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 2013  gennaio 21 Lunedì calendario

TESSERE E 30 MILA VOTI. IL FORTINO INESPUGNABILE DI NICK «O’ MERICANO» —

Nick o’ mericano ha tenuto informate le sue truppe (quelle cammellate di Clemente Mastella, al confronto, una roba da ridere) con sms brevi, spediti a intervalli regolari.
«Tutto a posto. Siamo in lista».
«C’è un problema. Ma ora m’arrabbio».
«Verdini è con me».
«Tranquilli, Nick non si spezza» (qui, sublimandosi nell’uso della terza persona).
«Riunione decisiva. Vi faccio sapere».
Nick o’ mericano, come con rispetto e affetto Nicola Cosentino viene chiamato dagli amici a Casal di Principe, suo paese di origine, è un vero capo. Ha trattato una candidatura per sé, senza però dimenticarsi degli amici (anche se lui, oggettivamente, è quello combinato peggio: imparentato con il boss Giuseppe Russo detto Peppe o’ Padrino, è imputato in due processi per «concorso in associazione camorristica, corruzione e reimpiego di capitali illeciti aggravati dalla finalità mafiosa" e, per questo, destinatario di due richieste di arresto non autorizzate dall’assemblea di Montecitorio; perciò se non dovessero riaprirsi le porte del Parlamento, c’è il rischio concreto che possano spalancarsi quelle di Poggioreale).
Gli amici — Papa, Milanese, Laboccetta, Cesaro, per citare i più famosi e tutti, in città, simpaticamente definiti i Cosentinos — sono consapevoli di quanto Nick si sia battuto alla grande, con forza e arroganza, e non abbia mai mollato, e anzi abbia chiesto, preteso, promesso, minacciato, rinfrescato la memoria sia al Cavaliere che a Verdini, anche se Verdini sa e ricorda ogni cosa alla perfezione.
Nick usa argomenti solidi. Quelli riferibili: trentamila voti, il controllo quasi militare di tessere e consenso del Pdl in Campania. Poi la possibilità di ritirare tutti i suoi scudieri dal Consiglio regionale, così da farlo venir giù, insieme al suo presidente, il nemico Stefano Caldoro, in un fumo di polemiche e macerie.
Gli argomenti di Nick vanno però supportati. Il capo non va lasciato solo al fronte. Così, a metà pomeriggio, Alfonso Papa (magistrato e deputato coinvolto nell’inchiesta sulla P4, 157 giorni di carcere e, attualmente, un processo per due episodi di concussione) senza curarsi delle voci che lo vorrebbero già tagliato fuori da ogni lista, alza la testa e picchia.
«Io sono e mi sento candidato a tutti gli effetti».
Berlusconi però sembra contrario a...
«Le piacerebbe, vero, che fossi io a dirle: ma come, proprio lui? Proprio lui si permette di non essere garantista? Ma non glielo dico, e sa perché? Perché lo lascio a fare i conti con la sua coscienza e la sua coerenza politica...».
Cosentino invece...
«Alt! Con Cosentino, io ragiono da magistrato. E poiché me le sono lette bene tutte le carte del suo processo, posso dirle che l’impianto accusatorio è gracile assai, e lui, Nicola, verrà assolto».
Vanno in trincea così. Ciascuno parlando un po’ per sé, e un po’ per Nick.
Prendete Luigi Cesaro detto Giggino à purpetta. Sabato sera, nella sede del Pdl locale, in piazza Bovio, ripeteva nervosamente: «Bastava dirglielo prima a Nicola... Bastava avvertirlo, e non portarlo fino all’ultimo giorno e poi cambiare idea». Lui, Cesaro, per candidarsi, si era persino dimesso da presidente della Provincia. «Beh, io comunque dal punto di vista penale... come dire? Sono a posto... Non ho alcun provvedimento pendente» (anche se le sue disavventure cominciano già negli anni Ottanta, quando si becca cinque anni di carcere per collusione con il clan di Raffaele Cutolo, poi l’assoluzione in appello per insufficienza di prove).
Pure Marco Milanese (ex braccio destro di Tremonti, sotto inchiesta per corruzione) è dato praticamente fuori, come Papa. Mentre su Amedeo Laboccetta c’è incertezza.
«Non lo so che fine mi fanno fare».
Mi sa che è fuori.
«E che ne sa, scusi, lei?».
È una voce che circola.
«Ha parlato con il partito, lei? Che ne sa?» (di solito gentilissimo, stavolta Laboccetta è ruvido: mai avrebbe pensato di doversi raccomandare in questo modo a Nick ò mericano, pur essendo il coordinatore del Pdl cittadino).
Nick ha una parola per tutti. Anche per gli avversari. Comunque finisca questa storia degli «incandidabili», è una straordinaria e impressionante prova di potere quella che sfoggia l’ex sottosegretario all’Economia dell’ultimo governo Berlusconi. Perché, appunto, mentre stava lì a trattare — io voglio, io ho diritto, noi abbiamo diritto — ha trovato persino il tempo di far fuori (politicamente) due suoi avversari.
Sentite Gennaro Coronella, per altro compaesano di Casal di Principe: «Pur non essendo stato raggiunto da alcun avviso di garanzia, apprendo che il partito non mi ritiene degno di candidatura... credo, purtroppo, che il veto arrivi da Cosentino».
E sentite Mario Landolfi.
«Sì, anche io sono fuori dalle liste».
Certo che, fino all’ultimo, Cosentino dimostra di avere una forza politica straordinaria...
«Guardi: io distinguerei tra consenso politico e potere politico».
Prosegua.
«Nicola ha un consenso politico diffuso ma non superiore a quello di tanti di noi. Lui, però, a differenza nostra, ha il potere, un potere gigantesco che gli arriva dall’essere stato, a lungo, il coordinatore regionale del partito e...».
Come finisce: Cosentino verrà candidato, sì o no?
«Sono le ore 21... Sarei tentato di dirle che sì, ce la fa. Però la situazione è davvero molto in bilico...».
Fabrizio Roncone