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 2013  gennaio 18 Venerdì calendario

BABY DELINQUENTI CRESCONO

[Ragazzini che rubano, rapinano e spacciano. Stranieri, ma anche italiani “bene”. Sono sempre di più, soprattutto a Roma. Dove pusher in erba offrono sconti, promozioni e “confezioni regalo”] –
La delinquenza minorile cambia pelle. Si riduce il fenomeno nel suo complesso ma nelle aree metropolitane, Roma in testa, aumentano lo spaccio e i furti tra italiani e immigrati. E il target, in molti casi, è il gruppo dei pari: a scuola o nei luoghi di ritrovo. Non solo. Preoccupa il flusso imponente di minori non accompagnati che, senza un adeguato percorso d’inserimento, rischiano di perdersi. Le difficoltà di integrazione per gli adolescenti che si ricongiungono alla famiglia sono un altro problema: ragazzi già formati, che scoprono un’Italia diversa da quella immaginata. La delusione li spinge a cercare consenso tra i giovani connazionali e, spesso, a deragliare sui binari della devianza.
Sono 2.194 i minori autori di reato ospitati nei centri di prima accoglienza, 1.256 italiani e 936 di altri Paesi (dati del dipartimento Giustizia minorile, aggiornati al 9 gennaio 2013). Trend in calo progressivo dal 2006, quando i ragazzi in stato di arresto, fermo o accompagnamento in attesa dell’udienza di convalida erano 3.505. La fascia prevalente è quella tra i 17 anni (913) e i 16 (662). La maggioranza degli stranieri proviene da Romania (207), Bosnia-Erzegovina (136) e Africa (234, di cui 85 dalla Tunisia e 71 dal Marocco). I reati più diffusi sono quelli contro il patrimonio (1.828, di cui 1.142 furti e 527 rapine) e lo spaccio di stupefacenti (636). Roma è prima per numero d’ingressi (512), seguita da Milano (265), Napoli (262) e Torino (148). Salgono le presenze nelle comunità educative (da 1.772 nel 2006 a 1.993 nel 2012) e gli under 18 presi in carico dai servizi sociali (da 14.744 a 20.396 negli ultimi cinque anni), mentre diminuiscono i detenuti negli istituti penali minorili (da 1.362 a 1.252).

