Andrea Garibaldi, Corriere della Sera 19/01/2013, 19 gennaio 2013
NEL LIMBO DEI BIG CHE RISCHIANO: NON SO NEANCHE A CHI RIVOLGERMI —
Pasquale Viespoli: «Vorrei sapere anch’io che succede». Claudio Scajola: «Liste Pdl? Non so». Domenico Nania: «Confesso: non ho la minima idea».
Giorni così. Chi non è sicuro di ottenere la candidatura nel Pdl vive uno stato di ansia, perlopiù impotente. «Non c’è condizione peggiore dell’incertezza», dice Viespoli, che è stato sindaco di Benevento per otto anni e poi dal 2001, parlamentare della Repubblica.
Scajola, tre volte ministro e due volte dimissionario (una frase su Marco Biagi, la casa con vista Colosseo) per la prima volta non siede personalmente a «quel tavolo». Quale tavolo? Là, dove si decidono i nomi delle liste di Berlusconi. Scajola entrò in Forza Italia diciotto anni orsono ed è stato uno dei cuori dell’organizzazione. Sa bene che l’ultima parola spetta sempre a Berlusconi, che stavolta la coperta è più corta, i posti sicuri dovrebbero essere di meno. Scajola confida alle persone più vicine che anche se nessuno gli ha assicurato nulla, lui è sicuro di se stesso, essendo una colonna dagli albori. Può pesare la storia della casa al Colosseo? Pensa di no, gli argomenti a quel tavolo sono ben altri, la vicenda della casa si sgonfia da sola.
Domenico Nania, vicepresidente del Senato uscente, Msi, poi An, poi Pdl, nella sua Sicilia legge le notizie sui giornali. D’altronde, «non c’è un soggetto preciso a cui rivolgersi sul tema candidature, non ci sono procedure specifiche da seguire». La voce è mesta, ma dice che il suo vero dispiacere politico fu quando Fini «ha fatto ciò che ha fatto». Non è dispiaciuto per se stesso, è dispiaciuto «per il destino della destra italiana». D’altronde, lui rientra perfettamente in una delle regole di chi dovrebbe restare fuori dalle liste: ha trascorso in Parlamento già tre legislature. Ci sono le celebri deroghe, però: «Ma io non ho chiesto deroghe!». Orgoglioso: «Ho fatto politica fin da ragazzo, per vocazione, continuerò a impegnarmi. E riprenderò la mia professione, avvocato civilista...».
Viespoli anche è stato nel Msi, poi An, Pdl, ma uscì con Fini e si è poi riavvicinato assieme alla sua nuova formazione — Coesione nazionale, 13 senatori — a Berlusconi. Dice: «Sono sereno. Berlusconi ha sempre offerto apprezzamento per il contributo politico e parlamentare dato dal nostro gruppo al suo governo e al centrodestra e ha sempre espresso l’impegno a confermarlo nella vicenda elettorale. Non mi risulta abbia cambiato opinione».
L’avvocato Donato Bruno, da Noci (Bari), che fu in predicato di succedere ad Alfano come ministro della Giustizia, è relativamente più tranquillo: «Ho ottenuto la deroga, lunedì. E adesso sono sul pezzo. Molto dipende dalla posizione in lista...». E’ una scacchiera, aggiunge, ma laggiù a Roma, comunque decidano, decideranno bene. «So che c’è gente che staziona a Palazzo Grazioli, per cercare di influenzare le scelte». Lui no, si trova a Milano: «Ringrazio chi ha fatto le valutazioni sulle deroghe. Avranno tenuto conto della mia produttività in Parlamento: primo posto, per presenze e attività svolta!».
Fra i sospesi, c’è perfino Domenico Scilipoti, l’uomo che passò dal Psdi al partito di Di Pietro e superò quindi il guado dal centrosinistra al centrodestra, salvando il governo Berlusconi, dicembre 2010. Sta chiuso in lunghissime riunioni, non intende comunicare stati d’animo. La battaglia è pesante e ingarbugliata, si sta giocando tutte le sue possibilità, spiegano attorno a lui.
Alcuni non hanno voluto immergersi in questo gorgo paludoso. Mario Valducci, per esempio, è uno dei sette fondatori di Forza Italia (gennaio 1994): «Il 2 gennaio scorso, ancor prima che si parlasse di deroghe, ho comunicato: basta, non mi candido più. Tornerò a fare il manager, il commercialista, il revisore dei conti». E Antonio Mazzocchi, questore della Camera: «Dopo 18 anni nel partito, non mi ricandido, ma raddoppierò il lavoro sul territorio. Largo ai giovani».
Andrea Garibaldi