Luca Tremolada, Nòva, Il Sole 24 Ore 20/1/2013, 20 gennaio 2013
OGGETTI A BASSA FEDELT
Con poco più di 200 dollari ThingSquare offre una "scatola di montaggio" per entrare nell’internet delle cose. Il kit comprende un router leggero e una piattaforma software. Lifx, invece, grazie al solito Kickstarter ha lanciato un sistema per comandare le luci di casa attraverso lo smartphone. Poi c’è Dropcam che vende telecamere grandi come un sasso e connesse via Wifi per spiare amici e non. E 4iii Innovations che ha piazzato sensori anche sulla bici di corsa per monitorare le performance del ciclista e del suo mezzo. Sono solo alcuni esempi della cosiddetta smart-thing generation, piccoli produttori che inventano piccoli oggetti da connettere alla grande rete di internet. Alcuni giorni fa è nato un consorzio che pretende di riunire tutti questi soggetti sotto una unica sigla (www.iofthings.org). Una pretesa che sa di utopia perché il boom di device connessi è fuori controllo. Nel 2009 erano 12 miliardi, nel 2015 saranno 25 e nel 2020 toccheranno i 50 miliardi. In media sono sette device per ogni abitante della Terra. In un mondo sempre più diseguale in termini di distribuzione delle ricchezza e non solo (oggi solo un quarto della popolazione ha internet) chi può avrà più oggetti che dita della mano.
«Ed è una previsione conservativa – osserva Alberto Degradi, direttore system engineer di Cisco Italia –. Con i nuovi chip a basso costo (Abi Research sostiene che quest’anno ne verranno consegnati 5 miliardi ndr), gli oggetti connessi potrebbero essere anche di più».
Sulla base dei dati in possesso da Cisco i device raddoppiano ogni 5,32 anni. Ma dopo il Ces di Las Vegas la sensazione è che i gadget qualche problema a internet come infrastruttura potrebbero darlo. Alcuni laboratori del mondo, tra cui Mit, National Found Fundation, Ucla ma anche progetti come Named Data Networking (Ndn) stanno studiando architetture per riorganizzare la rete in base alla tipologia dei dati al posto degl indirizzi ip.
«Certamente – osserva Degradi – negli anni 60 chi ha progettato la rete ragionava in termini fisici, spostare pacchetti di dati da un server all’altro. Non poteva immaginarsi il fenomeno dell’internet delle cose. Ma la rete non rischia di collassare. Nel senso che l’infrastruttura è scalabile, le tecnologie sia sul mobile che sul fisso ci sono. La variabile semmai è solo economica, dipende tutto dalla sostenibilità degli investimenti delle telecom. Anche sul fronte degli indirizzi con il passaggio al protocollo Ipv6 ci sarà indirizzi ip per tutti».
Già da tempo gli esperti di sicurezza denunciano che in realtà sono poche le aziende che sono passate al protocollo internet iPv6, anzi sono un minoranza e mancano le competenze. Ma sulla carta si calcola che con l’adozione da parte di aziende e privati dell’iPv6 verranno messi a disposizioni 100 indirizzi per ogni atomo della superficie della terra. Ogni oggetto avrà il suo identificativo. Per la gioia dei big dell’elettronica di consumo che stanno producendo forni, frigoriferi, bilance, televisori tutti con la loro ethernet. Più contenti di tutti saranno però le organizzazioni di crimine informatico. «Già oggi l’internet delle cose è a rischio – afferma Alessio L.R. Pennasilico security evangelist di Alba –. Un esempio, recentemente in un albergo di Roma ho collegato il cavo ethernet che entrava nel televisore al mio portatile. E senza troppi problemi sono stato in grado di vedere messaggi e informazioni delle altre stanze». Secondo l’esperto del Clusit, lo scenario di frigoferi-bot comandati in remoto da informatici e venduti per attaccare siti o operare truffe non è così lontano. «Non mi pare che sui televisori si possa installare un firewall? Che dire poi delle presse, i robot industriali, i sistemi di automazione collegati in rete e senza protezione?».
Rincara la dose Antonio Forzieri, esperto di sicurezza di Symantec, azienda che di mestiere produce anti-virus. «Diciamo che qualunque oggetto che abbia a bordo un sistema operativo è potenzialmente attaccabile». «Più alto è il livello di interazione, ovvero più questi oggetti potranno accedere ad app su mercati non ufficiali per esempio, o consentiranno la navigazione su web maggiore sarà il rischio di contagio. Per fortuna però esiste un deterrente. Come ci insegna la storia i criminali si muovono quando vedono il business. Oggi hanno capito che dagli smartphone possono arrivare alle carte di credito ma anche alla gestione della casa. Un frigo magari con un sistema proprietario potrebbe non valere la pena. Perché scomodarsi ad hackerare un forno o una tv? Se però l’industria dovesse adottare sistemi operativi conosciuti e vulnerabili allora in un colpo solo si potrebbero controllare migliaia di gadget: l’alba degli oggetti viventi. Altro che internet delle cose: casa eterodiretta ed elettrodomestici fuoricontrollo. Un incubo.