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 2013  gennaio 21 Lunedì calendario

LIBIA E MALI, DUE GUERRE UNITE DA UNO STESSO FILO

Dietro alla difesa di diritti umani violati e lotta al terrorismo, a me sembra tanto che ci sia la volontà di utilizzare l’opzione militare come tentativo di «sparigliare le carte», nascondere i problemi di politica interna, fra cui il calo del consenso di cui ha sofferto Sarkozy e di cui soffre ora Hollande. Mi sembra eccessivo parlare di «neocolonialismo». Non sono i primi (vedi Usa, Gran Bretagna, ecc), non saranno gli ultimi. Solo i politici italiani, per fortuna (o purtroppo) non hanno questa opzione da esercitare.
Alessandro Pedrazzini
a_pedrazzini@libero.it
Caro Pedrazzini, Nicolas Sarkozy aveva un’ambiziosa politica mediterranea destinata a valorizzare, almeno nelle sue intenzioni, il ruolo della Francia nella regione e in Europa. Ma quella politica aveva il difetto d’essere fondata sui suoi rapporti d’amicizia con due grandi notabili della costa meridionale: Hosni Mubarak in Egitto e Zine El-Abidine Ben Ali in Tunisia. Quando i due «sultani» vennero travolti dalle insurrezioni arabe del 2011, il presidente francese capì di avere scommesso sui cavalli sbagliati e credette che una vigorosa azione militare contro il tiranno libico avrebbe cancellato il ricordo di un disegno fallito, spolverato l’immagine democratica del suo Paese, creato le condizioni per una nuova politica mediterranea guidata da Parigi.
I risultati di quella guerra hanno deluso le speranze di Sarkozy e sono per molti aspetti alle origini della crisi del Mali. Le milizie jihadiste che si sono impadronite delle regioni settentrionali del Paese sono composte da guerriglieri allevati nella guerra libica. Le armi con cui hanno combattuto sono quelle molto efficaci e moderne che i nemici di Gheddafi avevano fornito alla resistenza. Hanno conquistato il nord con l’aiuto delle popolazioni locali (i Tuareg), da tempo secessioniste, ma si sono sbarazzate rapidamente dei loro alleati e hanno creato un nuovo anello islamista nella lunga catena dei presidi di Al Qaeda dall’Atlantico al Mar Rosso. Il Sahel è oggi probabilmente, insieme al Pakistan, la più pericolosa area geografica del pianeta.
Hollande è intervenuto perché la Francia non ha mai rinunciato a esercitare un ruolo postimperiale nelle sue ex colonie dell’Africa centrale. Ma commetteremmo un errore se pensassimo che l’intervento francese nel Mali è soltanto un esercizio di grandeur. Non vi è democrazia occidentale, dagli Stati Uniti ai maggiori Paesi dell’Ue, che non abbia seguito le vicende del Mali, negli scorsi mesi, con grande preoccupazione. E non vi è Stato africano che non fosse altrettanto preoccupato dalla piega degli avvenimenti.
Ancora una considerazione, caro Pedrazzini. La guerra di Libia e quella del Mali sono molto diverse. La prima è stata voluta e combattuta da Paesi che volevano abbattere il regime; la seconda per evitare che il regime venisse abbattuto. Nella prima i nemici non erano divisi da un solo fronte, nella seconda vi sono due territori nelle mani di due diversi poteri. Nella prima gli occidentali hanno combattuto dall’aria senza sporcarsi le mani e correre rischi, con il risultato che non sono in grado di governare l’evoluzione politica del Paese dopo il conflitto; nella seconda i francesi saranno probabilmente costretti a scendere sul terreno e avranno una voce in capitolo, se riusciranno a vincere, dopo la fine delle ostilità.
Sergio Romano