Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 16 Mercoledì calendario

TOPI, RAGNI E MILLEPIEDI: L’APOCALISSE DI WAKWAK

Dalla macchina della distruzione può nascere la bellezza», dice Ali WakWak, artista libico che fino al 28 febbraio espone le sue opere alla Gipsoteca del Vittoriano (ingresso da piazza dell’Ara Coeli 1) nella mostra «Anime di materia».Ali WakWak ha cominciato a creare le quaranta sculture presenti nell’esposizione a partire dall’aprile del 2011, due mesi dopo l’inizio della rivolta libica. Le ha composte assemblando residuati bellici del conflitto: elmetti, bossoli, fucili, mitragliatrici, veicoli militari, serbatoi. Ossessionato dalle immagini della guerra ha voluto ricreare la vita dalla morte, ricostruire se stesso e un intero paese con lo stesso materiale che ha causato la scomparsa dei propri simili. «Questa mostra non va vista, va sentita», avverte Elena Croci che l’ha curata. Non c’è bisogno di sforzarsi, le emozioni arrivano da sole e investono lo spettatore come proiettili. I pezzi di ferro saldati insieme per raffigurare animali e persone grondano dolore. Si ha l’impressione che mantengano ancora calda l’impronta delle mani che li hanno usati per distruggere e quella dei corpi straziati dalle ferite; l’odore acre degli incendi, le tracce della sabbia sollevata dal passaggio del fronte nel deserto, l’eco delle grida dei combattenti.L’opera più impressionante si intitola «Il muro dell’identità», è lunga quindici metri e occupa un’intera parete della Gipsoteca. L’artista l’ha costruita con 522 elmetti arrugginiti, trasformati in altrettanti volti umani dalle orbite vuote e dalle bocche spalancate in un urlo ammutolito dall’orrore. Altri elmetti compongono un millepiedi che si snoda dal pavimento al soffitto e un mostruoso ragno che riempie una stanza con il suo corpo gravido di morte.Un milite ignoto alto due metri e mezzo (in ginocchio) saluta i visitatori all’ingresso, terribile e derisorio. La mano destra è alzata nel gesto dell’invito: «Venite a vedere quel che resta dopo il passaggio dell’Apocalisse». Ali WakWak cerca di far rivivere quei resti per ricreare un mondo nuovo, diverso. E come il Creatore supremo, anche lui segna accanto a ogni opera il tempo impiegato a plasmarla: tre giorni per lo sciacallo, uno per il granchio e per il topo, tre per la giraffa, dieci per il ragno, cinque per il derviscio e per il tamburino, una settimana per la coppia di innamorati, un mese per il muro dell’identità.
Lauretta Colonnelli