Claudia Astarita, Panorama 17/1/2013, 17 gennaio 2013
COME DITE GRECIA IN GIAPPONE?
Per fare uscire il Giappone dalla recessione servono 224 miliardi dì dollari così da creare 600 mila nuovi posti di lavoro e spingere di 2 punti percentuali un pil che ristagna da oltre 20 anni. Parola del neopremier Shinzo Abe: «Il Sol Levante continuerà a essere la terza potenza economica mondiale. Chi crede che ci trasformeremo presto nella Grecia dell’Asia si sbaglia». Un punto è certo: elementi che confermino il possibile fallimento nipponico non mancano. L’economia è debole, la domanda privata ai minimi storici, il debito pubblico sta per raggiungere la soglia dei 15 mila miliardi di dollari, pari al 230 percento del pil (valore in confronto al quale il 165 per cento della Grecia diventa meno allarmante). Sinora il debito è stato finanziato da piccoli risparmiatori poco consapevoli che il sistema appare destinato a implodere entro massimo 12 anni. Ma, una volta raggiunto il punto di non ritorno, chi salverà la terza economia del pianeta?
Per il capo del governo liberaldemocratico quel momento non arriverà mai. Ecco perché, dopo avere festeggiato la sua rielezione a suon di slogan nazionalistici (contro le donne coreane sfruttate come mercé sessuale durante l’occupazione giapponese e contro le ambizioni di Pechino e Seul sulle isole «nipponiche» Senkaku e Takeshima), si è impegnato per fare approvare in tempi rapidissimi un pacchetto di stimoli che non ha precedenti. Tutto concentrato su ricostruzione post tsunami, recupero della competitività industriale, istruzione, sicurezza sociale e, soprattutto, infrastrutture. In quest’ultimo comparto saranno investiti 56 miliardi di dollari nei prossimi 3 mesi.
È la rapidità con cui saranno investite le risorse a potere fare la differenza tra il piano Abe e i 14 che l’hanno preceduto dal 1999 a oggi. Ma per tanti economisti la manovra ha fini esclusivamente politici: permetterebbe al premier di conquistare la camera alta alle elezioni di giugno. In molti si aspettano che dichiari di volere adottare in tempi stretti le riforme strutturali fondamentali per prolungare l’effetto degli stimoli, per poi frenare ogni cambiamento una volta raggiunto il suo obiettivo. (Claudia Astarita)