Ettore Livini, la Repubblica 19/1/2013, 19 gennaio 2013
CAYMAN, IL PARADISO FISCALE PUO’ ATTENDERE
Il paradiso (fiscale) può attendere. Messe alle corde dalle autorità di sorveglianza internazionali e pressate persino dai loro migliori clienti, gli hedge fund, le isole Cayman hanno deciso di rinunciare a un pezzo – per ora piccolo piccolo – dei loro segreti. La svolta è arrivata nei giorni scorsi sotto forma di una breve ma garbata letterina a tutte le istituzioni del paese da parte dell’organismo che custodisce le chiavi delle casseforti e dei molti misteri dell’arcipelago, la Cayman Island Monetary Authority (Cima). Poche righe, anticipate dal Financial Times, per spiegare a tutti che – per questioni di reputazione globale – la festa è finita. E che i gestori dei fondi che battono la bandiera del protettorato britannico dovranno d’ora in poi uscire allo scoperto, rendendo noti i loro nomi, cognomi e le poltrone dei cda di cui sono membri.
Siamo all’Abc della trasparenza finanziaria, naturalmente. Le tasse restano a livello da prefisso telefonico e l’identità degli investitori che mandano a svernare i loro soldi sotto il sole e i conti cifrati dei Caraibi continuerà a rimanere segreto. Ma è un primo passo importante per un paese di 56mila abitanti e di qualche decina di splendide spiagge bianche dove hanno preso domicilio ben 9.438 fondi. Uno ogni sei persone, il triplo, per dire, delle Virgin Islands. La svolta – ha spiegato la Cima – era inevitabile: «Negli ultimi 24 mesi, dopo la crisi finanziaria, le Isole del Canale, l’Irlanda e le Bahamas hanno aggiornato nel senso di una maggiore apertura le loro legislazioni ». Cosa cambia con le nuove regole? Semplicemente si apre un primo spiraglio nella nebbia della regolazione delle Cayman. Finora chiunque, in ogni angolo del mondo, poteva aprire un fondo domiciliato qui senza rendere nota la sua identità. Ora basta. I gestori di fondi domiciliati nell’arcipelago saranno obbligati a fornire le loro generalità.
Per il resto non muta molto. Alle Cayman si continuerà a non pagare un euro di tasse sui capital gain e sui redditi personali e quelli societari. E la titolarità dei conti sarà ancora tutelata dal segreto bancario. Lo stesso schermo dietro cui si sono consumati molti dei maggiori crac internazionali: la Parmalat è fallita dopo la scoperta che i 6 miliardi di attività parcheggiati, secondo il bilancio di Collecchio, presso la sede della Bank of America nella filiale di fronte alla bellissima Seven Mile beach in realtà non esistevano. Qui sono sfuggiti agli occhi lunghi della Sec anche i soldi dello scandalo Madoff prima di svanire nel nulla. E da anni la politica internazionale, amministrazione Obama in testa, esercita un discreto pressing per rendere più trasparente la finanza dell’arcipelago.
Per ora la Casa Bianca dovrà accontentarsi di questo piccolo aperitivo. Difficile, in fondo, pretendere di più. Nelle casseforti delle Cayman sono custoditi 1.500 miliardi di dollari privi di paternità certa. Buona parte, tra l’altro, dirottati ai tropici dalle grandi banche a stelle e strisce. Il 75% degli hedge fund mondiali ha sede qui e il loro business rappresenta il 55% del pil del paese e garantisce il 40% dell’occupazione. Posti di lavoro ben pagati visto che il reddito procapite è il 14esimo al mondo. Il paradiso, magari, può attendere. Ma di sicuro, almeno per ora, anche lui continua a tenere il suo domicilio fiscale qui.