Mattia Feltri, La Stampa 20/1/2013, 20 gennaio 2013
IL CAVALIERE CEDE AL GIUSTIZIALISMO
Come quei capibanda dei film western, Silvio Berlusconi molla i compari per rifarsi una vita. Niente di personale, è così che vanno le cose. Addio a Claudio Scajola, che per casellario giudiziario non sarebbe nemmeno tanto impresentabile, se non fosse per la buffonesca vicenda della casa vista Colosseo. Addio (molto probabilmente) a Nicola Cosentino, plurindagato e per reati di camorra, ma non ancora condannato quindi innocente. Addio (altrettanto probabile) ad Alfonso Papa, unico deputato nella storia repubblicana a finire in carcerazione preventiva per reati non di sangue o terrorismo, ma il cui processo è ancora in corso; e poi a Marco Milanese, l’ex braccio destro di Giulio Tremonti, sotto inchiesta per corruzione, pure lui in attesa di sentenza. In dubbio fino all’ultimo Luigi Cesaro, noto come «Giggino ’a purpetta», le cui disavventure cominciano negli anni Ottanta quando prende cinque anni per collusione con il clan di Raffaele Cutolo, poi è assolto in appello per insufficienza di prove, e le disavventure proseguono nei decenni con inchieste che confermano la fama, ma mai arrivano in Cassazione.
Addio soprattutto all’amico della vita, Marcello Dell’Utri: l’Università, le zingarate, il football club Bacigalupo, l’impero costruito insieme, la politica, gli addebiti di mafia. Da qualche settimana il Grande Capo gira l’Italia a chinare il capo per contrizione, lacrimante sulla terribile scelta cui è obbligato dalle toghe rosse, dalle menzogne comuniste, dal destino cinico e baro. Lo ha ripetuto venerdì sera - lo stesso giorno in cui Dell’Utri si annunciava irriducibile: «Mi candiderò fino alla morte» - che «il mio spirito garantista e la conoscenza di una persona straordinaria, un padre di famiglia, un credente convinto, uomo di cultura, bibliofilo numero uno in Italia, dotato di qualità umane e morali che ha tutto per essere messo in lista...». Però? Però «temo che dovremo chiedergli un grande sacrificio perché una sua candidatura porterebbe su di noi critiche di chi, come la sinistra, profitterebbe di queste presenze». Non è una cosa da poco. Perché in questi diciannove anni la politica berlusconiana si è bastata sul presupposto che le liste le fanno i partiti e non lo procure. Che se ci si fosse piegati alla logica secondo cui un avviso di garanzia o un rinvio a giudizio, e le conseguenti campagne politiche o di stampa, fossero stati sufficienti a chiudere o interrompere una carriera politica, all’ultimo pm sarebbe stata consegnata un’arma di precisione. E Berlusconi è stato mandato al governo tre volte perché la maggioranza degli italiani riteneva le sue ragioni più convincenti di quelle della magistratura.
Non ci vuole il naso affilato del Cavaliere per sentire com’è cambiata l’aria. Si parla, nei dintorni di palazzo Grazioli, di sondaggi secondo i quali la candidatura di Dell’Utri e Cosentino, e degli altri sopra citati, costerebbe al Pdl un milione di voti. Questi numeri, e magari l’incredibile giravolta del Partito democratico che ha fatto fuori gli «impresentabili» presentati alle Primarie (e le hanno vinte), pare abbiano spinto l’ex premier al genocidio (come lo avrebbe definito lui non molto tempo fa). Ce lo si aspettava per Papa, per Milanese, certamente per Scajola definito «molesto», senza pietà, dal clan. Ce lo si aspettava meno per Cosentino, dotato di un numero di voti da far tentennare il più rigoroso dei moralisti. E poco ce lo si aspettava, sebbene se ne parlasse da tempo, per Dell’Utri, titolare con Berlusconi di rapporti diversamente interpretabili, ma antichi e fraterni. Invece no. La magistratura è il cancro, Dell’Utri ha imparagonabili «qualità umane e morali», ma vincono i giudici. A questo giro si cede con classica e formidabile disinvoltura, si abbandonano gli amici che - per teoria ventennale - sono stati perseguitati in ragione della loro amicizia con Berlusconi: saranno vittime ma hanno una reputazione di fango. Non è più tempo di inquisiti (tranne che per l’Inquisito).
Dopo diciannove anni, visti gli impegni giudiziari del Cav, visto come ne esce la sua immagine e specialmente all’estero, visti i proclami bellicosi, gli annunci di riforme implacabili, la fine che hanno fatto, e visto che intanto il parlamento si riempie di magistrati, e visto soprattutto l’ultimo cedimento, si può dire che la partita è alla conclusione e Berlusconi l’ha persa. Ne prende atto a suo modo, niente di personale.