Allen Sinai, Il Sole 24 Ore 20/1/2013, 20 gennaio 2013
ECONOMIA USA A STELLE E (7) RISCHI
Quale futuro si prospetta per l’economia degli Usa e per quella globale, inevitabilmente influenzata da quella americana? Con ogni probabilità, ci aspetta una crescita relativamente lenta, in linea con la dinamica evidenziata dall’inizio della ripresa nel giugno 2009. Tuttavia, se le cose funzionano ragionevolmente bene, il 2013 dovrebbe essere un anno migliore del 2012, e il 2014 migliore del 2013.
Nel 2012 l’economia statunitense è stata deludente: la crescita del Pil in termini reali è stata dell’1,7% e il tasso di disoccupazione è rimasto su livelli elevati, a fronte di una netta diminuzione della dinamica di ricavi e utili. Il disavanzo federale è rimasto su livelli insostenibili, accompagnato da un aumento del debito pubblico sul Pil.
Secondo lo scenario Basic prospect, elaborato da Decision Economics, la crescita in termini reali dovrebbe aggirarsi nel 2013 attorno al 2-2,5%; entro fine anno il tasso di disoccupazione dovrebbe calare al di sotto del 7,5%, l’inflazione aggirarsi attorno al 2-3%, e l’aumento degli utili aziendali al 7% circa, dopo un andamento piatto nella seconda metà del 2012.
Sette i rischi del Basic prospect.
1. Il fiscal cliff. È il principale rischio a breve termine. Si riferisce a un taglio drastico dei conti pubblici di 500 miliardi nel 2013 (divisi in 335 miliardi di aumento delle imposte e 165 miliardi di minori spese), accompagnato da netti decrementi della crescita in termini reali. Quella contrazione della politica fiscale rappresenterebbe un passo importante verso la soluzione del problema del debito sovrano americano, o almeno la dilazione della resa dei conti, considerato che negli Usa il rapporto debito/Pil è superiore al 100% e continua a crescere. Nel contempo, ucciderebbe sul nascere la ripresa americana, producendo una recessione negli Usa e nel resto del mondo.
2. La crisi dell’Eurozona. La recessione in atto in Europa interessa l’85% del Pil dei Paesi Ue, che rappresentano una grossa parte del Pil globale.
La debolezza interna ed esterna all’Europa danneggia le esportazioni. La fragilità della situazione finanziaria ha indotto alcuni Paesi a chiedere aiuti, che sono stati accompagnati da misure pesanti di austerità. Ciò ha indebolito l’economia dell’Eurozona. La congiuntura sfavorevole si è intensificata e poi estesa ad altri Paesi. La politica monetaria della Bce, pur animata da buone intenzioni, era ed è focalizzata solo sulla crisi e non riesce a offrire lo stimolo monetario di cui l’Europa intera ha bisogno. Sul versante fiscale, ha prevalso una politica di contrazione e austerità. Sul versante politico, l’incapacità di definire risposte alla crisi ha peggiorato la situazione europea.
3. Il fattore Cina. La crescita cinese è scesa da quasi il 12% su base annua al 7,5% nel 2011-2012: ma questo calo di quasi cinque punti è stato perseguito con l’adozione di politiche restrittive. La manovra – per favorire la transizione da un’economia in espansione a una con l’inflazione al 2% – ha trasmesso un impulso negativo alla crescita in tutta l’Asia ed è all’origine dell’indebolimento delle esportazioni tedesche. L’obiettivo cinese di rallentare la crescita ha avuto un effetto domino nell’economia mondiale, soprattutto attraverso i flussi commerciali. La decelerazione della crescita in Cina, Asia ed Europa ha avuto un impatto sulle esportazioni degli Stati Uniti, che a sua volta si è trasmesso in tutto il Nord America e nell’economia mondiale, contribuendo a rallentare le attività. Pechino ha ormai conseguito il suo obiettivo e, per impedire ulteriori rallentamenti, ha adottato misure monetarie e fiscali di stimolo.
