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 2013  gennaio 19 Sabato calendario

I MESSAGGI OBLIQUI ALL’AMICO SILVIO PER RIOTTENERE LO SCUDO PARLAMENTARE

[Ma il leader lo gela: “Dovrà fare il sacrificio di rinunciare”] –
UN ONOREVOLE muto è molto più ragionevole di un imputato che rischia la galera. L’immunità parlamentare ha il potere di cucire la bocca, fa passare la voglia di parlare per salvare se stesso e magari anche qualche amico. Il prezzo del silenzio è un collegio blindato. Firmato Marcello Dell’Utri.
Quando certi siciliani cominciano a fare nomi e ricordare «a chi appartengono » (a chi sono legati), significa che sono con l’acqua alla gola. Quando dicono e non dicono, alludono, minacciano con il sorriso sulle labbra, vuol dire che qualcuno si sente in dovere di avvertire l’altro. D’altronde loro, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, sono sempre stati una bellissima coppia. Ma oggi – da quello che appare - sembrano arrivati alla resa dei conti. Il cavaliere, in questo dramma, si barcamena. E fa sapere: «Temo che gli chiederemo un grande sacrificio perché una sua candidatura porterebbe critiche, nonostante le sue straordinarie qualità morali». Una gelata. Solo di facciata? Vedremo.
Nella tumultuosa vigilia di queste elezioni si ha la sensazione che uno – Dell’Utri - presenti all’altro – Berlusconi - la parcella di quarant’anni di scorribande vissute pericolosamente insieme. Dall’Università al «miracolo » di Milano 2, dai Bontate e dai Teresi che salivano negli uffici dell’Edilnord a Foro Bonaparte agli emisari dei Corleonesi che chiedevano il «pizzo » sulle antenne dell’appena nata televisione privata.
N’è passato di tempo, però le parole hanno sempre un peso anche molti decenni dopo. Soprattutto se pronunciate da uomini di caratura come chi è stato l’«inventore » del partito che ha fatto la fortuna politica di Berlusconi.
Che cosa ha detto se non questo - stai attento, siamo tutti e due sulla stessa barca – sulle pagine del Corriere ieri mattina Dell’Utri quando l’intervistatore gli fa notare che è un amico di Berlusconi e lui risponde («Ecco, basta ricordarsi dove sto io, dove sono sempre stato… Continuerò a candidarmi, non lo farò più solo da morto..») con ammiccamenti ma anche con un realismo e un pragmatismo esemplare.
E’ solo l’ultima delle battute oblique lanciate contro il vecchio amico. Ce ne sono tante altre in questi mesi. A Repubblica, il 9 dicembre del 2012, diceva: «Devo continuare la lotta contro una magistratura politicizzata. E io combatterò al suo fianco, all’ultimo sangue. Non posso arrendermi. Come del resto non lo farà Berlusconi..Io non sono un amico acquisito nella stagione politica, sono un amico di vecchia data.. ». Come diceva anche a Il Fatto, il 14 dicembre: «La mia storia è la stessa di Berlusconi. È mio diritto essere in lista.. Se Berlusconi mi vuole escludere l’unico modo è di rinnegare il mio passato, rivedere tutta la mia storia e dire che ho avuto torto». Come diceva alle agenzie di stampa il 12 dicembre, quando Silvio aveva avanzato dubbi sulla sua candidatura: «Dobbiamo chiarirci..».
O come il 19 luglio dell’anno scorso, quando ha spiegato a tutti: «Io non ho mai ricattato nessuno, meno che mai il mio amico Silvio. Io ho costruito un impero per Berlusconi, e forse di soldi lui me ne deve ancora».
Molto sibillino. Saranno per caso anche quelli che, negli ultimi 12 anni, Berlusconi gli ha versato di tanto in tanto e che Dell’Utri ha poi canalizzato in un conto corrente a Santo Domingo – individuato dai magistrati di Palermo – e aperto il giorno prima della sentenza di Cassazione del suo processo? Chissà. I pm che indagano su di lui sospettano che quei soldi siano quelli che sono stati investiti dalla mafia a Milano negli anni ’70 e che – attraverso Dell’Utri – il Cavaliere sta (starebbe) per restituire a prestanome di boss. Vero?
Falso? Lo vedremo – se si scoprirà mai - nell’ultima tranche del processo sulla famigerata trattativa fra Stato e mafia dove Marcello Dell’Utri è imputato.
Intanto ci sembra che il senatore per grazia ricevuta sia al capolinea, allo scontro finale. O dentro o fuori. E ha avvisato l’amico Berlusconi.
Questa esibizione del siciliano sotto accusa permanente per le sue fatali relazioni con l’aristocrazia mafiosa, rievoca le sceneggiate di tre anni fa di quei due fratelli di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano che parlavano e non parlavano di Berlusconi. Uno che diceva e l’altro che taceva, il primo che faceva il buono e il secondo il cattivo, tutti e due che promettevano qualcosa che ancora non potevano però esternare. Un gioco degli specchi. Segnali lanciati a chi doveva intendere.
Marcello Dell’Utri non ha avuto bisogno questa volta neanche di una «spalla» per annunciare ciò che aveva bisogno di comunicare al Cavaliere, che di tanto in tanto è apparso esitante a candidarlo (almeno pubblicamente) da qualche parte. Lui è andato giù dritto. Con un linguaggio trasversale che ha colpito il bersaglio. Niente fraintendimenti, nessun malinteso. Quello che gli doveva dire gliel’ha detto. Meglio senatore che traditore.
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