Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 19 Sabato calendario

I teatri dell’Ottocento

Fatta l’Italia, gli italiani scoprirono l’Unità a teatro - Il teatro è un mondo. Tanto più nel lungo Ot­tocento, che è in Italia il secolo dei teatri. Un censi­mento del 1868 ne conta 942, distribuiti in 650 comu­ni. Ma ancor di più è il seco­lo del teatro, inteso come forma di comunicazione di­retta, immediata, come av­verte Mario Morcellini nella posftazione, cioè senza filtri tra l’attore che si esibisce e lo spettatore che guarda. In realtà è un rapporto a tre: pubblico-attore-autore. Do­ve il pubblico è anch’esso “spettacolo”, poiché a teatro rappresenta se stesso, l’ap­partenenza ad una classe sociale, dunque la sua iden­tità. Bene ha fatto in un den­so, esauriente ed originale studio Maria Teresa Morelli a collegarlo organicamente con il processo di unifica­zione e più ampiamente di costruzione dell’identità dell’Italia, e anche delle di­verse Italie. L’Unità è lo spartiacque della ricerca, che abbraccia tutto l’Otto­cento. Sche­maticamente nella prima metà del seco­lo la comunica­zione teatrale si traduce so­prattutto in protesta e sol­lecitazione di sentimenti na­zionali, pa­triottici e indipendentistici, per affermare una comunità nazionale, che è anche di lingua e di cultura. Molti at­tori prendono parte attiva ai moti risorgimentali; politi­camente impegnate sono anche diverse attrici, ricorda Maria Sofia Corciulo nella prefazione, Giacinta Pezza­na è per la repubblica e Ade­laide Ristori sostiene la poli­tica di Cavour. Dopo l’Unifi­cazione, la produzione tea­trale da un lato tende ad as­sumere forme celebrative della società borghese (e u­nitaria), dall’altro a denun­ciare le degenerazioni politi­che, la corruzione. Nasce e si afferma la locuzione «il teatro della politica», con cui oggi più che mai ci mi­suriamo. Fatta questa grande parti­zione Maria Teresa Morelli entra con competenza in profondità: utilizza più di 350 opere musicali ed arti­stiche, e segue una cinquan­tina di compagnie. Il melo­dramma è certo il più cono­sciuto (e il più studiato). Ma si afferma anche il teatro di prosa e poi mantengono i­dentità e vigore il teatro dia­­lettale, di strada e dei burat­tini. Il teatro, nelle sue diver­se forme, è capillarmente e trasversalmente presente pressoché ovunque in Italia. È un mondo, in cui le donne si affermano, per cui «la di­suguaglianza dei diritti fra i due sessi e la doppia morale, sembravano assenti nel tea­tro ». In particolare il teatro dialet­tale si presenta come conti­nuazione di una tradizione regionale che aspira a con­servarsi, di fronte ad un cen­tralismo che spinge, invece, all’omologazione sui model­li settentrionali e borghesi: «il rifiorire del dialetto diventa vera e propria espressione di orgoglio e amor proprio, espri­me la necessità di conservare – pur nella co­mune apparte­nenza ad una nazione unita, nella quale ci si riconosce ma non ci si annul­la – la propria autonomia e la propria iden­tità ». Certo lo Stato vigila. È il capi­tolo della cen­sura, tanto quella dei go­verni pre-unitari, quanto di quello italiano, che Morelli ricostruisce con precisione, così come il percorso istitu­zionale della disciplina in materia del diritto d’autore. Infine spicca l’investimento pedagogico. Luigi Sturzo nel 1899 fonda nella sua Calta­girone il Teatro Silvio Pellico. Scrive e mette in scena di­versi drammi, sempre traen­do spunto dall’attualità. Per Sturzo il teatro è un impor­tante «mezzo di educazione moderna, rappresentazione di vita vissuta, elevazione morale di virtù pubbliche e private, reali e vere».