Pier Giuseppe Monateri, Domenicale, Il Sole 24 Ore 20/1/2013, 20 gennaio 2013
CROGIOLARSI NEL WELFARE
Il libro esamina come lo Stato assistenziale italiano si è allontanato dal modello europeo, mediante un forte squilibrio a favore delle pensioni e a scapito di tutti gli altri servizi di Welfare. Uno squilibrio che ha avuto enormi conseguenze non solo funzionali, ma anche distributive, assicurando una protezione agli "insiders" anche di quattro volte superiore a quella degli "outsiders", con ovvie implicazioni per i problemi di integrazione e di lotta alla povertà.
In sostanza questo "squilibrio pensionistico" si è tradotto in una sistema di rendite iniquo e inefficace, incapace di affrontare le dinamiche dello sviluppo, creando la vera e propria "anomalia italiana".
La principale novità del libro consiste nel retrodatare l’anno di base in cui tutto ciò è cominciato. Molti di noi indicherebbero questa data verso la fine degli anni Sessanta, o l’inizio degli anni Settanta, a partire dall’autunno caldo, dalla partitocrazia imperante, o dagli anni di piombo. Ora, in realtà, i dati accuratamente raccolti dagli autori. mostrano una realtà ben diversa e contro-intuitiva. Il momento in cui l’Italia ha cominciato ad allontanarsi dall’Europa va rintracciato nella fine degli anni Cinquanta.
Le ragioni di ciò affondano nelle dinamiche del sistema politico, ovvero nella cosiddetta sindrome del "Pluralismo Polarizzato". In sostanza sarebbe stato proprio nel periodo "incolore" dei governi centristi, successivi a De Gasperi, ma precedenti alla svolta del Centro-Sinistra, che si sarebbe instaurato quel "duello mimetico" tra la Dc e il Pci, che ha fatto la differenza italiana.
La situazione politica appariva "bloccata", ma perennemente instabile, proprio perché, date le enormi trasformazioni economiche e sociali di quegli anni, era sempre possibile che si verificasse un suo sblocco improvviso o in senso conservatore, o rivoluzionario. I due contendenti, Dc e Pci, hanno così finito per utilizzare l’ordinamento e la spesa pubblica a fini di consenso, per gestire la trasformazione, finendo però per bloccarla. In questo senso l’ingresso e la protezione dei lavoratori nel Nord industriale fu gestita dal Pci e dalla Cgl, mentre in senso mimetico, ma opposto la Dc cominciò a instaurare un sistema di pensioni di invalidità e di anzianità soprattutto nel Sud.
Fu una sorta di duello tra frères-ennemies, fra combattenti che finiscono per assomigliarsi, che cagionò una sovra-protezione degli "insiders", e una dinamica della spesa pubblica assistenziale fuori controllo.
Il merito di questa analisi è quello di riportare in modo chiaro gli sviluppi giuridici ed economici al tipo di competizione politica che era presente in Italia, ma non altrove in Europa. Si tratta di un grande merito intellettuale perché fornisce una teoria che non dipende dalla "cattiveria" degli agenti, ma dalla loro razionalità, anche se, evidentemente, non ne estingue le responsabilità.
Infatti erano possibili anche altre politiche, e il libro le rintraccia. Ad esempio fu proprio il Psi degli anni Sessanta a cercare una via più "europea", cercando di spezzare questo "duello mimetico" tra i due partiti maggiori, ma il suo tentativo fu battuto, e si risolse nello svuotamento stesso della sua base elettorale. In questa fase ciascuno dei due grandi partiti tentò sempre, per così dire, la carta più alta: in termini di protezione, di assegni familiari, di pensioni. E qui, naturalmente, risiedono le responsabilità. In fondo il Pci poteva «alzare la posta» sapendo ormai che non avrebbe mai dovuto gestirne il risultato, perché relegato all’opposizione, mentre la Dc stava al gioco per non «farsi scavalcare a sinistra» rischiando di perdere il suo consenso popolare, pur intuendo che alla fine non sarebbe più riuscita a riportare il tutto sotto controllo. La speranza di entrambi era che la crescita economica, che pareva inarrestabile, potesse risolvere i problemi che ciascuno stava cagionando. A fronte di una crescita anche del 7-8% all’anno era possibile l’illusione che il gioco potesse riuscire, fino a quella che gli autori chiamano la "grande spartizione" del 1969, le pensioni di anzianità a 35 anni, la legislazione sul lavoro, e così via.
È in questa fase che, secondo me, e per dirla con Carlo Galli, si adombra anche la responsabilità delle "élites" italiane. A differenza di altri Paesi europei, queste élites non hanno saputo esercitare il loro ruolo. Né la borghesia, né gli intellettuali italiani, fecero valere una loro propria legittimazione indipendente, ma, piegati alla pura logica "amico-nemico", finirono piuttosto per divenire soltanto i "sostenitori" dell’uno o dell’altro partito, per derivarne vantaggi di breve durata. Furono scaltri fino a diventare irrilevanti.
La crescita economica degli anni Ottanta fu l’unica occasione per rimediare, ma essa contribuì, invece, all’illusione della ripresa indefinita, fino al repentino collasso di quel sistema nel ’92-’94.
È difficile, quindi, sottostimare l’importanza del lavoro degli AA. Dalla loro analisi deriva che, effettivamente, il periodo cruciale della "svolta italiana" è quello del ’55-’62, dei governi Segni, Zoli, Scelba, degli "scoloriti" governi centristi. Proprio quello fu, invece, il periodo più delicato, in cui il Paese mutò completamente volto, in cui mancò una lungimiranza di lungo periodo, e in cui si instaurò, come essenza stessa del sistema, il duello mimetico tra Dc e Pci che formò, in tutti i suoi dettagli, l’anomalia italiana rispetto all’Europa.
Credere, però, che questa anomalia possa finire solo perché le condizioni storiche di quel duello sono tramontate è una illusione. Un vero mutamento, se ci può essere, è ancora da venire.