Michele Brambilla, La Stampa 21/1/2013, 21 gennaio 2013
SOBRIETÀ E SVILUPPO L’ALTRO NORD
Non è difficile capire perché Monti abbia deciso di far partire dal Nord la sua campagna elettorale. Perché questa è la sua terra («la mia Lombardia» e «la mia Varese» ha detto parlando ai candidati nel pomeriggio).
Perché questa è l’area più produttiva del Paese e lui è un uomo di economia. Perché sarà quasi sicuramente in Lombardia che si deciderà l’esito del voto a livello nazionale. Marginalmente, si potrebbe aggiungere che ha scelto Bergamo anche perché qui ha trovato ospitalità, in quel «kilometro rosso» che si vede dall’autostrada appena prima di arrivare a Bergamo, e che è di proprietà della Brembo del suo amico Alberto Bombassei.
Ma probabilmente c’è un’altra ragione, più profonda, in questa scelta territoriale. La Lombardia è stata, vent’anni fa, la culla di una rivoluzione che ha segnato tutta la Seconda Repubblica. Anzi di una doppia rivoluzione: una che veniva dal mondo della società civile (Berlusconi e Forza Italia), una dal mondo della piccola impresa e, in genere, da strati più popolari (la Lega). In entrambi i casi, quelle rivoluzioni venivano dunque da «fuori» della politica.
Monti ha scelto la Lombardia perché anch’egli viene «da fuori» della politica e anch’egli vuole fare una rivoluzione. Ma una rivoluzione che parta proprio dalle macerie - secondo la sua convinzione - lasciate da chi lo ha preceduto, cioè da Berlusconi e dalla Lega. Quante volte, ieri, il premier ha fatto riferimento alla situazione «da allarme rosso» lasciatagli in eredità dal governo Berlusconi; e quante volte ha invitato il «suo» Nord a non credere più alle promesse mai realizzate di un federalismo che voleva essere una secessione. Monti è un uomo del Nord e un italiano: «Il Paese noi lo vogliamo unito», ha detto strappando applausi.
E che sia un altro mondo, quello di Monti, rispetto a quello di Berlusconi e della Lega, ieri lo si vedeva e anzi quasi lo si toccava solo entrando nel kilometro rosso. Niente bandiere, niente inni ripetuti fino allo sfinimento per dire meno male che Mario c’è, niente slogan «contro» qualcuno; e men meno c’erano militanti con elmi vichinghi, camicie verdi, gazebo che vendono deodoranti con l’aria del Nord. Non una barzelletta. Non una parolaccia. Non c’era neppure la claque; e se Monti, o Montezemolo, o Riccardi nei loro discorsi facevano riferimento agli «altri», non partivano fischi o buuu. C’era la Minetti, ma quella giusta.
Il Nord di Monti è un’altra cosa perché lui è un’altra cosa. Lui che mette la cravatta anche la domenica, a differenza del Cavaliere (non parliamo di Bossi) e che se cede a una civetteria, lo fa per rimarcare, nel filmato che ripercorre le tappe del suo anno e mezzo da premier, che in estate si è concesso «una breve vacanza». Diremmo quasi un’esibizione di sobrietà.
Quanto diversa l’antropologia e gli stili di vita proposti da chi, dal Nord, era partito vent’anni fa. Nessuna orgogliosa rivendicazione di essere self made man di successo, anzi Lorenzo Dellai, che viene dal Pd e che è ora candidato per la «Scelta civica» di Monti, dice dal palco che «noi non siamo la lista dei benpensanti e dei benestanti», e poi cita La Pira sulla povera gente.
Ci sono gli imprenditori, naturalmente. C’è Bombassei che è il padrone di casa ed è candidato. C’è il piemontese Paolo Vitelli, presidente della Azimut, candidato pure lui. Ma ci sono anche i non candidati: il molto bergamasco (anche se è nato e vive a Milano) Gianfelice Rocca presidente della Techint, e naturalmente Luca Cordero di Montezemolo, che a questo tipo di svolta lavora da qualche anno perché «abbiamo passato un brutto ventennio»; e che si fa trascinare dalla passione, è applauditissimo quando dice di essere «sbigottito perché continuo a sentire politici che parlano dall’Italia come se fossero appena atterrati da Marte, come se non avessero avuto un ruolo e una responsabilità in quello che è successo». Il messaggio è: il vero nuovo siamo noi.
Certo non c’era il popolo del Nord, ieri. Non c’era per il semplice motivo che non c’era il pubblico, ma solo i giornalisti e i candidati. Ma proprio questi ultimi vogliono essere l’espressione del popolo: «Nemmeno uno dei candidati di Scelta civica alla Camera è mai stato parlamentare», dice Monti, per sottolineare che davvero ha pescato nella società civile. Come aveva fatto Berlusconi nel ’94: ma l’antropologia è diversa, lo si vede quando sul palco vengono presentate donne come la scienziata Ilaria Capua, la calabrese Katia Stancato che viene dal mondo della cooperazione e del volontariato, la dottoressa Lidia Rota Vender responsabile del centro trombosi dell’Humanitas.
Verrebbe da dire che il mondo liberale di Monti assomiglia - se non altro per lo stile - a quello della «Voce» di Montanelli, e il premier dovrebbe fare gli scongiuri perché purtroppo quel giornale finì male. Ma allora un altro tipo di centrodestra si stava affermando, e forse i tempi sono cambiati.