Antonella Baccaro, Corriere della Sera 18/1/2013, 18 gennaio 2013
ROMA - Era prevedibile. Contro il redditometro delle polemiche è arrivato il primo ricorso alla giustizia amministrativa
ROMA - Era prevedibile. Contro il redditometro delle polemiche è arrivato il primo ricorso alla giustizia amministrativa. L’associazione dei consumatori Adusbef ha dato mandato ai propri legali di impugnare «in tutte le opportune sedi», dalle Commissioni tributarie al Tar del Lazio, il decreto ministeriale sul redditometro «affetto da rilevanti vizi di illegittimità, anche di ordine costituzionale, che invece di contribuire alla lotta all’evasione e all’elusione fiscale, sta ottenendo l’effetto di un ulteriore risentimento dei contribuenti onesti, spesso perseguitati, verso il Fisco e un vero e proprio Stato di polizia fiscale». Ma qual è l’addebito? Il nuovo redditometro, secondo l’Adusbef, è «in palese violazione degli articoli 3, 24 e 53 della Costituzione e dello Statuto dei diritti del contribuente, poiché pone a carico del cittadino contribuente l’onere della prova, che in qualsiasi civiltà giuridica dovrebbe essere posto in capo all’amministrazione pubblica, la quale dispone di strumenti invasivi e di accesso ai conti correnti bancari e postali, non c’entra nulla con la lotta all’evasione, assomigliando a uno strumento coercitivo teso a terrorizzare i contribuenti onesti piuttosto che gli evasori». Intanto l’Agenzia delle entrate continua a diffondere indicazioni tranquillizzanti circa l’applicazione dello strumento di accertamento sintetico. In particolare, a proposito dei consumi correnti, il vicedirettore delle Entrate, Marco Di Capua, ha spiegato che saranno misurati con le medie Istat ma se un contribuente non si riconosce nel dato, potrà fornire anche argomentazioni non documentate. «Per esempio - ha detto Di Capua - se una persona non spende per alimentari perché va a mangiare tutti i giorni dalla madre che abita nello stesso pianerottolo potrà portare questa motivazione». I parametri Undici tipologie familiari per misurare i redditi medi Il nuovo redditometro serve al Fisco per identificare eventuali redditi non dichiarati. Il ragionamento che lo guida è: se un contribuente spende una data cifra dovrà avere un reddito adeguato. Saranno proprio le grosse incongruenze a finire nel mirino del Fisco. Lo strumento riguarda qualsiasi contribuente singolo, calato però all’interno di un determinato contesto familiare (11 tipologie) e inquadrato in una determinata area geografica (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole). Le spese Anagrafe tributaria e cento voci da controllare Il Fisco cercherà di capire se quello che spendiamo è coerente con il reddito che dichiariamo. Ecco perché ha scelto cento voci da mettere sotto controllo: si tratta di spese, risparmi e investimenti. A ciascuna di queste voci il Fisco attribuirà un valore: in alcuni casi lo assumerà dalle banche dati che compongono l’Anagrafe tributaria (dati certi), per alcune altre, per le quali non ha dati incontrovertibili, assumerà il valore medio delle tabelle dell’Istat, scegliendo quello relativo alla nostra tipologia familiare e territoriale. La spia Lo scostamento tollerato? Niente verifiche sotto il 20% Ma come scatta il meccanismo del nuovo redditometro? Ogni anno il Fisco sceglie le liste dei contribuenti da mettere sotto il proprio controllo e lo fa partendo dalle situazioni in cui ha rilevato palesi incongruenze: ad esempio il pensionato che improvvisamente fa una vacanza di lusso. Al contribuente così individuato verrà applicato lo schema delle 100 voci del redditometro in modo da comporre, attraverso dati certi e dati presunti (le medie Istat), il valore del suo reddito complessivo presunto. Lo scostamento tollerato? Fino al 20%. Il calcolo Che tipo di incongruenza comporta l’accertamento Come abbiamo detto, se tra il reddito complessivo presunto del contribuente e quello che emerge dalla sua dichiarazione dei redditi del periodo