli italiani decidere: se rimettersi in gioco o continuare a subire con rassegnazione in compagnia di Monti, Fini, Casini, Bersani e Vendola.