Franco Fava, Corriere della Sera 21/01/2013, 21 gennaio 2013
MA IL GIAPPONE NON AMA PIU’ I LOTTATORI, L’OSSESSIONE NAZIONALE E’ LA MARATONA —
Il Paese in cui oggi si vendono più pannoloni che pannolini è anche la terra dove la maratona è religione che si pratica a tutte le età. Se ne corrono tutto l’anno, ogni settimana, da Hokkaido a Okinawa. In quella più famosa, la Maratona di Tokyo (il prossimo 24 febbraio), solo 45 mila avranno la fortuna di accaparrarsi un pettorale sui 295 mila che ne hanno fatto richiesta.
Il Giappone ha scoperto gli sport del nuovo millennio, anche attraverso la pagine del suo scrittore più popolare, Murakami, in «L’Arte di correre». Ma oggi è sotto shock. Le nuove passioni giovanili per i modelli sfornati dai giochi di squadra, stanno mettendo all’angolo proprio lo sport nazionale, quello più antico, carico di storia, tradizione, sacralità, costume e cultura di cui non pensava mai di poter fare a meno: il sumo.
Nulla sembra essere più eterno in questa isola antica che stenta a rilanciarsi nella perenne rincorsa ai Giochi olimpici, nemmeno questo affascinante sport da combattimento. Surreale, teatrale o solo folcloristico per noi occidentali. A metà strada tra le rappresentazioni gladiatorie dell’Antica Roma e la tragedia greca antica, affonda le radici nei rituali della religione Shinto. Nemmeno il sumo è immune dai travagli e forti trasformazioni in atto nella società con l’aspettativa di vita tra le più elevate al mondo (84 anni).
Il Giappone che si scrolla di dosso l’eredità della tradizione degli yokozuna e sogna di riportare tra meno di 8 anni l’Olimpiade nello stesso stadio che l’ospitò quasi mezzo secolo fa (non sarà difficile farsi preferire da Cio tra 8 mesi a Istanbul e Madrid, grazie ai 4,5 miliardi di dollari già in cassaforte), è un Paese che scopre di essere più sportivo. Più anziano, ma meno obeso. Un salto in avanti che però rischia di pagare a caro prezzo. Tradizioni, storia e cultura evaporano tra i flussi di centinaia di migliaia di cittadini qualunque che ogni anno si affannano a correre maratone su maratone. Mentre crescono a dismisura passioni e tifo per calcio e baseball.
Harumafuji, Hakuho, Fushitani e il criticato quanto osannato campione mongolo di sumo, Asashoryu, soffrono la concorrenza in popolarità del campione del diamante, Ichiro Suzuki, che ha spopolato nella ricca Mlb statunitense, e dell’asso del pallone, Shinji Kagawa, ora al Manchester United. «Seppure limitata per legge, l’invasione degli stranieri sta uccidendo il sumo», l’amara sentenza del veterano dei fan, Koji Fushitani. È curioso come la crisi di questo sport antico sia oggetto di inchieste e approfondimenti su testate di tutto il mondo, ma forse non è un caso quando è lo sport a sollevare o deprimere il Pil di intere nazioni e a suggerire i ritmi delle trasformazioni di una società. Come è appunto quella giapponese.
Giappone, dove la voglia di uno sport globalizzato contagia ormai anche il rugby (quello a 7 sarà a Rio 2016), mentre si prepara a scendere in massa anche sottorete. Nuove realtà e passioni che affollano i green del golf (anche questo sport festeggerà il ritorno ai Giochi 2016), con masse di teenager portentosi: dalla Malesia alla Cina, da Taiwan alla Corea e al Giappone, il futuro del golf è in Asia. Soprattutto con le donne: per la prima volta quest’anno sono asiatiche, in prevalenza giapponesi, le prime 60 giocatrici su 100 del ranking mondiale.
In questa effervescente domanda di sport e nuovi idoli è il sacro sumo, coi suoi scandali, le morti sospette e le follie dei nuovi campioni con passaporto mongolo, egiziano o estone, a soffrire di più la concorrenza delle specialità «giovani», e «cool». Quelle in linea con gli stili di vita che cambiano. L’antico sport dei lottatori possenti, spesso avvolti dall’aureola del mistero, è forse svanito per sempre.
«Siamo a un punto di non ritorno probabilmente: incontri truccati e la mancanza di star giapponesi hanno fatto scappare gli sponsor e calare l’audience tv, per rilanciare questo sport bisognerebbe tornare davvero all’antico», spiega Elji Takase, direttore della rivista giapponese Sumo. Nel 2012 solo 56 «apprendisti» lottatori si sono tesserati all’associazione giapponese di sumo (Jsa). Il numero più basso dell’ultimo secolo.
«Scommesse illegali, legami con la mafia giapponese, campioni che nulla hanno a che vedere con la tradizione del Sol Levante, l’obbligo a vite monacali e diete pantagrueliche, anacronistiche rispetto ai nuovi stili e virtù, questi i motivi del declino», ci ha spiegato Taro Arai, popolare giornalista di sumo. Nelle prima giornate del torneo di Fukuoka, uno dei quattro big event del circuito nipponico, lo scorso novembre, i prima giorni hanno visto un terzo delle tribune vuote. Non era mai successo prima. C’era da aspettarselo dopo che nel 2010, per un giro di scommesse clandestine, vennero indagati più di 20 lottatori della prima serie. E uno dei big più famosi fu costretto a dimettersi per il coinvolgimento in una rissa tra ubriachi.
E ora c’è chi per rilanciare il sumo propone di inserirlo tra gli sport dimostrativi all’Olimpiade del 2020, sempre che Tokyo riesca a conquistarne l’organizzazione. Se ne è parlato a dicembre a Losanna, nella riunione dei programmi olimpici presieduta da Franco Carraro. Ma i puristi del sumo non sono dello stesso avviso: «Il nostro non è uno sport, ma una religione».
Franco Fava