Genitori spesso ignari. La capitale è in controtendenza per alcune categorie di reati: crescono i furti (di ciclomotori, con strappo o con destrezza, nelle attività commerciali e in abitazioni) e lo spaccio, come risulta dalla banca dati del ministero dell’Interno. Per il traffico illegale di stupefacenti, «l’impennata è dovuta al rafforzamento dei controlli su piazza e all’aumento del consumo», ragiona Raffaele Clemente, a capo della sezione anticrimine della Questura di Roma. Lo conferma il vice questore aggiunto, Rossella Matarazzo: «Da qualche anno si moltiplicano i piccoli pusher in erba, non solo nelle realtà disagiate, ma anche tra la Roma bene. Quindici, sedicenni organizzati con bilancino, taccuino per registrare le entrate e le uscite, pacchetti regalo a prezzi scontati per le feste di Natale o di compleanno». La motivazione, quasi sempre, è il guadagno facile: per acquistare l’ultimo modello di smartphone e tablet o il capo firmato. E i genitori? «Quando perquisiamo la stanza del figlio, il più delle volte sono increduli. Se hanno il minimo dubbio, in molti casi tendono a sottovalutarlo per non incrinare l’immagine del ragazzo». A volte, però, sono loro a sollecitare il fermo o l’arresto, angosciati dalle possibili conseguenze. Tra i teenager si verificano spesso anche furti di telefonini ed estorsioni: «Ricordo l’alunno di un istituto tecnico costretto da un compagno a consegnargli tutti i giorni la paghetta», ricostruisce Matarazzo. «La madre ha sporto denuncia e abbiamo chiesto alla vittima di girare un video».
Accanto agli italiani, ci sono poi gli immigrati di seconda generazione che tendono a unirsi in piccole bande senza assumere mai una vera identità criminale. «Filippini, cinesi, marocchini, bengalesi che vivono a Centocelle, in periferia, ma studiano in centro», sottolinea il vice questore. «Il pomeriggio, mentre le madri lavorano come tate o badanti, si ritrovano nei giardini di piazza Vittorio o a piazza Dante nel rione Esquilino». Tra una partita a basket e l’ozio da muretto qualcuno spaccia, qualcun altro si dà al borseggio.
Tra le nuove sacche di marginalità, preoccupa il flusso imponente di minori non accompagnati: «Nelle strutture di accoglienza ne collochiamo in media tre al giorno, molti sono i fiori della Primavera Araba», racconta Clemente, «e se non vengono inseriti in programmi adeguati, tra cinque anni rischiano di diventare un grosso problema». Motivo per cui la Questura sta avviando un programma di monitoraggio per interventi personalizzati, in stretta collaborazione con i servizi sociali. «L’anno scorso, durante una perquisizione contro il lavoro nero al Cargest di Guidonia (il più grande mercato agroalimentare di Roma, ndr) abbiamo trovato un tredicenne marocchino chiuso in un camion. Dall’odore di pesce si capiva che aveva passato tutta la notte a scaricare, ma come paga aveva ricevuto una sacca di cipolle». È verosimile che Mohamed e molti nelle sue condizioni per sottrarsi alla schiavitù si ingegnino in attività meno pesanti e più remunerative.
A Milano, in linea con il quadro nazionale, il fenomeno sembrerebbe essere in attenuazione: nel 2012, secondo i dati forniti dalla Questura, i minori indagati in stato di libertà sono 378 contro i 421 del 2011. Gli arrestati scendono da 81 a 45, i minori non imputabili da 58 a 34. E però, chi opera sul campo percepisce una sostanziale stabilità: «Dieci anni fa erano soprattutto romeni e nordafricani», ricostruisce il responsabile di una comunità per minori dell’area penale, «poi sono subentrati i sudamericani per riconciliazione con il nucleo familiare». Il cortocircuito parte da qui, dal combinato esplosivo di speranze deluse e difficoltà di adattamento: «Ragazzi cresciuti con le rimesse della madre e il sogno di trovare l’eldorado che, all’arrivo in Italia, si imbattono in una vita di sacrifici e rinunce». Motivo per cui non riescono a integrarsi e cercano sponda nel gruppo di connazionali, surrogato dell’utero materno.

Violenza come tratto distintivo. Le pulsioni aggressive si annidano anche tra gli italiani, per lo più in famiglie complesse e disgregate: «Nei quartieri milanesi di Quarto Oggiaro, Barona, Gratosoglio», spiega il responsabile della comunità che accoglie minori in regime custodiale o di messa alla prova, «la criminalità è vista come segno di appartenenza al quartiere». Per questo, è fondamentale il reinserimento: «Stiamo implementando l’istituto della mediazione che negli ultimi dieci anni ha dato ottimi risultati con una drastica riduzione delle recidive», spiega Serenella Pesarin, direttore generale per l’Attuazione dei provvedimenti giudiziari del dipartimento Giustizia minorile. Per l’efficacia del percorso (messa alla prova o affidamento ai servizi sociali) – la valutazione positiva può interrompere il procedimento penale – bisogna poter contare sui servizi territoriali: «Se vengono meno i finanziamenti degli enti locali», ricorda Pesarin, «è difficile promuovere interventi mirati di scolarizzazione, responsabilizzazione e formazione lavoro. Sarebbe un danno gravissimo per un modello come il nostro, tra i migliori d’Europa: basta confrontare i dati dell’Italia con quelli della Francia, dove i minori nel circuito penale sono più di 180 mila».