Fabrizio Galimberti, IlSole24Ore 19/1/2013, 19 gennaio 2013
IL POSTO ITALIANO SUL TRENO CINESE
Dapprima le cattive notizie: l’anno appena trascorso è stato, per gli italiani, il peggiore del dopoguerra. Anche peggio dell’annus horribilis del 2009, quando imperversava nel mondo la crisi più grossa dagli anni Trenta: in quell’anno la domanda interna - i beni e i servizi assorbiti dagli italiani - crollò del 4,4%, ma nel 2012 il crollo è stato anche maggiore. E se a livello di Pil siamo riusciti a limitare i danni grazie all’export (la Banca d’Italia dà per il Pil una caduta l’anno scorso del 2,1% contro il -5,5% del 2009), ciò non toglie il durissimo colpo subito dal tenore di vita degli italiani. Possiamo sperare di meglio per il 2013? Certamente sì, anche se il "meglio" deve declinarsi in "meno peggio". La seconda cattiva notizia sta infatti nel peggioramento delle prospettive per quest’anno. Il Bollettino economico della Banca d’Italia, che a luglio prevedeva per l’anno entrante un -0,2% del Pil, ha abbassato la previsione di (de)crescita a un tondo -1,0%, allineandosi con le proiezioni dell’Ocse di due mesi fa. L’unica consolazione sta nel "mal comune mezzo gaudio", se è vero, come è vero, che il peggioramento delle prospettive in Italia va di pari passo con il parallelo peggioramento delle proiezioni di crescita 2013 dell’area euro (da +0,7% a -0,1% per il Pil dell’Eurozona). Passiamo alle buone notizie. Che hanno però il difetto di non riguardare l’Italia. Anche se, essendo tutti nella "grande ragnatela", come scriveva Marco Aurelio (ben prima della creazione del web), c’è da sperare che anche il nostro Paese possa arrampicarsi lungo quei fili, esili ma tenaci. Nel corso del 2012 anche le prospettive dell’economia mondiale sono andate peggiorando, ma non così nettamente come per l’Europa e per l’Italia. Tuttavia, negli ultimissimi tempi si sono notati - specie nella prima e seconda economia del mondo (Usa e Cina) - dei confortanti segnali di miglioramento. Segnali che non sono ancora stati raccolti dalle proiezioni dei "grandi previsori": Fmi, Ocse, Ue, Banca mondiale seguono procedure lunghe e complesse quando esaminano le sfere di cristallo e gran parte della proiezione si basa su quel che vedono nello specchietto retrovisore. Ma le prospettive dell’economia possono cambiare rapidamente e questo è tanto più vero in questa anomala crisi, dove conta molto il contagio della sfiducia e della fiducia, dove il bicchiere può essere visto mezzo vuoto o mezzo pieno a seconda degli umori, dove il lento accumularsi delle notizie e dei dati può creare un "effetto di soglia" che accende la luce in fondo al tunnel. In America il settore immobiliare è chiaramente in fase di guarigione - una guarigione che è la precondizione per una ripresa duratura, una guarigione che può non solo lenire (danno cessante) ma stimolare (lucro emergente - quand le bâtiment va, tout va, dicono i francesi). E i parametri della politica economica in America permangono favorevoli alla crescita, malgrado i patemi da fiscal cliff e dintorni. In Cina si sta realizzando quel che non era difficile prevedere: in un Paese in cui le leve dell’economia sono manovrate dal centro - e in cui gli spazi di manovra per chi voglia usare quelle leve sono ampi - l’avvento di una nuova dirigenza si accompagna a buone notizie sulla crescita, utili a consolidare il consenso attorno ai nuovi leader. Ieri sono stati resi noti i tassi di crescita del Pil (+7,9%) e della produzione industriale (+10,3%), ambedue superiori alle previsioni degli analisti. Anche se in Cina quest’anno sarà l’ultimo di crescita per la popolazione in età di lavoro, i margini per ulteriori espansioni dell’attività economica permangono alti: gli spiriti animali sono indomiti, può aumentare il tasso di occupazione e soprattutto il passaggio dalla sotto-occupazione delle campagne all’occupazione nelle fasce urbane e costiere promette grossi aumenti di produttività. Potrà l’Europa beneficiare delle migliori prospettive di crescita nel resto del mondo? Meccanicamente, sì. Le maglie forti degli scambi internazionali garantiscono una certa misura di traino. Un traino che può far da esca a una risalita della domanda interna: l’export non basta, è soprattutto dalla domanda interna che deve venire la spinta per uscire dalle secche della recessione. L’Italia è alle soglie di un cambio di dirigenza. Cina e Giappone lo hanno già realizzato, e in ambedue i casi l’atmosfera è cambiata. Se in Cina i segni sono già tangibili, il Giappone ha avviato un esperimento audace, che rompe un immobilismo che durava da lustri e si avventura per le terre incognite di una politica di stimolo tous azimuts. Le fiammelle che si sono accese sulle prospettive dell’economia nel mondo rendono di tanto più importante, per l’Italia, afferrare quei salvagenti e non rimanere indietro nella corsa verso quei mercati di sbocco. Le forze politiche in Italia si vanno rimescolando e ricomponendo: è troppo sperare che dalle imminenti elezioni esca un governo capace di ridare fiducia agli italiani, ridestare le energie sopite e far sì che i sacrifici fatti non siano stati inutili?