Danilo Taino, CorrierEconomia 21/01/2013, 21 gennaio 2013
GAS&PETROLIO. COSI’ L’EUROPA PERDE TUTTA LA SUA ENERGIA - L’idea di estrarre gas di scisto — shale gas — dal sottosuolo può non piacere
GAS&PETROLIO. COSI’ L’EUROPA PERDE TUTTA LA SUA ENERGIA - L’idea di estrarre gas di scisto — shale gas — dal sottosuolo può non piacere. È normale che non sia gradito l’uso di una tecnologia, il fracking, che per quanto avanzata è in una certa misura invasiva. Non la si apprezza soprattutto se utilizzata vicino ad aree popolate, a vigneti, a zone di produzione agricola di qualità, a monumenti e via dicendo. A prima vista sembra dunque un bene che la gran parte dei governi europei impongano divieti indiscutibili (Francia e Bulgaria) o si limitino a non affrontare la questione. Il problema è che in questo modo sarà la questione a interessarsi dell’Europa. Perché l’indifferenza e la semplice opposizione a quella che è la maggiore novità nel campo dell’energia da mezzo secolo sono il modo peggiore di fare politica. Nuova geografia Il fracking, modo non convenzionale di estrarre idrocarburi, sta cambiando il quadro delle forniture energetiche nel mondo, la geografia dell’estrazione e le rotte di distribuzione. L’Europa, grande assente nel settore, rischia di subirne le conseguenze. Innanzitutto, gli Stati Uniti, dove il grande cambiamento è iniziato ed è in pieno svolgimento, stanno approfittando di questa nuova tecnologia — trivellazioni orizzontali per estrarre idrocarburi da rocce che li contengono, frantumandole — in misura straordinaria. Non solo perché, come prevede la Iea, dal 2015 diventeranno indipendenti sul piano energetico. Ma anche per altri motivi. L’abbondanza di gas naturale così portato alla luce ha fatto sì che in America il suo prezzo crollasse. Quindi un primo e immediato grande vantaggio per le imprese d’oltreoceano: oggi pagano il gas tra un quarto e un terzo di quanto lo pagano quelle europee. Nel medio termine, ciò può anche significare che le imprese che operano in settori ad alto consumo energetico preferiscano investire dove i costi sono nettamente più bassi, appunto in America, o addirittura che qualcuno se ne vada dall’Europa. Secondo: di fronte alla caduta dei prezzi, molte imprese americane hanno abbandonato il carbone, come fonte principale per le loro esigenze energetiche, e sono passate al gas naturale. Anche il costo del carbone è quindi sceso e molti produttori americani non hanno potuto fare altro che cercare nuovi mercati: in particolare quello europeo. La Iea — l’agenzia energetica dei Paesi consumatori — parla di una vera e propria «età d’oro del carbone» in Europa, dove la produzione di elettricità da carbone in alcuni Paesi aumenta a tassi del 50% l’anno. Il risultato è scioccante: l’Europa, che in teoria ha in essere le politiche che più dovrebbero fare crollare le emissioni di gas serra che surriscaldano il pianeta, usa sempre più carbone, le cui emissioni sono molto più elevate di quelle del gas; gli Stati Uniti, da sempre criticati perché poco impegnati nella lotta al cambiamento climatico e perché non hanno mai firmato il Protocollo di Kyoto, grazie al sempre maggiore uso di gas oggi sono più vicini agli obiettivi di Kyoto della stessa Unione europea. Le conseguenze I problemi non finiscono qua. Se da un lato l’Europa beneficerà, in termini di calo dei prezzi, della nuova abbondanza globale di gas (e di petrolio) dovuta alle nuove tecnologie estrattive, non solo ne trarrà vantaggi indiretti e quindi inferiori a quelli di chi produce shale gas ma continuerà a rimanere dipendente dalle importazioni, sopratutto dalla Russia di Putin. Inoltre, è probabile che debba prendersi una maggiore responsabilità nella difesa delle rotte del petrolio, oggi presidiate dagli Stati Uniti. L’America, infatti, avrà sempre meno bisogno di importare energia dal Medio Oriente e non si può pensare che ciò non si rifletta prima o poi anche su un taglio dei costi legati a rotte meno strategiche per la sua sicurezza nazionale. Se Barack Obama o i presidenti che seguiranno decidessero di ridurre il loro impegno, sarebbero gli europei a doversene fare carico. In Gran Bretagna, il governo di David Cameron in dicembre ha aperto il mercato e numerose società di estrazione sono interessate allo sfruttamento di shale gas. La Polonia sta rivedendo al ribasso i piani sull’energia nucleare perché ritiene di avere grandi opportunità nella produzione di shale gas. Ma per il resto l’Europa non si muove. François Hollande guida l’opposizione al fracking: ne ha messo al bando in Francia l’utilizzo e ancora qualche giorno fa ha detto che si deve puntare sulle energie rinnovabili, nonostante che la Commissione Gallois, incaricata di studiare la competitività francese, abbia raccomandato di prendere in considerazione l’estrazione non convenzionale di idrocarburi. Gli altri fingono che il problema non esista. Ma non potranno stare per sempre senza una nuova strategia in un settore come quello dell’energia mentre America, Cina, India approfittano dell’abbondanza. Danilo Taino