Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 18/1/2013, 18 gennaio 2013
PRIMI TAGLI ALL’EXPORT DI GAS PER L’ITALIA
Agli occhi dell’Europa, e soprattutto dell’Italia, l’Algeria è uno di quei Paesi africani che conta. E non solo per la sua grandezza - è il Paese più esteso dell’Africa (quasi otto volte l’Italia) - quanto per una risorsa naturale di cui dispone in abbondanza: il gas.
La dipendenza italiana dal metano di Algeri è innegabile: secondo gli ultimi dati rintracciabili sul sito del ministero dello Sviluppo nel 2011 il 32,6% di tutto il gas che l’Italia ha importato dall’estero è arrivato proprio dall’Algeria. In alcuni periodi si è arrivati anche al 35 per cento. Un quantitativo rilevante, considerando che di gas nel nostro territorio ne produciamo davvero poco: circa il 10% dei consumi complessivi.
Il grave attentato al giacimento algerino di "In Amenas", il terzo dell’Algeria per produzione, e il tragico epilogo di ieri, hanno avuto subito un impatto sulle nostre importazioni. Un portavoce di Snam ha spiegato al Sole 24 Ore l’entità della riduzione. «Nel tardo pomeriggio abbiamo stimato che i flussi di gas provenienti dall’Algeria - ha spiegato - sono scesi a 62 milioni di metri cubi rispetto ai 75,2 milioni di metri cubi che in questo periodo l’Italia importa di media dall’Algeria».
Un calo, dunque, di circa il 17%. Un quantitativo che, per ora, l’Italia può agevolmente gestire grazie ai suoi stoccaggi, al gas della Russia, nostro secondo fornitore, e a un clima non eccessivamente troppo rigido nei Paesi produttori. Il punto interrogativo, tuttavia, sarà la durata del blocco produttivo del sito di "in Amenas". Vale a dire se i bombardamenti dell’esercito algerino hanno danneggiato le infrastrutture. O se gli estremisti islamici, in un gesto disperato, decideranno di far terra bruciata, ricorrendo all’esplosivo che si sono portati.
Di certo è che il rapporto che lega Italia e Algeria è vitale per la nostra economia. Il gasdotto che dal giacimento algerino di Hassi R’Mel (il primo del Paese) transita per la Tunisia e poi arriva sulle nostre coste, a Piombino (conosciuto come Transmed), è un cordone ombelicale a cui non potremmo rinunciare. È il gasdotto di oggi. C’è poi quello di domani: il progetto di Galsi, una pipeline che dovrebbe arrivare in Sardegna e da lì terminare in Toscana. Il gas per riempire i tubi non manca. L’Algeria, Paese membro dell’Opec che produce ogni giorno anche 1,4 milioni di barili, dispone delle seconde riserve di gas di tutta l’Africa. Ma nel suo immenso sottosuolo si nasconderebbero altri giacimenti. Come testimoniano le ultime scoperte in cui sono coinvolte aziende italiane, tra cui l’Enel. Senza dubbio il vigoroso aumento dei consumi interni algerini sta erodendo parte dell’export. Ma l’Algeria dispone di un altro promettente settore da sfruttare: le shale gas. Ci vorranno 10-15 anni affinché possano entrare in produzione, e sarà necessaria l’indispensabile tecnologia delle aziende straniere.
Le aree meridionali, e desertiche, del Paese sembrano le più promettenti. Ma c’è un problema. L’estensione del territorio è al contempo un punto di forza, ma anche uno di debolezza. Nonostante gli sforzi del Governo algerino contro il terrorismo islamico, la protezione dei siti energetici è complessa. Loè ancora di più un controllo efficace delle sue lunghissime frontiere, spesso ancora troppo porose. I gruppi estremisti islamici si muovono con facilità in questo territorio.
L’Algeria è dunque un Paese chiave per l’Italia. Per molte ragioni. Infrastrutture, energia, lotta al terrorismo, immigrazione clandestina, difesa. Proprio i temi al centro degli accordi firmati lo scorso novembre ad Algeri tra il Governo italiano e quello algerino.