Elena Dusi, la Repubblica 20/1/2013, 20 gennaio 2013
SETTE MISSIONI PER SETTE MISTERI
Per uno scienziato c’è una sola cosa peggiore di un esperimento che non conferma la teoria di partenza: un esperimento che conferma esattamente la teoria di partenza. Prendiamo il caso del bosone di Higgs, la più importante scoperta della fisica degli ultimi anni. La sua esistenza era stata teorizzata nel 1964 dallo scienziato inglese Peter Higgs. Cinquant’anni e una decina di miliardi di euro più tardi, un acceleratore di particelle mastodontico come il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra è riuscito a “catturare” l’elusiva particella, trovandola molto simile a come il fisico teorico l’aveva disegnata con carta, penna e una manciata di pagine di calcoli mezzo secolo fa.
Tutto sistemato, dunque? Niente affatto. Perché i fisici oggi si sentono esattamente come Newton quasi trecento anni fa: «Un ragazzo che gioca sulla spiaggia e si diverte a trovare un sassolino più liscio e una conchiglia più bella, mentre il grande oceano della verità si trova di fronte a me, inesplorato ». Il bosone di Higgs chiude — almeno a grandi linee — un vecchio conto che la fisica aveva con la materia “ordinaria”, quella composta da atomi e che possiamo osservare con i nostri occhi naturali o artificiali. Peccato che la materia “ordinaria”, messa a confronto con il totale dell’universo, rappresenti solo una quota intorno al cinque per cento.
Il novantacinque per cento dell’universo per noi resta un “oceano della verità inesplorato”. Siamo ciechi di fronte a esso, non conosciamo i mattoni da cui è composto e ignoriamo le regole del gioco che lo fanno muovere. Le idee che sono state avanzate fino a oggi su materia oscura, energia oscura, asimmetria fra materia e antimateria, ulteriori dimensioni spazio-temporali, non hanno ancora trovato conferma negli esperimenti. Per lanciarsi in questo mare buio, l’acceleratore di particelle del Cern sta moltiplicando per due la potenza dei suoi motori.
Due anni di lavori (riapertura prevista per gennaio 2015) e lo scontro fra i protoni all’interno del tunnel sotterraneo di ventisette chilometri avverrà a un’energia quasi doppia rispetto all’attuale. Cosa c’è da aspettarsi? Rolf Heuer, direttore del Cern, ha le idee chiare: «Cambieremo la comprensione dell’universo. Abbiamo vissuto un anno esaltante e abbiamo toccato con mano quanto grande sia l’interesse della gente per la scienza. Ma davanti a noi c’è un periodo ancora più entusiasmante» ha detto ai “suoi” scienziati presentando l’attività del nuovo anno.
A portarci nei misteri dell’universo invisibile sarà l’“astronave” scientifica più grande del mondo, capace di far scontrare seicento milioni di protoni al secondo a una velocità pari al 99.9999991% di quella della luce, di ricreare fra i suoi magneti un vuoto prossimo a quello dello spazio interplanetario, di raggiungere nei punti di collisione la temperatura di quattro trilioni di gradi (pari ai primi istanti dell’universo dopo il Big Bang) e allo stesso tempo mantenere i magneti a meno 271 gradi, un paio in più rispetto allo zero assoluto.
Dove orientare però il timone di questa potentissima macchina da scienza? Dal bosone di Higgs, in questo senso, ci si aspettava una risposta più chiara. O meglio, più oscura: un mistero da chiarire, un’incongruenza da appianare, un punto interrogativo da aggredire. Nella storia della scienza la soluzione di un mistero porta sempre con sé nuovi misteri. Un Higgs dalle caratteristiche inaspettate sarebbe diventato la serratura da forzare per penetrare gli enigmi della materia oscura o della supersimmetria. E invece la nuova particella si presenta (finora) mite e accomodante come il suo scienziato eponimo. «La scoperta del bosone di Higgs — commenta Gian Francesco Giudice, uno dei fisici teorici del Cern incaricati di indicare la strada agli esperimenti — è stato un risultato fantastico, ma non sufficiente per rispondere a tutti gli interrogativi della fisica delle particelle. È stato un po’ come entrare in un ristorante a tre stelle e vedersi servire una minestrina. Noi fisici teorici attendiamo fiduciosi una seconda portata più stuzzicante». Anche Heuer è fiducioso: «Ci sono ancora molti aspetti da studiare. Per esempio potrebbe non esserci un solo bosone di Higgs, ma un’intera famiglia. Studiarne le proprietà potrebbe fornirci tracce utili per capire la materia oscura e suggerirci gli indizi iniziali per gettarci nell’esplorazione dell’energia oscura».
Lhc, con una potenza doppia rispetto all’attuale e la capacità di creare più collisioni, sarà in grado di esplorare l’esistenza di particelle ancora più rare, nascoste, interessanti. «Una di queste particelle mai osservate prima — spiega Michelangelo Mangano, uno dei teorici del Cern che si occupano di tracciare nuovi sentieri — potrebbe essere l’ingrediente della materia oscura. Non essendo osservabile direttamente, questo tipo di materia lascerebbe traccia di sé sotto forma di energia mancante ». Se la somma dell’energia dopo le collisioni è inferiore a quella precedente alle collisioni, ciò che non vediamo potrebbe essere la materia oscura. Anche i neutrini vennero identificati seguendo questo ragionamento. «Di teorie ne esistono moltissime, secondo alcuni anche troppe. Toccherà ora agli esperimenti esplorarle e verificarle. Sulla materia oscura abbiamo fiducia: è qualcosa che esiste, è concreta. Dobbiamo “solo” capire di cosa è fatta e Lhc può farlo, indicando anche quali nuove teorie (supersimmetria, extra dimensioni o altre) ne motivano l’esistenza. Ma se dovessi indicare il più complesso, fra i misteri che abbiamo di fronte, direi senz’altro l’energia oscura».