Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 17/01/2013, 17 gennaio 2013
ELOGIO DELL’ARTE DI PROCRASTINARE (DA LEGGERE SENZA ALCUNA FRETTA)
«Rimandare è meglio che sbagliare», scrisse Thomas Jefferson. Su questo principio dovrebbe concordare il filosofo di Stanford John Perry, autore del saggio The Art of Procrastination che sta entusiasmando gli americani. «Il problema non è il problema, — sostiene Perry — il problema è la tua reazione al problema». Dunque? Come reagire? Il consiglio è di non reagire, far finta di niente: procrastinare, rimandare, rinviare la soluzione del problema. L’illustre professore (e procrastinatore indefesso, rinviando per 17 anni la pubblicazione del suo libro), ha ideato la teoria della «procrastinazione strutturata», cioè il rimandare facendo altro. Temperare una matita? Dedicarsi al giardinaggio? Giocare a ping pong? La strategia di Perry è più raffinata, non asseconda necessariamente la pigrizia e va valutata senza fretta. Se stilate (in tutta calma) una lista degli impegni dal più urgente ai meno importanti, il consiglio è quello di concentrarvi sui secondi, in modo da non dare a voi stessi e agli altri l’impressione fastidiosa (o angosciante) di essere inattivi. Solo così il senso di colpa verrà sconfitto e l’immagine pubblica resterà intatta. Insomma, non fare oggi ciò che puoi fare domani, meglio ancora dopodomani, ma a un patto: mentre il procrastinatore comune tenderebbe a non fare nulla, il temporeggiatore di Perry deve dedicarsi ad altro pur di evitare di fare ciò che dovrebbe assolutamente fare. Solo cercando di sfuggire alle priorità si finisce per sbrigare la gran parte del lavoro per affrontare poi trionfalmente e a cuor leggero l’impegno più urgente. Un gioco da ragazzi. Ovviamente, il procrastinatore strutturato (e produttivo) deve avvalersi di una buona dose di auto-inganno, giocando (con se stesso) sui diversi livelli di priorità.
D’altra parte, non è detto che l’arte di temporeggiare non produca risultati migliori della furia efficientista. Il dittatore romano Quinto Fabio Massimo, detto appunto il Temporeggiatore, fece del difetto una virtù al punto da stremare il nemico Annibale con la tattica dell’attesa. Stessa saggezza attendista del generale russo Kutuzov, che piacque a Tolstoj e che, come racconta Alexander Stille nel suo ultimo libro, fu presa a modello da suo padre Ugo. Pare che Raymond Chandler, il padre del celebre investigatore Philip Marlowe, adottasse una strategia tutta sua. Stava seduto alla scrivania per quattro ore al giorno imponendosi due regole mentali: primo, non sei obbligato a scrivere; secondo, non puoi fare altro. Non a caso Chandler consigliava agli insegnanti: «Se costringete gli alunni a comportarsi bene, impareranno qualcosa pur di non annoiarsi». Il trucco è distogliere lo sguardo dall’oggetto più ansiogeno e fissarlo su altro. Nel 1930, l’umorista statunitense Robert Benchley rivelò qual era l’idea che stava dietro alla produzione letteraria: «Tutti possono fare un’enorme quantità di lavoro, purché non si tratti del lavoro che dovrebbero fare in quel momento».
La rassegna dei grandi procrastinatori della storia è immensa. Scrivendo a Lalla Romano, Italo Calvino le rivelava l’espediente per ottenere la quarta di copertina dal funzionario editoriale svogliato Elio Vittorini: «Lui ha una certa pigrizia per questo lavoro e trova sempre delle scuse per rimandarlo: per esempio che non ha i dati degli autori. Tu telefonagli, dagli i dati, telefonagli ancora per sollecitarlo. Ridettagli i dati che nel frattempo avrà perso. A un certo punto ti dirà che ha scritto tutto. Guarda che non è vero, perché lui dice spesso bugie (...). Tu devi insistere finché si decide a farlo». In genere, però, si tratta di ritardatari per nevrosi: la letteratura ne offre una gamma infinita. Manzoni si mise al lavoro nel 1821 sul Fermo e Lucia, ne annunciò l’uscita due anni dopo, ma di promessa in promessa il romanzo sarebbe uscito nel ’27 con un titolo diverso, I promessi sposi, rielaborato fino all’edizione definitiva del ’40. Carlo Emilio Gadda è un altro maestro del rinvio: pubblicò parti del Pasticciaccio su rivista nel 1944 e Livio Garzanti nel ’57 dovette strappargli dalle mani il romanzo anche se era incompiuto pur di vederlo uscire (un «coitus interruptus», secondo il critico Cesare Garboli). Nel cinema c’è addirittura un’opera annunciatissima per anni e mai realizzata: il Viaggio di Mastorna di Fellini. Avesse conosciuto Perry...
Paolo Di Stefano