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 2013  gennaio 21 Lunedì calendario

PERA: “CHIUSI UN OCCHIO SU PREVITI E DELL’UTRI, SPERAVO SI FERMASSE LÌ”


Senatore Pera, lei annuncia che lascerà l’Aula di cui fu presidente dal 2001 al 2006...

«Più che il Parlamento, lascio la politica».

C’è della polemica?

«Neanche per idea. Me ne vado perché prendo atto di essere superato».

Superato?

«Mettiamola così: ho esaurito il mio contributo. Non soltanto io».

E chi altro?

«Esce di scena la prima generazione di Forza Italia, quella che aveva creduto di poter realizzare insieme con Berlusconi una rivoluzione liberale in questo paese».

Parla dei «professori azzurri»?

«Mi riferisco a loro, anzi a noi».

Colletti, Vertone, Melograni. E poi Rebuffa, Mathieu, Urbani, Martino... In verità Martino rimane sulla breccia, anzi il Cavaliere l’ha voluto capolista del Pdl in Sicilia.

«Sì, ma è l’idea di rivoluzione liberale che non c’è più, e non la si può riesumare candidando una bandiera».

Quindi lei si congeda dalla politica perché è venuta meno il progetto.

«Esatto. Si è sfaldato il progetto, e di conseguenza un certo referente sociale che stava dietro, vale a dire una borghesia dell’impresa, delle professioni e dell’intellighenzia affascinata nel ’94 e anche nel 2001. Ricordo tanti colleghi universitari che simpatizzavano con noi sebbene non lo dicessero in quanto si vergognavano di Berlusconi...».

E di certi personaggi al suo fianco.

«A quel tempo noi dovevamo difendere Dell’Utri e Previti. Ma con l’intesa, tacita ma convenuta tra noi, che ci si sarebbe fermati lì. Invece si è andati oltre, molto oltre».

Torniamo alla rivoluzione mancata.

«Sulle cause, cerco di essere equanime. Oltre agli errori nostri (miei), c’è che la società civile non ci è venuta dietro. A parole sì, nella pratica molto meno. Perché un conto è condividere certi principi, altra cosa è metterli in pratica toccando gli interessi delle lobby, delle corporazioni. L’ultima grande occasione per provarci davvero arrivò dopo la vittoria del centrodestra nel 2001».

E non fu colta...

«Ahimè no. La coalizione non ci credeva. Intendiamoci, Berlusconi ha ragione quando dice che mettere d’accordo Bossi, Fini e Casini sulle riforme era un’impresa impossibile: del resto quella era una coalizione costruita solo per vincere, mica per governare. Però le resistenze venivano pure da dentro».

Dentro cosa?

«Forza Italia. Dalla componente ex-democristiana, di cui il dottor Letta era il paradigma, colui che la rappresentava meglio di tutti. Non appena si avanzavano proposte liberali, queste venivano bollate come troppo rivoluzionarie».

Quindi non se ne faceva nulla.

«L’agenda governativa veniva sempre dettata dalle circostanze del momento. E il richiamo agli ideali era diventato uno slogan vuoto. Ma il vero colpo di grazia arrivò nel 2007, con il “predellino” e la conseguente nascita del Pdl. Quando la generazione azzurra venne progressivamente rimpiazzata da quella proveniente dal vecchio Movimento sociale italiano. Si cominciò con il 30 a loro e 70 a noi, ora è meno del contrario a favore degli ex-An».

Beh, anche voialtri potevate essere meno astratti e un po’ più combattivi...

«Non c’è alcun dubbio, c’è stata una carenza soggettiva, cioè nostra. Dei professori (anche se io i comizi li andavo a fare e ho costruito il partito a Lucca). Forse eravamo illusi e ingenui. O magari non ci siamo battuti con sufficiente energia. Certo l’insistenza pedagogica di Forza Italia all’inizio era grande, poi a un certo punto è venuta meno. E guardi adesso che triste fine ha fatto un tema di cui tanto si era parlato tra noi, la riforma costituzionale: ormai Berlusconi al pari di Monti la tratta come se tutto si esaurisse nel taglio del numero dei parlamentari...».

Berlusconi le risponderebbe: io sono di nuovo in campo come nel ’94. Non gli crede?

«E’ vero, è in campo e può anche rivincere le elezioni, ma quella fase è chiusa lo stesso. Può far leva sulla paura della sinistra, secondo me in parte motivata; non più sui sentimenti positivi. La borghesia l’ha in gran parte abbandonato. Gli è rimasto il popolo, al quale delle idee liberali non importa un bel nulla. Per questo, le dicevo, io sono superato. Mi faccio da parte senza mendicare e senza recriminare».