considerato, c’è uno scostamento superiore al 20%, il Fisco chiederà al contribuente le necessarie spiegazioni. Ma attenzione: se lo scostamento tra i due dati è da 12 mila euro in giù, il controllo non verrà operato. La franchigia di mille euro al mese serve a correggere le approssimazioni dovute all’applicazione delle medie Istat. La franchigia Come si calcola il «bonus» di mille euro al mese Facciamo un esempio di uno scostamento superiore al 20%. Il contribuente ha dichiarato un reddito di 82 mila euro e il Fisco ne ha accertato uno da 100 mila euro. Ora, il 20% di 82 mila euro è pari a 16.400 euro. Mentre lo scostamento tra 100 mila e 82 mila euro è pari a 18 mila euro. Dunque in questo caso lo scostamento (18 mila euro) è superiore al 20% (16.400 euro) e supera anche la franchigia di 12 mila euro. Il contribuente in questione sarà dunque invitato a spiegare l’incongruenza. Gli scontrini Non bisogna conservare tutte le ricevute dal 2009 Non è necessario conservare tutti gli scontrini di ogni spesa fatta. Prima di tutto c’è una serie di spese delle quali il Fisco ha traccia: le utenze domestiche, i beni acquistati per una cifra superiore ai 3.600 euro, i premi assicurativi, ecc. Meglio conservare documentazione di acquisti importanti, come quelli dei beni durevoli, tipo gli elettrodomestici. O le ricevute di spese inconsuete, come vacanze e viaggi. Il Fisco non farà accertamenti su scostamenti dalle medie Istat. Il bonus Dividendi e interessi, la mappa delle esenzioni Esistono redditi che non risultano in dichiarazione che possono consentire al contribuente di spiegare la disponibilità di un maggior reddito rispetto a quello dichiarato. Tra questi, i redditi legalmente esclusi dalla base imponibile poiché tassati in percentuale inferiore al reale realizzo, come i dividendi, o quelli tassati in misura forfettaria, come i redditi fondiari. Oppure le borse di studio, le indennità di accompagnamento, le pensioni sociali. L’accusa Chi non dimostra le spese pagherà il 30% della somma È bene chiarire che il Fisco chiederà al contribuente la spiegazione della maggiore incongruenza da cui è partito l’accertamento. Dunque, rispetto all’esempio fatto; il pensionato dovrà dimostrare come ha fatto a fare la vacanza di lusso. Se ci riuscirà nel contraddittorio cui sarà chiamato, la questione è chiusa. In caso contrario partirà l’accertamento vero e proprio e il contribuente dovrà versare il 30% della maggior somma dovuta al Fisco. La difesa Ecco i tre modi consentiti per dare spiegazioni al Fisco Il contribuente potrà difendersi sostanzialmente in tre modi: 1) dimostrando che il Fisco ha ricostruito in maniera scorretta la spesa: un errore materiale da dimostrare documenti alla mano; 2) che il pagamento è stato fatto da terzi (tramite bonifico, assegno o altro) oppure è una donazione (serve la prova) o che stato fatto tramite mutuo; 3) che l’acquisto è frutto di risparmi su più anni (servono gli estratti conti da cui emerge tale dato). Il rischio Gli 007 verificheranno 35 mila contribuenti L’Agenzia delle entrate ha chiarito che non interpreta il redditometro come uno strumento di accertamento di massa. Quest’anno è previsto che gli accertamenti sintetici siano 35 mila su una platea di contribuenti pari a 40-50 milioni. I redditi su cui potremo, da marzo, essere chiamati a dare spiegazioni sono quelli dal 2009 in poi. Questo perché il decreto che ha dato vita al redditometro fu emenato nel 2010, prima della presentazione delle dichiarazioni. *** ANTONELLA BACCARO ROMA - Una franchigia di 12 mila euro l’anno. Ecco la prima novità sul redditometro lasciata trapelare ieri dall’Agenzia delle Entrate: gli scostamenti tra spese e reddito dichiarato dai contribuenti sotto quella soglia non faranno scattare l’indagine del Fisco. E di queste novità dovrebbe arricchirsi la circolare che l’Agenzia delle Entrate deve emettere per chiarire tutti i dubbi sul nuovo redditometro ma soprattutto per «aggiustare il tiro» e sopire una volta per tutte