Federica Bianchi, l’Espresso 18/1/2013, 18 gennaio 2013
ANCHE L’ARTICO PARLA CINESE [I
ghiacci polari si sciolgono rendendo navigabile il passaggio a Nord-Est. Ora è possibile trasportare merci in Europa con meno tempo e denaro. I retroscena della nuova sfida di Pechino] –
uando il rompighiaccio Drago delle Nevi ha lasciato il porto di Shanghai per fare rotta verso il Polo Nord l’estate scorsa non ha solo dato avvio alla prima esplorazione artica nella storia della Cina ma ha anche fissato un importante segnaposto in quella che nei prossimi anni diventerà una delle zone più trafficate del mondo.
Ad affrontare per prima i ghiacci del "passaggio di Nordest" era stata la Germania nel 2009, seguita da Giappone, Danimarca, Canada e Gran Bretagna. Da allora il numero dei vettori in transito è in aumento: con lo sciogliersi dei ghiacci - e il 2012 è stato un anno di caldo record - la rotta settentrionale che, scorrendo lungo le coste russe, collega la Siberia al Nord Europa, si dimostra sempre più accessibile alle flotte asiatiche sia in termini logistici che commerciali. Considerando che l’anno scorso ben 85 mila navi hanno attraversato lo stretto di Malacca e 75 mila quello di Aden, che è poi la porta del canale di Suez, contro le sole 45 che hanno raggiunto lo stretto di Bering al Nord, i margini di sviluppo sono esponenziali.
A capirlo per primi sono stati i fenomenali esportatori dell’Est del mondo: Corea, Giappone e Cina. Inizialmente attratti soprattutto dalle ricchezze minerarie del sottosuolo ghiacciato, si sono rapidamente resi conto che la rotta artica ridurrebbe i tempi di trasporto verso l’Europa delle loro merci del 40 per cento. I costi per una nave cargo dalla portata massima di 40 mila tonnellate scenderebbero di circa 600 mila euro e non dovrebbero più temere i pirati che infestano le acque al largo dalle coste della Somalia, obbligando le società commerciali a spendere centinaia di migliaia di dollari per la protezione degli equipaggi.
Certo non tutte le spese sono in discesa. Per navigare le acque del Polo occorreranno delle navi capaci di affrontare il ghiaccio polare, e queste hanno un costo superiore di circa il 15 per cento rispetto ai cargo attuali. Non poco per investimenti che si aggirano sul miliardo di euro. E poi ci vorranno ancora dieci anni prima che le acque diventino facilmente navigabili e nel frattempo le incertezze del clima si tradurranno in incertezze di tempi di consegna, un problema serio per quei carichi che devono arrivare in date esatte.
Nel caso della Cina le ragioni per spostare le rotte commerciali dall’equatore al Polo nord non sono esclusivamente economiche. Quasi tutto il suo commercio estero legato agli oceani e la maggioranza dei suoi rifornimenti enegetici è costretta ad attraversare lo stretto di Malacca, quel lembo di mare che separa la Penisola malesiana dall’isola indonesiana di Sumatra. Non è un caso che lo Stato di Singapore, adiacente allo stretto, ospiti un’enorme base navale americana. Questa è di fatto divenuta il supervisore dello stretto, e in caso di un conflitto tra la prima e la seconda potenza mondiale quest’ultima sarebbe enormemente danneggiata dalla chiusura del passaggio dei suoi rifornimenti di petrolio. Meglio diversificare i transiti.
Così la Cina ha iniziato a stringere alleanze con i big del Nord del mondo, come Russia e Canada, e a sedurre i paesi economicamente più deboli. Da qualche anno gli emissari di Pechino, che ha già messo in cantiere la costruzione di un altro rompighiaccio da 8 mila tonnellate, si trovano puntualmente in prima fila a tutte le riunione del Consiglio artico, l’organizzazione che riunisce gli stati intorno alla calotta polare (Russia, Canada, Stati Uniti, Danimarca, Islanda, Norvegia, Svezia e Finlandia) e hanno da tempo chiesto l’ammissione come osservatori permanenti sostenendo di essere uno Stato "quasi-artico".
Per promuovere la loro richiesta la scorsa estate ministri e funzionari di alto livello hanno visitato la Danimarca (dove si è recato addirittura il presidente Hu Jintao), la Svezia e l’Islanda, offrendo lucrativi accordi commerciali. In Canada le aziende cinesi hanno acquistato quote in due società di esplorazione petrolifera che potrebbero offrire loro accesso alle risorse artiche. In Islanda il primo ministro Wen Jiabao ha siglato contratti economici che spaziano da aperture commerciali allo sviluppo dell’energia geotermica. In Groenlandia stanno già investendo attraverso una società mineraria che nonostante si chiami "London Mining" è finanziata da capitali cinesi. «Stanno per inviare 2 mila operai cinesi su una popolazione indigena che conta complessivamente 6 mila abitanti», spiega Antonio Tajani, il commissario europeo inviato di corsa in Groenlandia lo scorso giugno per impedire che la Cina conquistasse l’esclusiva sullo sfruttamento dei suoi giacimenti minerari.
I cinesi non sono gli unici a voler conquistare un seggio permanente nel Consiglio. In attesa ci sono anche l’Italia, la Corea del Sud, il Giappone e l’Unione europea. La decisione verrà presa il prossimo maggio, quando il Canada avrà assunto la presidenza biennale del Consiglio. Quest’ultimo, nato come un foro eminentemente scientifico con funzioni di ricerca dell’ecosistema polare, si sta rapidamente trasformando in una mini Onu del Nord del mondo, cui spetterà negoziare non solo diritti e doveri sui territori una volta coperti dal ghiaccio e ricchissimi di petrolio, gas e risorse minerarie, ma anche tariffe e modalità di attraversamento dei ghiacci in scongelamento.
Secondo l’ex comandante marittimo russo Vladimir Vladimirovich Mikhailinchenko, il livello tariffario ottimale sarebbe quello imposto per l’attraversamento del canale di Suez (cinque dollari per tonnellata) ma fino al 2010 la Russia chiedeva dai 20 ai 30 dollari. Negli ultimi due anni invece, con l’aumentare dell’interessamento degli asiatici, non solo le tariffe hanno preso a scendere ma fioriscono le iniziative logistiche per favorire i commerci.
Mosca ha perfino messo sul piatto l’ipotesi di una "navetta artica" tra Murmansk, il porto russo non lontano dal confine con la Norvegia e la Finlandia, e Petropavlovsk-Kamchatsky, un’altra cittadina portuale vicina alle coste del Giappone. L’idea è quella di una nave cargo regolare che trasporti i container fino a Murmansk dove verrebbero trasferiti su una nave cargo adatta all’attraversamento dei ghiacci. Da qui potrebbero proseguire fino a Petropavlovsk-Kamchatsky e poi, nuovamente su un cargo regolare, fare rotta verso Cina e Giappone.
E se la navetta artica dischiuderebbe ulteriori opportunità commerciali tra Occidente e Oriente certo è che ormai nessun capo di Stato crede più che oltre l’Ottantesimo parallelo ci siano solo ghiacci e orsi polari: con il riscaldamento del globo si è aperta una nuova frontiera della politica estera mondiale.
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