4. La debolezza degli utili. Negli ultimi trimestri è stato registrato un netto calo di ricavi e utili. Nei cicli statunitensi è capitato spesso che il calo della crescita di ricavi e utili abbia anticipato una recessione. Di fronte a una percepita riduzione permanente di vendite e utili, le aziende tendono a ridurre assunzioni, investimenti, produzione e scorte. A volte le imprese arrivano a tali decisioni con un certo ritardo. Ma nei cicli economici recenti, le imprese dello S&P500 non hanno esitato a rispondere al calo di fatturato e utili con una rapida riduzione delle spese in conto capitale e delle assunzioni.
Il dubbio riguarda le previsioni di rinnovata crescita di ricavi e redditività nel 2013. Una ripresa della spesa per consumi e un rafforzamento dell’economia statunitense produrrebbero un aumento dei ricavi e degli utili delle società statunitensi e un’accelerazione della crescita degli utili nel secondo trimestre del 2013. Ma questa ipotesi resta molto dubbia.
5. La politica monetaria della Fed. Se la Fed mantiene il suo orientamento espansivo e riduce i tassi, il mercato del lavoro e il tasso di disoccupazione dovrebbero migliorare in modo significativo.
Una nuova versione dell’allentamento quantitativo lanciato a settembre 2012 prevede provvedimenti che manterranno i tassi di interesse a breve termine pari allo zero per tutto il tempo necessario a far scendere il tasso di disoccupazione, portandolo il più vicino possibile al livello di piena occupazione. La Fed ha segnalato di essere pronta ad acquistare titoli al fine di mantenere "condizioni finanziarie" favorevoli all’economia e al mercato del lavoro.
Il fatto che questa politica sia a durata indeterminata è una novità. È probabile che la Fed colleghi ulteriori misure di allentamento a variabili quali il tasso di disoccupazione e di inflazione, anziché, come in precedenza, a una data specifica. Con gli attuali obiettivi di piena occupazione e stabilità dei prezzi, questa politica espansiva sembra destinata a durare a lungo.
6. Il debito sovrano degli Usa. Il principale problema di policy è come accelerare la crescita dell’economia e ridurre la disoccupazione senza accrescere il deficit federale. Una politica monetaria espansiva può offrire lo stimolo necessario, ma ci sono ritardi fra la riduzione dei tassi e il manifestarsi di un miglioramento nell’economia. Sarà indispensabile adottare un qualche piano per ridurre i nostri insostenibili deficit e la crescita del debito sul Pil, ma un eccessivo rigore fiscale sarebbe controproducente. Troppo poco rigore rischia di lasciare che il debito pubblico lordo cresca più rapidamente del Pil nominale, aumentando così il rapporto tra quel debito e il Pil. La sfida per gli Stati Uniti sta nel trovare la giusta combinazione di tagli alle spese e aumenti delle imposte.
7. I fattori geopolitici. Un ulteriore rischio viene dalla possibilità di un conflitto in Medio Oriente e dalle tumultuose istanze di cambiamento nella regione. La possibilità di un conflitto tra Israele e Palestina e/o tra Israele e Iran, e quella di uno scontro sul programma nucleare iraniano rappresentano un rischio geopolitico che continua a pesare sulle prospettive degli Stati Uniti.
Oggi più che mai in passato, Washington ha un ruolo cruciale non solo per l’andamento dell’economia statunitense nel 2013 e oltre, ma anche, in una certa misura, per l’economia globale. Se tutto procede secondo le previsioni, le prospettive globali e per gli Usa nel 2013 sembrano ragionevolmente positive rispetto agli ultimi anni: la crescita economica in termini reali sarà probabilmente più vigorosa e se i consumatori americani sosterranno la ripresa, il miglioramento interesserà anche l’economia globale.