le polemiche politiche. Ieri anche la Corte dei conti ha chiesto cautela affinché si eviti «un uso disinvolto delle informazioni non verificate». Mentre il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha chiesto il ritiro dello strumento di accertamento, che pure è stato messo a punto dal governo Berlusconi. Ma più che per una marcia indietro è probabile che il governo Monti opti per una frenata, operata appunto attraverso la circolare. Di questo dovrebbero aver parlato ieri sera a Palazzo Chigi il premier Mario Monti e il direttore dell’Agenzia, Attilio Befera in un incontro che è stato presentato come uno scambio di informazioni sulle entrate. In realtà una nota esplicativa dell’Agenzia delle Entrate sul redditometro era già pronta per essere emessa non appena i toni si fossero smorzati. Ma a questo punto è probabile che la nota venga assorbita dalla circolare che ha efficacia pienamente normativa e senza della quale, peraltro, i controlli del redditometro non potranno partire. Nella circolare l’Agenzia delle Entrate spiegherà l’intento degli accertamenti, la natura, che «non è di accertamento di massa», e la modalità delle verifiche. Una novità tranquillizzante l’ha già anticipata ieri il vicedirettore dell’Agenzia delle Entrate, Marco Di Capua, in un convegno organizzato dal presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, Maurizio Leo. «I controlli che verranno effettuati con il redditometro - ha spiegato - non prenderanno in considerazione scostamenti tra spese e reddito dichiarato pari a mille euro al mese: 12 mila euro l’anno» con questo introducendo una sorta di franchigia che dovrebbe annullare il peso delle famigerate medie Istat nel conteggio del reddito complessivo. «Il redditometro - ha detto il vicedirettore - è uno strumento utile e idoneo per intercettare forme di evasione spudorata e finti poveri». E ancora: «Con la platea di spesa ampliata, e non limitata da alcuni beni come in passato, non c’è criminalizzazione della ricchezza perché è giusto impiegare liberamente il proprio reddito». Sul redditometro «si sta aggiustando il tiro» ha svelato Maurizio Leo, che ieri nel convegno ha ospitato anche Befera: «Si va sulla strada di tener in minor considerazione gli elementi statistici». Befera, al convegno, aveva infatti precisato: «Il redditometro è uno strumento che a differenza del passato abbandona il ricorso alla presunzione di disponibilità di pochi beni e si concentra sulla spesa effettiva del contribuente che ha un reddito non adeguato a supportarla». Intanto sulla Tares, la nuova tassa rifiuti, al Senato si è giunti a un compromesso: slitta a luglio il pagamento della prima rata. Il decreto relativo passa ora alla Camera. GRIGLIA DELLE VERIFICHE ISIDORO TROVATO MILANO - L’allarme era noto. Tutti gli esperti di fisco, con parole quasi identiche, si auguravano che il nuovo redditometro non si trasformasse in una sorta di studio di settore applicato alle famiglie. Per molti versi si è verificato esattamente l’opposto. Redditest e redditometro, i due nuovi strumenti messi a punto dall’Agenzia dell’Entrate nella «lotta senza quartiere» all’evasione, presentano incoerenze e disfunzioni tipiche di un modello induttivo di solito applicato alle imprese. Il meccanismo del Redditometro prevede l’analisi reddituale del contribuente, o di tutto il suo nucleo familiare, attraverso il confronto tra il reddito dichiarato e una serie di spese che si ritengono effettuate in ogni caso. In sostanza, il «paniere» delle spese familiari verrà rilevato sulla scorta dei dati presenti nella «Banca Dati Tributaria» (che riporta tutti i movimenti «tracciati» e quindi riconducibili al contribuente); in assenza di tali dati, si applicano, in via presuntiva, parametri base previsti dalla tabella Istat sulle spese medie di un nucleo familiare. Per aiutare a capire meglio, i Consulenti del lavoro hanno individuato quattro casi esemplari in cui redditest e redditometro si incrociano creando una griglia del tutto