Oscar Grazioli, il Giornale 18/1/2013, 18 gennaio 2013
ANCHE LE ARAGOSTE NEL LORO PICCOLO SENTONO IL DOLORE
Ma le aragoste possono piangere? Potrebbe essere il titolo di un libro il cui autore vuole riecheggiare quello stranissimo che portò poi alla realizzazione di uno dei più straordinari film di fantascienza di tutti i tempi, Blade Runner. Si trattava di « Do the androids dream of electric sheep? » ( Ma gli androidi sognano pecore elettriche? ) del grandissimo Phlip.K. Dick. Ma qui non si tratta di uomini che cacciano androidi. Qui si tratta di uomini che cacciano aragoste vive nell’acqua bollente sostenendo che non possono sentire dolore, supportati da mamma Scienza. E così, il calvario del raffinato crostaceo, prima di essere portato in tavola, è andato avanti per anni, tra l’orrore di chi non voleva credere alla scienza e l’indifferenza di chi invece la scienza ringraziava per avergli promesso l’innocenza davanti a Dio e se stesso.
Pochi anni fa docenti e ricercatori di due università statunitensi dimostrarono che l’animale marino, per sua fortuna, aveva un cervellino così minuscolo da non riuscire a provare alcuna emozione, men che meno il dolore. I cuochi giustizieri dunque erano in realtà innocenti e quelle strane urla, quegli strani sibili lanciati dal pregiato animale marino durante il tuffo nell’acqua bollente, non avevano niente a che fare con il dolore. Era uno scenario costruito dalla nostra psiche che rimaneva atterrita (e poco rassicurata dai professoroni) nel vedere un corpo vivente nuotare disperatamente nel bouillion soffiando e ululando. Ma qualche cuoco non era convinto. Fulvio Pierangelini, maestro di cucina di uno dei più blasonati ristoranti d’Italia, affermò allora pubblicamente che «anche in cucina c’è una morale da rispettare e il sacrificio di un animale, pur con un sistema nervoso limitato, non deve essere soltanto ricompensato da un piatto adeguato e dalla creatività dello chef». In alcune regioni, come la Toscana, la tesi dei docenti d’oltre oceano non passò, tanto che venne presentata una legge che proibiva di cucinare animali vivi.
E oggi ecco il colpo di scena. Le aragoste non solo provano dolore ma forse piangono e sognano. La scoperta, pubblicata sul Journal of Experimental Biology contraddice il fatto che quelle contorsioni nell’acqua bollente fossero semplicemente riflessi automatici, un po’ come capita alla gamba colpita dal martelletto del medico sul ginocchio. I biologi Elwood e Barry Magee, della Queen’s School of Biological Sciences (Irlanda), dopo avere studiato in passato il comportamento di gamberi e paguri, hanno cominciato a lavorare su quello dei granchi con un esperimento molto semplice. Somministrando una piccola scossa elettrica ai crostacei hanno visto che gli stessi cercavano di nascondersi per evitare l’arrivo della seconda. Niente automatismi e niente riflessi «meccanici » dunque, ma la consapevolezza che una scossa elettrica è dolorosa e conviene cercare di nascondersi da qualche parte per evitarla di nuovo. Una reazione consapevole dunque, proprio come quella della povera aragosta. Ora alcuni chef sono in crisi di coscienza, perché comunque la clientela continuerà a chiedere crostacei. «Diteci quale può essere una morte dignitosa per astici e aragoste». Potrebbe aiutarli Simon Buchaven, che ha inventato il CrustaStun, un congegno che, tramite la corrente elettrica, porterebbe all’incoscienza l’aragosta in meno di tre secondi e alla sua morte certa in meno di dieci. Ma voi ce la fate a ordinare un’aragosta al ristorante, sapendo che finirà sulla sedia elettrica?