Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 21 Lunedì calendario

CASA GUARDIOLA


Dicono che nelle sere più limpide, la nuova casa di Pep Guardiola si scorga anche dalle Alpi bavaresi. Attraversando 75 chilometri d’aria di cristallo, lo “schlauchboot”, cioè il gommone, come viene affettuosamente chiamata l’Allianz Arena, rotola nelle pupille come un pallone in porta. Luogo di notevole valenza simbolica, lo stadio del Bayern è uno scrigno colmo d’ogni ricchezza, tutto esaurito già in estate, visione infuocata alla periferia nord di Monaco, distretto di Freimann (dal centro ci si arriva in 16 minuti di metropolitana), dove alle cinque esatte di ogni pomeriggio un dito pigia un interruttore e dà luce all’immane pneumatico: colore rosso-Bayern, ma la tinta può variare se gioca la nazionale, oppure se c’è da illuminare una notte di musica e non di pallone.
Quel bravo ragazzo di Guardiola sembra fatto apposta per il club più serio, rigoroso e virtuoso d’Europa, e viceversa. Come il suo amato Barcellona, anche il Bayern è un opificio di talenti: Kroos, Schweinsteiger, Lahm, Badstuber, Mueller, Alaba. Molto più del Barcellona, il Bayern è un modello economico: ricavi per 368 milioni di euro, ma solo 30 dai diritti televisivi; il resto è merchandising (57 milioni) e sponsor (82); stipendi che incidono solo per il 45 per cento del fatturato; azionariato popolare di 171 mila soci che versano 60 euro all’anno, e sono i veri padroni del club (81,8 per cento), assai più dell’Adidas e dell’Audi che non arrivano al 10 per cento. L’ultimo utile d’esercizio, 11,1 milioni di euro, è stato il migliore in 113 anni di storia: dal 1979, il Bayern non conosce la parola deficit.
Anche se poi in campo non vanno mica i commercialisti, e neppure i contabili di Säbenerstrasse, storica sede del club nato nel 1900, vent’anni prima che Hitler illustrasse nella birreria Hofbrauhaus di Monaco i venticinque punti del partito nazista, trentadue anni prima che il presidente e l’allenatore del Bayern, appena vincitori del loro primo campionato, venissero deportati: erano ebrei. Siccome Pep Guardiola è un tipo studioso, non gli saranno sfuggiti gli aspetti sociali, storici ed economici di un percorso che ha condotto il Bayern Monaco non solo a vincere 22 titoli nazionali, 15 Coppe di Germania, quattro Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali, ma a diventare un riferimento assoluto di fair-play finanziario e stile.
Come e più del Barcellona, i bavaresi vogliono incarnare un’idea, un sistema applicabile e una scuola. Hanno una squadra già fortissima e una rosa assai giovane (26,2 anni di media, meglio dei catalani), hanno fuoriclasse come Ribery e Mueller, Gomez e
Neuer, Robben e Schweinsteiger, e ora cercano Suarez (Liverpool), Falcao (Atletico Madrid), Extebarria (Betis Siviglia) e Vidal (Juventus). Senza per questo rinnegare un gusto e un intuito che nel tempo li hanno portati a scegliere giocatori turchi, polacchi, slavi, austriaci d’importazione o cittadinanza diretta, perché il Bayern — come la nazionale tedesca
— è multietnico, aggregante e vario, non certo un cliché dell’antico e un po’ marmoreo “fussball”. Anche per questo, Guardiola l’ha preferito.
Se in tre quarti d’Europa, il calcio agonizza tra debiti (gli spagnoli hanno un buco di 750 milioni col fisco), violenza, spettacoli mediocri, stadi semivuoti e costosi (in Inghilterra e Spagna si
spendono, in media, 150 euro a biglietto, in Germania 70), il campionato tedesco ha 45 mila spettatori a partita, una pressione mediatica normale, niente oligarchi o sceicchi, nessun Mourinho a provocare e zero sclerate. Qui, nessun presidente darebbe della zitella isterica a un collega. E prima di ingaggiare una stella come Guardiola, i dirigenti del
Bayern sono andati dal signor allenatore Jupp Heynckes, 67 anni, e gli hanno gentilmente chiesto cosa ne pensasse; lui ha confermato il suo addio alla panchina, così l’operazione è andata a segno con due passaggi e un tiro.
Certo, adesso tocca al Pep arredare la casa, cominciando dal ritiro estivo a Riva del Garda (è dunque assai probabile che si svolga
in Italia la prima amichevole della nuova epoca). Al Bayern è normale vincere, ma ora è più stimolante, viste la potenza e la bellezza del Borussia Dortmund, avversario di grande valore. Guardiola è l’unico fuoriclasse comprato a peso d’oro nella storia del calcio tedesco, universo autarchico e fiero ma non presbite. Settantamila bavaresi appassionati cantano l’inno nello stadio gommoso e scarlatto, pieni di birra e felicità, mentre il loro collega più illustre chiede sempre i risultati del Bayern, e talvolta guarda le partite in tivù, in una stanza affrescata in Vaticano. Chissà che dentro le pagine dell’Osservatore
Romano,
il tifoso Ratzinger non sbirci in segreto la
Gazzetta dello Sport.