virtuale. «Partiamo con un esempio legato al turismo - spiega Rosario De Luca, responsabile Fondazione studi dei Consulenti del lavoro - se, compilando il Redditest alla voce "Spese per Alberghi" si indica un importo pari a zero, viene comunque conteggiato un valore di 660 euro annui così come previsto dalla media Istat. Si tratta in sostanza di alcune voci di costo che comunque sono presuntivamente considerate come effettuate, anche se ciò realmente non avviene. Rientrano nella categoria delle spese considerate non strettamente necessarie per la sopravvivenza del contribuente e del suo nucleo familiare: gioielleria, argenteria, orologi, saloni di bellezza, parrucchieri, barbieri, estetiste, che quindi nel redditest concorrono a determinare l’incoerenza del contribuente». E allora ecco il paradosso: una famiglia che, per risparmiare, ha passato l’estate in città tra una bibita ghiacciata e un po’ di condizionatore, vedrà comunque conteggiati 660 euro di spesa. Invece qualche furbo potrebbe infilarsi nelle pieghe del meccanismo: alla voce gioielli infatti è indicata, secondo i consulenti, la spesa presuntiva di 60 euro. Se un evasore volesse sfruttare l’occasione, potrebbe acquistare un anello da mille o più euro e chiedere uno scontrino (che non rientra nella banca dati tributaria) rimanendo così sotto traccia. Ma il terreno dei paradossi aperti da redditometro e redditest sembra davvero sconfinato, al punto da prestarsi persino a episodi che fanno sorridere. E così i Consulenti del lavoro sono andati a cercare il corto circuito del caso limite. La Fondazione Studi ha esaminato tre casistiche (con tre soluzioni diverse) e un reddito certificato di 31 mila euro, ovvero quanto guadagna un dipendente dell’Agenzia delle Entrate (qualifica funzionale F1, compresi i redditi a tassazione separata costituiti da premi e incentivi riferiti ad anni precedenti) con residenza a Roma e Milano. Sono state inserite spese induttive: si pensi alle assicurazioni auto (prettamente utilitarie), ad un minimo di spese per una vacanza annuale (500 euro), alle quote per l’energia elettrica (600 euro), il gas (600 euro) e la telefonia mobile e fissa (400). Dunque non esattamente un tenore di vita da nababbi. Eppure il risultato è quantomeno sorprendente: nessuno dei tre dipendenti di Equitalia risulterebbe coerente al redditest. Segno che la legge è uguale per tutti, direte voi. Certo, ma anche prova evidente che i parametri del redditometro appaiono a volte troppo restringenti e le variabili applicate non sempre affidabili. E chissà, magari potrebbe essere utile condurre la «guerra santa» all’evasione fiscale anche senza partire dal presupposto che chiunque sia evasore. Isidoro Trovato MONTI INCONTRA BEFERA SUL REDDITOMETRO ROMA - Non una marcia indietro ma forse qualche correzione di rotta, a partire dal depotenziamento degli elementi puramente statistici. Di redditometro hanno parlato ieri sera Mario Monti e Attilio Befera: in qualche modo un chiarimento inevitabile, dopo le parole con cui il presidente del Consiglio aveva preso le distanze dal nuovo strumento di contrasto all’evasione, a pochi giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del relativo provvedimento. Ma come ha spiegato ieri il numero due dell’Agenzia delle Entrate, Marco Di Capua, di fatto l’attività degli uffici fiscali non è ancora partita. Servirà, dopo il decreto che porta la firma del governo, anche una specifica circolare delle Entrate che non è ancora pronta. Con tutta probabilità la stesura di quel testo sarà l’occasione per i primi aggiustamenti. Un’indicazione concreta l’ha data già lo stesso Di Capua, spiegando che non saranno considerati ai fini dell’accertamento scostamenti tra reddito e spesa fino a 1.000 euro al mese, 12.000 euro l’anno. Si tratta di una garanzia aggiuntiva rispetto a quanto già previsto nello schema attuale del redditometro, in base al quale sono significativi scostamenti pari ad almeno il 20 per cento: una fascia di tolleranza