Guido Olimpio, Corriere della Sera 21/01/2013, 21 gennaio 2013
SARDINE E SATELLITARI, I JIHADISTI DEL DESERTO — I
predoni sono spartani, frugali, tenaci. Il deserto è la loro casa, il cielo è il loro tetto. E usano la tecnologia per tenersi legati con l’esterno. Un perfetto connubio tra antiche tattiche e modernità che trasforma i terroristi in un avversario letale. Robert Fowler, un diplomatico canadese rapito nel 2008 da Mokhtar Belmokhtar, ha raccontato in un diario straordinario quale sia la vita dei jihadisti.
Partiamo dal cibo. La dieta dei militanti è composta da riso, pasta, sardine e pomodori. Scorte che arrivano nei campi-base attraverso i corrieri a bordo degli inesauribili pickup. Per bere si arrangiano con l’acqua raccolta nei bidoni usati, talvolta, anche per il carburante. Ogni goccia è preziosa così non li puliscono bene e risparmiano anche sull’igiene personale. Per travasarla — racconta Fowler — utilizzano lo stesso tubo con il quale riempiono il serbatoio della jeep. Si può intuire quale sia il sapore. I banditi cambiano menu andando a caccia. La «storia» dice che lo stesso Belmokhtar abbia abbattuto migliaia di gazzelle poi cotte allo spiedo. Durante i raid che li costringono a coprire distanze notevoli i militanti sfruttano dei nascondigli preparati nel tempo. Una rete di depositi dove ci sono scarpe — si rompono facilmente —, vestiti, rifornimenti d’ogni tipo. Secondo l’ex ostaggio nessuno si azzarda a toccarli perché sa che verrebbe punito. Durante la prigionia di Fowler uno dei terroristi ha osato rubare un pacco di biscotti e quando lo hanno scoperto era palpabile «la vergogna». Tagliano la gola, ma guai a fregarsi i dolcetti.
Le formazioni armate sono miste. Gli arabi hanno posizioni di comando, gli africani obbediscono. Seguono un Islam basico, con una visione semplicistica sostenuta dall’odio verso gli occidentali. Delle colonne fanno parte anche minorenni, ragazzi tra i 12 e 13 anni, impegnati con compiti di supporto. Sono estremamente puritani. Non si mostrano mai nudi, se un ostaggio deve fare i suoi bisogni «ha l’ordine di stare lontano dagli occhi delle sentinelle» al punto che se non fosse per il deserto potrebbe scappare. Il rigore dei costumi non impedisce però — sottolinea Fowler — il rapporto ambiguo tra i terroristi più anziani e quelli più giovani. Questo è un mondo senza donne, le uniche che vedono sono quelli dei villaggi dei pastori. Infatti, alcuni le sposano per rinsaldare i legami locali.
Mentre si muovono nei grandi spazi tra Niger, Mali, Algeria e Libia i seguaci di Belmokhtar si tengono informati. Per seguire l’attualità e monitorare i media quando hanno in mano degli ostaggi. La prima fonte sono le radio a onde corte dove ascoltano Radio France Internationale, Bbc in arabo e qualche altra emittente. Nella pause dei trasferimenti si connettono con il computer e telefoni satellitari per cercare informazioni specifiche. Secondo Fowler, all’epoca della sua detenzione, c’era un mauritano, Julabib, che era l’addetto stampa di Belmokhtar. Era lui a registrare i video poi inviati alle tv arabe, era ancora lui a lavorare con il Photoshop sulle immagini degli ostaggi. Rispetto ad altre fazioni, quella del «guercio» è apparsa la più abile nella diffusione dei messaggi. E anche durante l’attacco in Algeria la cellula ha mantenuto un filo diretto con l’agenzia di stampa mauritana.
Per comunicare, gli estremisti hanno i satellitari ma si appoggiano anche alle reti dei cellulari locali, ovviamente dove c’è copertura. Sempre Fowler ha raccontato che in diverse occasioni il gruppo dei suoi rapitori raggiungeva una collina vicino al confine con l’Algeria e «lavorava» al computer per comprare la ricarica. In pochi istanti il telefonino era di nuovo pronto. E con quello non chiamavano la mamma, ma conducevano le trattive sugli ostaggi. Negoziati estenuanti, che durano mesi e che si concludono con il pagamento di un riscatto milionario. Somme di denaro importanti che i seguaci della falange della morte neppure sfiorano. A loro basta il deserto e la Jihad.
Guido Olimpio