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 2013  gennaio 04 Venerdì calendario

MARIA LUIGIA, PLAUTILLA E LE ALTRE. STORIA E ARTE ITALIANA AL FEMMINILE

Ad ascoltare Consuelo Lollobrigida, giovane storica dell’arte, a un certo punto non si capisce più se la parte affascinante dei suoi racconti siano le vite delle donne artiste da lei riscoperte o il modo in cui da una decina di anni insegue le tracce di queste donne, che si chiamano Maria Luigia Raggi, Plautilla Bricci, Fede Galizia, Virginia da Vezzo, Orsola Maddalena Caccia, Elisabetta Sirani. Attive tra Sei e Settecento e poi dimenticate. Le loro opere, rimaste nei musei, nelle chiese o nelle collezioni private, pian piano sono state oscurate dall’anonimato o attribuite ad altri. Perché i quadri usciti «di donnesca mano» sono stati sempre tenuti a margine della storia dell’arte, scritta per lo più da maschi. E anche quando le artiste erano citate, soprattutto dalla critica otto-novecentesca, venivano contraddistinte con i termini denigratori di «naturamortiste» o «miniatrici». Tutte accomunate dalla stessa sorte, anche le più note, da Artemisia Gentileschi a Maddalena Corvini, da Rosalba Carriera a Giovanna Garzoni, da Lavinia Fontana a Sofonisba Anguissola. Solo alcune furono riscoperte dopo il romanzo-saggio di Anna Banti su Artemisia. Consuelo Lollobrigida però ci tiene a precisare che non è partita da questo libro-icona, come è successo ad altre ricercatrici. «Ho pensato che se c’era stata Artemisia dovevano essercene delle altre. Avevo letto della scultrice emiliana Properzia dè Rossi alla quale il Vasari riserva un posto d’onore nelle sue "Vite". Mi sono imbattuta in Plautilla Bricci, pittrice e architettrice, come si diceva all’epoca. E mentre la inseguivo negli archivi di Roma, mi venne incontro un’altra artista, Maria Luigia Raggi». Aveva visto tre sue tempere nella mostra «Il genio e la grazia», una decina di anni fa a Torino. Altre due le scoprì presso un antiquario romano. In dieci anni di ricerche ne ha rintracciate più di ottanta, di cui diciannove nel museo civico di Prato, quindici in una collezione privata a New York, quattro ai Musei Capitolini, due all’Accademia di San Luca, altre sparse in Europa. «Finora - racconta - questi dipinti erano attribuiti all’"anonimo paesista di rovine romane" o al "maestro dei capricci di Prato", perché ritraggono paesaggi, reali o d’invenzione».Ma per narrare la storia dei ritrovamenti, ricca di colpi di scena, ci vorrebbe un intero libro. E Lollobrigida l’ha scritto. Si intitola «Maria Luigia Raggi: il capriccio paesaggistico tra Arcadia e Grand Tour» (Andreina e Valneo Budai ed.) ed è stato presentato alla Biennale di antiquariato a Palazzo Venezia, dove la studiosa ha curato la mostra «La donnesca mano» con opere di Sofonisba Anguissola, Fede Galizia, Artemisia Gentileschi, Maria Luigia Raggi e Virginia da Vezzo, che tra l’altro era moglie e stimata collega del più noto Simon Vouet. Il libro è anche un catalogo ragionato di tutte le opere della Raggi, costretta a nove anni a entrare nel convento di clausura delle Monache Turchine a Genova. «Quando ho scoperto la storia della sua vita, nell’archivio di un discendente della famiglia Raggi a Genova, ho capito perché i suoi quadri sono pervasi dello stesso turchino in cui sono dipinte le stoffe di queste suore». Nel 1796 la suora pittrice, che aveva ormai cinquantaquattro anni, scappò dal convento e si rifugiò a Roma, da un parente, Luca Ferdinando Raggi, che aveva una carica importante presso l’Accademia di San Luca. Cominciò a dipingere paesaggi in cui appaiono monumenti romani ma, soprattutto, i suoi quadri si riempirono di luce. A fine novembre, è arrivato in libreria anche il volume di Lollobrigida su Plautilla Bricci.
Lauretta Colonnelli