espressa in termini assoluti, oltre che percentuali, di fatto mette al riparo l’applicazione dello strumento da possibili effetti paradossali dovuti proprio all’inclusione delle medie Istat sui consumi. UN NUOVO PROVVEDIMENTO Potrebbe essere invece necessario un nuovo provvedimento legislativo per modificare in senso più esplicito la composizione del redditometro, riducendo o addirittura eliminando la componente statistica, che convive con quella derivante dai dati effettivi relativi al contribuente (ricavati dalle banche dati del fisco e di altri organismi pubblici). È chiaro che i valori medi di consumo delle famiglie, per quanto calibrati in base alla loro numerosità e alla residenza geografica, possono non fotografare la situazione dei singoli. L’accentuazione del ruolo dei dati effettivi di spesa non dovrebbe però cambiare l’impostazione di fondo, basata appunto sul confronto tra la capacità di spesa come ricostruita dall’amministrazione finanziaria e il reddito dichiarato dal contribuente. La potenziale incoerenza dovrebbe in prima battuta fungere da deterrente per il contribuente, spingendolo ad un comportamento più corretto in sede di dichiarazione; poi concretizzandosi in un’effettiva discrepanza darebbe il via all’azione di indagine del fisco, con la possibilità per l’interessato di fornire le proprie spiegazioni anche prima dell’avvio formale dell’accertamento. Non si tratterà comunque di un accertamento di massa. Sempre secondo il numero due dell’Agenzia delle Entrate Di Capua, i controlli non arriveranno a 40 mila l’anno, con l’obiettivo di «intercettare forme di evasione spudorata e i finti poveri». Un forte invito a usare lo strumento con attenzione è venuto anche dal presidente della Corte dei Conti: bisogna «evitare un uso disinvolto delle informazioni non verificate» che potrebbero appunto essere quelle di origine statistica, ha detto Giampaolino. In generale per la Corte serve «massima attenzione e massima cautela», vista anche «l’alta incidenza della tassazione». IL GETTITO MAI INCASSATO L’assetto finale del redditometro dipenderà insomma dalle scelte che farà il nuovo governo. Lo strumento ha avuto fin qui una gestazione molto lunga: sono del maggio 2010 le norme che modificando il vecchio accertamento sintetico ne dettavano le caratteristiche principali. Ma ci sono voluti oltre due anni perché si arrivasse alle soglie della fase operativa. Va ricordato che con la legge del 2010 furono stimati anche gli effetti positivi per il bilancio pubblico: tra i 700 e gli 800 milioni l’anno già a partire dal 2011, dovuti in larga parte - secondo le previsioni - all’adeguamento spontaneo dei contribuenti. Quei soldi naturalmente non sono mai arrivati, o almeno non sono stati contabilizzati in quanto tali: quando nella primavera dello scorso anno il governo Monti con il Documento di economia e finanza (Def) fece il punto sull’andamento dei conti pubblici, specificò che in via prudenziale non venivano più considerati alla voce entrate i 9 miliardi della manovra 2010, firmata Tremonti, tutti derivanti da provvedimenti di lotta all’evasione. BERLUSCONI IL REDDITOMETRO DIVERSO - Monti aveva contestato in particolare il redditometro, lo strumento di monitoraggio del tenore di vita degli italiani agganciato al sistema fiscale, definito dal premier: «Un’altra bomba a orologeria del mio predecessore», ovvero Berlusconi. Che ribatte: «Il redditometro era totalmente diverso da quello portato avanti da Monti: ad esempio ora c’è l’inversione dell’onere della prova e ci sono tutte quelle voci che spaventano i cittadini, ed è disincentivante dei consumi, se aggiungiamo l’impossibilità di pagare in contanti fino a 999 euro e con la sinistra entreremo in uno stato di polizia tributaria perchè vuole alzare il limite a 300; hanno congelato completamente gli acquisti di certi beni. Tutto questo produce contrazione dei consumi e riduzione delle vendite e si ha un esubero dei lavoratori; si va nella spirale recessiva drammatica».