Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 20/01/2013, 20 gennaio 2013
MATITE, CARTA E INCHIOSTRO. AL VOTO COME 50 ANNI FA —
Le «istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali» sono disponibili anche in formato pdf. Ci mancherebbe. Ma questo è l’unico spruzzo di modernità di tutto il volumone. Anzi, l’unica prova provata (a parte i nomi dei candidati, e neanche sempre) che le prossime elezioni della Repubblica italiana si terranno davvero nell’era digitale, che poi sarebbe la nostra.
Per il resto la giornata dello scrutatore è ancora ferma ad Amerigo Ormea, l’alter ego di Italo Calvino nel racconto che scrisse giusto 50 anni fa. Ci sono le «urne di cartone di colore bianco che recano lo stemma della Repubblica», «dimensioni 50x50x50 con una fessura da 14 cm e mezzo», come da ultimissimo bando dell’Istituto poligrafico. C’è lo scotch d’emergenza perché bisogna controllare che «nella parete di divisione delle cabine non siano stati praticati dei fori» e «in caso farli riparare anche con mezzi di fortuna». Ci sono le matite copiative con le quali «tracciare un solo segno, comunque apposto» e che vanno riconsegnate perché il «presidente avrà cura di denunciare all’autorità giudiziaria» chi non lo fa. E c’è, soprattutto, una montagna di carta: schede, registri, bustine e bustone. Compresa la numero 16 dove «saranno posti la cassettina con il bollo della sezione, togliendone la bottiglietta d’inchiostro se è stata aperta per evitare che versandosi, deteriori la cassettina e il timbro stesso». Un tuffo nel passato, un ritorno al bianco e nero, quasi cinema muto. Non sarebbe una sorpresa se sfogliando il manualone a un tratto sbucassero Franti e Garrone o se, dalla finestra aperta, arrivasse lo sbuffo di una locomotiva a vapore. In 237 pagine, la parola "elettronico" non viene citata nemmeno una volta. E non è una dimenticanza perché, dopo averne discusso per anni, adesso in Italia di voto digitale non si parla nemmeno più. Con il risultato che alzare lo sguardo verso il resto del mondo è ancora una volta scoraggiante. Non ci sono soltanto gli Stati Uniti dove il voto elettronico è abbastanza diffuso ma anche guardato con sospetto, vedi alla voce Florida. In Brasile usano dal 1996 la Dre, la Registrazione diretta elettronica. Una specie di bancomat, con una tastiera per inserire un codice personale, uno schermo con il nome dei candidati e anche l’apposita ricevuta. In India la montagna va da Maometto in versione tecnologica: gli scrutatori raggiungono i villaggi più remoti con un tablet touch screen e fanno votare chi altrimenti non potrebbe. Mentre in Estonia, grazie alla carta d’identità digitale, il massimo rito della democrazia viene celebrato addirittura dal computer di casa. Da noi, invece, urna di cartone, matita copiativa, bottiglietta di inchiostro e tutto il resto. Perché?
Ci abbiamo provato. Il primo a parlare di voto elettronico è nel 1983 il responsabile dell’ufficio elettorale della Dc, un giovane di 28 anni, Pier Ferdinando Casini. «Presto useremo un sistema simile al Totocalcio», dice illustrando il disegno di legge che ha appena presentato dopo le polemiche sui brogli in alcune regioni e sulle preferenze. Ma 30 anni dopo l’unica novità è che sono sparite le preferenze e anche il Totocalcio non è messo molto bene. Non è stato l’unico, Casini. «Vi prometto che le Regionali dell’anno prossimo si faranno con il sistema elettronico», dice Roberto Maroni nel 1994 appena arrivato al Viminale con il primo governo Berlusconi.
Tutto quello che abbiamo avuto, però, è stata qualche sperimentazione. Il primo test nel 1992 ad Amelia, sindaco Luciano Lama. E poi dicono che la Cgil si oppone al cambiamento. Segue qualche esperimento anche per le elezioni di Camera e Senato. Ma a un certo punto l’Italia dice basta. L’ultima prova nazionale è del 2006, la lunga notte gestita al Viminale da Giuseppe Pisanu, la vittoria per un soffio di Prodi, Berlusconi che insiste per ricontare le schede. Qualche mese dopo un documentario di Enrico Deaglio sostiene che proprio durante lo scrutinio elettronico alcune schede bianche siano state «trasformate» in voti per la Casa delle Libertà. Il fatto non è stato provato ma nel novembre del 2006 il nuovo ministro dell’Interno Giuliano Amato decide di fermare tutto: «Sarà pure il trionfo degli antenati — dice — ma a volte firmare un contratto sputandosi su una mano e stringendo l’altra può dare più certezza di una firma elettronica». Ed eccoci ancora qui con le urne di cartone, le matite copiative, Franti e Garrone.
Lorenzo Salvia