Francesco Bonini, Avvenire 19/1/2013, 19 gennaio 2013
I teatri dell’Ottocento
Fatta l’Italia, gli italiani scoprirono l’Unità a teatro - Il teatro è un mondo. Tanto più nel lungo Ottocento, che è in Italia il secolo dei teatri. Un censimento del 1868 ne conta 942, distribuiti in 650 comuni. Ma ancor di più è il secolo del teatro, inteso come forma di comunicazione diretta, immediata, come avverte Mario Morcellini nella posftazione, cioè senza filtri tra l’attore che si esibisce e lo spettatore che guarda. In realtà è un rapporto a tre: pubblico-attore-autore. Dove il pubblico è anch’esso “spettacolo”, poiché a teatro rappresenta se stesso, l’appartenenza ad una classe sociale, dunque la sua identità. Bene ha fatto in un denso, esauriente ed originale studio Maria Teresa Morelli a collegarlo organicamente con il processo di unificazione e più ampiamente di costruzione dell’identità dell’Italia, e anche delle diverse Italie. L’Unità è lo spartiacque della ricerca, che abbraccia tutto l’Ottocento. Schematicamente nella prima metà del secolo la comunicazione teatrale si traduce soprattutto in protesta e sollecitazione di sentimenti nazionali, patriottici e indipendentistici, per affermare una comunità nazionale, che è anche di lingua e di cultura. Molti attori prendono parte attiva ai moti risorgimentali; politicamente impegnate sono anche diverse attrici, ricorda Maria Sofia Corciulo nella prefazione, Giacinta Pezzana è per la repubblica e Adelaide Ristori sostiene la politica di Cavour. Dopo l’Unificazione, la produzione teatrale da un lato tende ad assumere forme celebrative della società borghese (e unitaria), dall’altro a denunciare le degenerazioni politiche, la corruzione. Nasce e si afferma la locuzione «il teatro della politica», con cui oggi più che mai ci misuriamo. Fatta questa grande partizione Maria Teresa Morelli entra con competenza in profondità: utilizza più di 350 opere musicali ed artistiche, e segue una cinquantina di compagnie. Il melodramma è certo il più conosciuto (e il più studiato). Ma si afferma anche il teatro di prosa e poi mantengono identità e vigore il teatro dialettale, di strada e dei burattini. Il teatro, nelle sue diverse forme, è capillarmente e trasversalmente presente pressoché ovunque in Italia. È un mondo, in cui le donne si affermano, per cui «la disuguaglianza dei diritti fra i due sessi e la doppia morale, sembravano assenti nel teatro ». In particolare il teatro dialettale si presenta come continuazione di una tradizione regionale che aspira a conservarsi, di fronte ad un centralismo che spinge, invece, all’omologazione sui modelli settentrionali e borghesi: «il rifiorire del dialetto diventa vera e propria espressione di orgoglio e amor proprio, esprime la necessità di conservare – pur nella comune appartenenza ad una nazione unita, nella quale ci si riconosce ma non ci si annulla – la propria autonomia e la propria identità ». Certo lo Stato vigila. È il capitolo della censura, tanto quella dei governi pre-unitari, quanto di quello italiano, che Morelli ricostruisce con precisione, così come il percorso istituzionale della disciplina in materia del diritto d’autore. Infine spicca l’investimento pedagogico. Luigi Sturzo nel 1899 fonda nella sua Caltagirone il Teatro Silvio Pellico. Scrive e mette in scena diversi drammi, sempre traendo spunto dall’attualità. Per Sturzo il teatro è un importante «mezzo di educazione moderna, rappresentazione di vita vissuta, elevazione morale di virtù pubbliche e private, reali e vere».