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 2013  gennaio 21 Lunedì calendario

ACQUA, L’AUTHORITY RIAPRE IL RISIKO ORA SCOPPIA LA BATTAGLIA DELLE TARIFFE


Battaglia dell’acqua, atto secondo. Archiviato il referendum, mandato in soffitta (almeno in apparenza) il rischio privatizzazione, il risiko dell’oro blu tricolore riparte da dove si era interrotto nel giugno 2011: la guerra delle tariffe.
L’Authority per l’energia, il regista cui è stato assegnato dal Parlamento il riordino del sistema, ha scoperto le carte tra Natale e Capodanno presentando i criteri con cui verranno calcolate le nuove bollette. Il suo compito - dopo anni di anarchico federalismo idrico - è quello di dare regole chiare e trasversali alle tariffe eliminando quella la «remunerazione garantita del 7% del capitale» cancellata dallo tsunami del voto. Riportando, in teoria un po’ di pace sociale e finanziaria tra i tribolati acquedotti tricolori.

Il lavoro di equilibrismo dei vertici dell’autorità (vedi intervista nell’altra pagina) pare però aver ottenuto, almeno per ora, il risultato opposto. Molti nemici, molto onore, dice la saggezza popolare. Il nuovo metodo “transitorio” per calcolare i prezzi dell’acqua - finito sul tavolo dei 92 Ambiti territoriali ottimali (Ato) per essere trasformato in cifre entro il 31 marzo - è riuscito in effetti a far arrabbiare proprio tutti. Protesta il Forum italiano dei movimenti per l’acqua bene comune («il decreto di Capodanno nega il risultato del referendum ») che ha convocato una mobilitazione nazionale per questa settimana e sta affilando le armi per un ricorso al Tar della Lombardia.
Sul piede di guerra sono pure le municipalizzate che chiedono più certezze sugli investimenti. Mentre sulla telenovela dell’oro blu di casa nostra pendono come spade di Damocle il giudizio della Corte costituzionale sulla nuova bolletta - rispetta o no la volontà degli italiani? - e lo spettro delle multe Ue per i ritardi e le carenze del nostro sistema di depurazione.
Conciliare le posizioni in campo nel mercato, del resto, non è impresa facile nemmeno per un casco blu dell’Onu. L’Italia è spezzettata in 92 Ato differenti che travalicano i confini di provincie e regioni con forme societarie varie pubblici, privati, “Ogm” idrici dove convivono enti locali, municipalizzate e privati - e gestioni, anche tariffarie, lontane anni luce l’una dall’altra (ma pur sempre tra le più basse d’Europa).
Unico fil rougea unire tutti o quasi tutti - è il disastroso stato di manutenzione della rete di 300mila chilometri di tubi che portano l’acqua tricolore dalle sorgenti e dai pozzi fino ai rubinetti di casa nostra. Una missione impossibile, almeno in apparenza, visto che tra buchi nelle condotte, perdite delle giunture e “furti” si perdono per strada prima di arrivare a destinazione 30 litri ogni 100, con un danno di 2,5 miliardi.
Un quadro da brividi. E il delicatissimo compito del-l’Autorità, non a caso, era quello di trovare un modo per conciliare il risultato del referendum con la necessità di trovare i 64 miliardi necessari in trent’anni per aggiustare gli acquedotti italiani. Un percorso in salita visto che gli investimenti già programmati sono pari ora a 38,7 miliardi e la “copertura” di stanziamenti pubblici è ferma al 9 per cento. Il resto quindi, piaccia o no, andrà recuperato attraverso il sistema tariffario. Obiettivo: far saltare fuori i 15 miliardi necessari solo per la manutenzione straordinaria degli acquedotti e i 16,4 per le fogne.
Come si è mossa l’Autorità per l’Energia? Ha messo in fila una serie di “voci” necessarie per sbloccare la paralisi del settore - dai soldi necessari per gli interventi agli oneri finanziari per vararli, a tutti i costi di immobilizzazione e gli ammortamenti - ha messo un tetto massimo agli aumenti (il 6,5 per cento inflazione compresa) e ha inviato il pacchetto agli Ato per stilare i loro programmi e sottoporli poi all’approvazione finale della stessa Authority per l’Energia.
L’elenco delle voci, però, ha mandato di traverso le feste di Natale a molti dei protagonisti del settore. «Il nuovo meccanismo tariffario è un capolavoro che riesce nello stesso tempo a violare il risultato del referendum e a disincentivare invece che ad aiutare gli investimenti - dice Corrado Oddi del Forum dell’acqua - Il “no” alla remunerazione è stato aggirato in modo truffaldino». Come? «Con la voce costo della risorsa finanziaria sul capitale immobilizzato che dà una remunerazione camuffata del 6,4 per cento, cifra cui si somma un curioso riconoscimento di oneri fiscali sui contributi a fondo perduto dello stato che in realtà riporta oltre il 7 per cento la remunerazione reale - aggiunge Oddi - Come dire che i cittadini pagano due volte: finanziando l’impresa con la fiscalità e poi con lo sgravio degli oneri in bolletta.
A far andare un diavolo per cappello agli ambientalisti che chiedono il ritiro della delibera e le dimissioni dell’Autorità - è pure l’allungamento degli ammortamenti da 25 a 40 anni. «Così si finiscono per scoraggiare gli investimenti».
In trincea sono pronte a scendere pure le società che portano l’acqua direttamente nei rubinetti delle case degli italiani. Sono aziende rimaste al 90 per cento di proprietà pubblica, dove le realtà più grandi corrispondono al Consorzio Acqua potabile in provincia di Milano, allo Smatt di Torino, all’Acquedotto Pugliese.
Ma ci sono anche realtà quotate in Borsa, come la romana Acea, l’emiliana Hera, dove i comuni sono comun». que tuttora i detentori del pacchetto di maggioranza. E ci sono anche casi come Iren, che proprio per rilanciare gli investimenti ha da poco aperto il suo capitale a un socio privato come il fondo infrastrutturale «istituzionale» F2i.
Una eterogeneità che potrebbe causare non pochi problemi, come spiega Adolfo Spaziani, direttore generale di Federutility, l’associazione che raccoglie i gestori pubblici dei servizi gas, elettricità ed acqua. «La pubblicazione del nuovo metodo tariffario è importante perché si tratta di un provvedimento atteso da molti anni. Purtroppo non sufficiente a recuperare il ritardo accumulato dal settore in materia di investimenti. Le cifre sono chiare: a fronte di quattro miliardi all’anno necessari, ne sono stati programmati dalle autorità d’Ambito (i soggetti pubblici territoriali responsabili dei servizi idrici, ndr) 2,5 mentre attualmente con difficoltà se ne fanno la metà».
Non farli significa aumentare il debito intergenerazionale e la rottura di sistemi naturali. Non possiamo parlare un giorno di siccità ed un altro di alluvioni. Ma non è solo questo. Adolfo Spaziani in queste settimane è impegnato in una sorta di «giro d’Italia» per spiegare i cambiamenti in atto e cercare di evitare il più possibile contenziosi. «I ricorsi contro l’Autorità ce li aspettiamo. Come associazione faremo di tutto per evitarli, perché ogni ulteriore ritardo applicativo del metodo, comporterà ritardi negli investimenti ».