Morya Longo, Il Sole 24 Ore 20/1/2013, 20 gennaio 2013
L’IDEA EUROPEA DELLA BAD BANK E LE RESISTENZE DELL’ITALIA
In Italia sono quasi raddoppiati in due anni: dai 75 miliardi del novembre 2010, ai 121 di fine 2012. In Europa sono cresciuti dai 503 di fine 2008 agli oltre mille miliardi del 2011. Questi numeri parlano da soli: ormai i crediti in sofferenza sono un macigno troppo grande per le banche. Così sui mercati si sta diffondendo la convinzione che in molti Paesi sia necessaria una soluzione di sistema.
Tanti, anche nelle istituzioni, sono insomma convinti che vada creata una vera e propria Bad bank: un grosso "cestino" dove le banche possano gettare tutti i crediti ormai irrecuperabili e tornare, una volta sgravate, a finanziare imprese e famiglie. In Italia, però, le resistenze sono forti. Il tema della Bad bank lascia dubbiosa soprattutto la Banca d’Italia.
Polvere sotto il tappeto
Quello dei crediti in sofferenza è un problema enorme, non solo per le banche ma per l’intera società. Perché se imprese e famiglie faticano a rimborsare i finanziamenti e a pagare le rate dei mutui, le banche continuano ad incassare perdite: questo erode il loro capitale e impedisce loro di erogare nuovo credito. Inoltre si crea un pericoloso circolo vizioso: più la recessione rende difficile per famiglie e imprese pagare le rate dei finanziamenti, infatti, meno le banche possono erogarne di nuovi. Con il risultato perverso di aggravare la recessione.
Fino ad oggi, almeno in Italia, erano bastati alcuni piccoli "artifici" contabili per ridurre l’impatto sui bilanci: era bastato ridurre il cosiddetto «tasso di copertura» dei crediti deteriorati, per evitare alle banche pesanti perdite. Secondo i calcoli di R&S Mediobanca, mediamente le prime otto banche italiane accantonavano nel 2008 il 60,7%: a fronte di 100 milioni di crediti in sofferenza, insomma, gli istituti mettevano a perdita in bilancio 60,7 milioni. Oggi il tasso di copertura medio è molto più basso: 49,9 per cento.
Ma quello che più preoccupa è la differenza tra le varie banche. Perché se Intesa, UniCredit e Mps hanno tenuto sostanzialmente elevato il tasso di copertura (che va dal 55% di Mps al 60,5% di Intesa), altri istituti sono decisamente più bassi: il Banco Popolare accantona solo il 36,4% a fronte dei crediti in sofferenza, Ubi Banca solo il 41,5%. È vero che per giudicare questi numeri bisognerebbe conoscere la tipologia di crediti in sofferenza: quelli ipotecari valgono certamente di più di quelli chirografari (senza garanzie). Ma ugualmente questi dati destano più di un sospetto: che le banche italiane, alcune più di altre, stiano semplicemente nascondendo la polvere delle sofferenze sotto il tappeto. Ecco perché il Fondo monetario chiede più accantonamenti. Il problema è che svalutare maggiormente questi crediti significa incassare perdite in conto economico ed erodere capitale. Calcola AlixPartners che se le banche italiane svalutassero correttamente i crediti dubbi, incasserebbero perdite nei bilanci per complessivi 23 miliardi di euro. Se, ad aggravare la situazione, si aggiungesse il possibile calo del mercato immobiliare, le perdite arriverebbero a 32 miliardi di euro. Il male è comune a tutta Europa. Se il mercato immobiliare francese dovesse scendere, calcola sempre AlixPartners, le perdite per le banche d’Oltralpe arriverebbero a 140 miliardi. Quelle per le banche inglesi si attesterebbero sui 110 miliardi. Queste sono solo stime ipotetiche, ma fanno ben intendere il problema: i crediti in sofferenza, soprattutto se abbinati a crisi immobiliari, rischiano di strozzare le banche di mezza Europa. Come già è accaduto in Spagna e Irlanda.
Ipotesi Bad bank
Ecco perché da più parti si spinge per una soluzione di sistema: se il problema è generale è dovuto all’andamento dell’economia, e non è circoscritto a poche banche e a comportamenti sbagliati di singoli, allora la soluzione deve essere condivisa da tutti. Solo così si può interrompere quel circolo vizioso che zavorra sempre più l’economia e la vita di famiglie e imprese. Il problema è che creare vere e proprie Bad bank avrebbe vari effetti collaterali. Ecco perché in Italia in tanti non ne vogliono parlare.
Il primo problema è il costo. Scaricare i crediti in sofferenza in una Bad bank, significa infatti che qualcuno si assuma le perdite. Se le banche cedessero i crediti al loro valore di mercato, a incassarle sarebbero loro: in tal caso avrebbero bisogno di ingenti aumenti di capitale. Chi li sottoscriverebbe? Il mercato? Lo Stato? L’Europa? L’altro problema è che la creazione di una Bad bank potrebbe, a livello di immagine internazionale, diventare un boomerang per l’Italia. E poi fin che la situazione non si stabilizza e i crediti deteriorati non smettono di aumentare, si rischia di realizzare solo un salvataggio parziale.
m.longo@ilsole24ore.com