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 2013  gennaio 18 Venerdì calendario

PALERMO

— La commissione di garanzia del Pd stringe l’obiettivo sui presunti «impresentabili». E i faldoni più voluminosi, sul tavolo dell’organismo presieduto da Luigi Berlinguer, sono quelli di quattro big siciliani del consenso: i senatori uscenti Crisafulli e Papania, i deputati Genovese e Capodicasa. Una decisione definitiva sulla loro ricandidatura soltanto oggi. Ma la possibile bocciatura di uno o più di questi parlamentari - coinvolti o solo sfiorati da inchieste giudiziarie scatena la reazione del partito siciliano. In una lettera inviata a Bersani e alla stessa commissione, il segretario regionale Giuseppe Lupo e i nove responsabili provinciali mettono le mani avanti: «Sarebbe inaccettabile la sollevazione di un qualunque problema», scrivono testualmente.
Un caso fragoroso che agita la vigilia del deposito delle liste da parte del Partito democratico. Sui quattro parlamentari siciliani pendono inchieste o precedenti giudiziari di poco conto: abusi d’ufficio per Crisafulli (rinviato a giudizio), Genovese (solo indagato) e Papania, che ha patteggiato nel 2002 una pena di 2 mesi e 20 giorni (poi tramutata in multa). Ma su tutti grava il peso di intercettazioni e rapporti di polizia,
ritenuti senza rilievo giudiziario, che raccontano di presunte contiguità con la mafia o che collocano questi veterani della politica nell’isola al centro di un ambiguo sistema di potere. Ed è questo l’aspetto su cui la sinistra di Ingroia ha già cominciato a sparare e sul quale qualcuno mugugna anche all’interno di un Pd che ha scelto Piero Grasso come portabandiera.
Ma il Pd siciliano, nella lettera a Bersani, insorge: «La commissione regionale di garanzia aveva già verificato, all’atto della presentazione delle candidature per le primarie, l’assenza di qualsiasi contraddizione con le norme dello Statuto e del codice etico. Ben venga un’ulteriore verifica da parte della commissione nazionale - si legge nella lettera a Bersani - ma appare del tutto discutibile la limitazione di tale verifica nei confronti di alcune candidature ». Insomma, spiega il segretario siciliano Lupo, «le regole valgono per tutti da Milano a Palermo e devono essere applicate senza pregiudizi. Qui come altrove - aggiunge - non ci sono situazione giudiziarie che il nostro partito può reputare sanzionabili. E se il problema è l’opportunità politica, beh, quella doveva essere segnalata prima delle
primarie. Ora bisogna solo rispettare quel risultato».
Un risultato che, per intenderci, ha premiato generosamente i quattro candidati sub judice: Genovese, con quasi 20 mila preferenze, è stato il più votato in Italia alle primarie di fine dicembre. E con gli altri tre ha raccolto 40 mila consensi su 102 mila votanti in Sicilia. Il Pd ora è a un bivio: può decidere, sulla base dell’«opportunità politica», di rinunciare a questo patrimonio. Oppure andare avanti noncurante delle critiche che giungono
soprattutto dall’area di Ingroia con la quale si è ipotizzato un patto di desistenza al Senato. I democrat siciliani parlano non a caso di «campagne stampa orchestrate ad arte e lesive dell’immagine di significativi esponenti politici». Oggi il verdetto della commissione di garanzia: ma non è da escludere che i vertici del Pd, prima dell’esito, possano chiedere a Papania o Crisafulli (i cui casi sono ritenuti più imbarazzanti) una autonoma valutazione sul ritiro della candidatura.