Domenico Quirico, La Stampa 18/1/2013, 18 gennaio 2013
I blindati, con il tricolore in testa, verso il Niger con le sue stoppie, le sue arene, le sua caldure
I blindati, con il tricolore in testa, verso il Niger con le sue stoppie, le sue arene, le sua caldure. E a Bamako si combatte la miseria vendendo le bandierine della République! È opera davvero di alta stregoneria questa guerra francese al terrorismo, almeno finora! Non c’è vicolo dove non te la offrano, la bandiera, venditori vengono all’abbordaggio con urla da pirati e con mazzi bianchi rossi e blu estratti con una solennità da gioielli sacri. È il nuovo grande affare dei pezzenti di quaggiù, più delle maglie della nazionale di calcio impegnata nella coppa d’Africa. Dunque: la Francia sfruttatrice e sanguisuga dei cui permanenti «maleficia» è intrisa anche questa emergenza, sembra aver lavato tutti peccati nell’acqua lustrale del fraterno aiuto al Mali invaso da tuareg e terroristi. All’ufficio dell’immigrazione la Madame, di forme scultoree e gentili, imprime timbri e numeri di registro sulle pratiche e intanto sussurra: «Hollande, io l’amo più dei francesi…». Ancora a dicembre non c’era soggetto in cui il riferimento a Parigi non scatenasse ondate malediche, tutti sanno che è la Francia ad avere appiccicato al Sud, nero e contadino, per scaltri disegni postcoloniali, gli ex predoni tuareg che hanno scatenato questo putiferio. Ad acquietare ora gli escandescenti è solo la paura dei folli di Dio padroni del Nord, e l’omicida voglia di vendetta che già si respira nelle chiacchiere dell’«adesso viene il nostro turno, quando saremo lì a Gao, a Kidal…». Certi vecchioni omerici che hanno partecipato alle punizioni esemplari delle rivolte tuareg degli Anni 90 e del 2006 ti sussurrano un «viva la Francia» che pare affilato come un coltello e mette i brividi: «Senza di loro gli emiri di Aqmi sarebbero qui, eravamo inermi…». I Rafale, gli aerei da guerra meno richiesti del mondo, bombardano e, senza contraerea e rischi, dettano infallibili stime obituarie. Mille francesi si fanno onore: ma è bene che arrivino alla svelta, all’aeroporto di Bamako, i contingenti dei «nostri amici in Africa» (sempre quelli, impresentabili, corrotti dinosauri, che ci sia la destra o la Gauche all’Eliseo). La brutalità dell’attacco dei taleban delle sabbie li ha scossi dal prudente letargo. Togolesi e beninois non contano molto, faranno numero, i comandanti li abbiamo visti nell’hotel più chic comprare da un astuto locale le foto ricordo da mandare a casa. Sono in volo, semmai, attesissimi come star, i ciadiani: questi sì guerrieri scaturiti dal deserto come i nemici del Nord, e saranno duemila. Il loro presidente non è proprio immacolato, ma non importa, è la guerra. Bisogna rapidamente africanizzare la lotta al terrorismo, per risparmiare fondi e figuracce. Pensate se i francesi entrassero, bandiere in testa, nelle prossime settimane a Timbuctù, liberata nelle sue muraglie di argilla! Lo diceva un francese che vive a Bamako, gli occhi già lustri di goduria, non un insabbiato nostalgico, un socialista che ha votato Hollande. Ah, il colonialismo francese non fu per caso tutto di gauche. Si svela, sul campo, una guerra dell’allegro colonialismo d’affari. Una guerra combattuta, sul suolo del Mali, per difendere l’uranio di Areva, nel vicino e minacciato Niger, e per non perder la faccia di fronte a quanto resta della FranceAfrique. Eppure a Bamako, Paese senza Stato, governo ed esercito, uno dei più poveri del mondo, non sono solo bandierine e urrah. Salmeggiano terrori, voci vendette: la gendarmeria dà la caccia ai «wahabiti». Fa paura adesso questa fede gagliarda, in crescita come è tra giovani e plebi disperati, la si accusa di essere la quinta colonna di Aqmi. Anche le notizie della guerra sono più prudenti. Ieri la notizia, vera? falsa? comunque incontrollabile che una colonna jihadista è stata individuata a 140 chilometri dalla capitale, nella foresta di Banamba. E poi c’è Konà, città data per conquistata da giorni e invece ancora ieri ci sventolava una bandiera salafita. Superata la fase della paura, se la guerra sarà lunga, la gente non sopporterà la presenza delle truppe dell’antico colonizzatore. Comanda, ma non lo si può dire per ipocrisia, un capitan Fracassa, il capitano Sanongo, golpista che si è messo nell’ombra ma prende le decisioni chiave. Nei giorni scorsi ha mandato in strada i suoi sostenitori, non per inneggiare a Hollande, ma per manifestare contro «i politicanti». Per ricordare, lui, la guerra la voleva fare senza questi ingombranti «alleati».