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 2013  gennaio 18 Venerdì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

PECHINO — Aung San Suu Kyi e gli oligarchi del vecchio regime. Un accostamento fino a ieri inconcepibile. Oggi non più. Perché, rivela il Times di Londra, la Lega nazionale per la democrazia (Nld), partito d’opposizione tornato alla vita politica nel 2012, guidato proprio dal premio Nobel per la Pace, ha ricevuto finanziamenti da alcuni «personaggi» che per decenni hanno prosperato nella Birmania dei generali. Uomini come Zaw Zaw, milionario con interessi nell’edilizia e nel turismo, o Tay Za, magnate del legno e delle armi, o il re della tv satellitare Kyaw Win. Uomini che sono diventati quello che sono diventati — oligarchi (il Times li definisce cronies), faccendieri con l’unico scrupolo di non dispiacere al potente di turno — grazie ai favori dei generali che per cinquant’anni hanno governato la Birmania.
Intendiamoci, non stiamo parlando di chissà che cifre. Secondo il quotidiano britannico, l’Nld ha ricevuto di recente l’equivalente di poco più di 82 mila dollari da Tay Za e 158 mila da Kyaw Win, ufficialmente per «scopi umanitari e iniziative per l’educazione». Aung San Suu Kyi, e qui è in realtà il punto, ha candidamente confermato quanto accaduto. «Queste persone definite "oligarchi" — ha dichiarato la Signora al giornale indipendente birmano Irrawaddy — sostengono da tempo le attività sociali dell’Nld e di altri. Che cosa c’è di sbagliato in questo? Invece di spendere il loro denaro in cose senza significato, hanno investito in cose che hanno senz’altro senso. Un fatto positivo».
Dunque, non importa da dove venga il denaro. Importa a che cosa serve. In effetti, Aung San Suu Kyi, 67 anni, ha offerto una spiegazione che ha suscitato ancor più perplessità. «La gente può aver accumulato ricchezze nei modi più diversi — ha detto ancora all’Irrawaddy —. Occorre tuttavia promuovere un’accurata inchiesta per poter affermare che queste persone sono state coinvolte in attività illecite».
Già, ma cosa è illecito in Birmania? O meglio, che cosa lo è stato per decenni, fino alle riforme che hanno portato al graduale passaggio di poteri dai militari ai civili? La verità è che nel Paese del Sud-Est asiatico si poteva sopravvivere (e fare affari) soltanto se si sostenevano fino in fondo le azioni della giunta. Questi uomini, Kyaw Win, Tay Za, o Zaw Zaw — comparso di recente in una fotografia, sorridente, accanto alla Signora («Non voglio essere un cattivo oligarca ma un buon oligarca» ha detto) — sono il simbolo dei compromessi con quel mondo che ha incarcerato, torturato e negato la libertà a un intero popolo (e non per nulla sono ancora soggetti a limitazioni e sanzioni da parte degli Stati Uniti). E che ha chiuso agli arresti per quindici anni — non proprio un periodo breve — la stessa Aung San Suu Kyi. Ora costretta ad assumersi difficilissime e scivolose responsabilità come capo di un partito che un domani, almeno teoricamente, potrebbe trovarsi a guidare la Birmania.
Che fare, dunque, per finanziare il partito, visto che i soldi in Birmania sono sempre in poche mani e la costituzione vieta di ricevere denaro dall’estero? Non c’erano altre strade? «Diciamo che è stato spiacevole — ammette con il Corriere una fonte vicina alla Signora —. Diciamolo pure. Però: perché si pretende che Suu Kyi sia perfetta in ogni momento della sua esistenza? Che cosa dovrebbe fare, tornare agli arresti domiciliari o fare a patti con l’esistenza reale?».
Suu Kyi non è perfetta, è un essere umano come tutti. È la sua esistenza che è stata perfetta, almeno fino a che non è tornata nell’agone politico, in una situazione di nascente democrazia. Dove quindi contano i voti dei cittadini. Ecco dunque, ricorda il Times, le difficoltà della Signora a condannare le violenze della maggioranza buddhista contro i Rohingya musulmani. O, più di recente, l’«eccessiva prudenza» nei confronti dei militari impegnati in una sanguinosa campagna contro la minoranza Kachin. I soldi, in realtà, sono solo una parte del problema.
Paolo Salom