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 2013  gennaio 17 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL MASSACRO D’ALGERI


ALGERI - Trentaquattro ostaggi stranieri e 15 sequestratori, tra cui uno dei loro leader Abou Al Bara, sarebbero stati uccisi nel sito petrolifero gestito dalla locale Sonatrach con la norvegese Statoil e la britannica Bp a In Amenas, in Algeria. Lo riferisce Al Jazeera. Una svolta drammatica, legata al raid aereo con cui le forze algerine hanno cercato di riprendere il controllo del campo dove ieri gli ostaggi erano stati sequestrati da un gruppo di terroristi di Al Qaeda. Secondo Al Arabiya, il blitz delle forze algerino è terminato, ma sul bilancio dell’operazione regna la confusione.
Secondo Al Jazeera, ostaggi e sequestratori sono stati colpiti mentre si stavano spostando in un veicolo all’interno del sito. Sette ostaggi sono ancora vivi, riferiscono gli islamisti: due americani, un giapponese, tre belgi e un britannico. L’agenzia nazionale algerina Aps riporta la versione dell’esercito, che avrebbe liberato quattro ostaggi stranieri (un britannico, un irlandese, un francese e un keniano), circa 600 ostaggi algerini, mentre nelle mani degli jihadisti ci sarebbero ancora decine di occidentali. "I circa 600 algerini sono stati tratti in salvo con elicotteri dell’esercito che sorvolavano il sito", precisa l’agenzia.

Diversa la versione fornita dalla tv algerina: 200 algerini sarebbero riusciti a scappare approfittando proprio dei bombardamenti e sarebbero ora in viaggio verso un luogo sicuro. Altri 25 ostaggi occidentali sarebbero stati liberati. In mattinata 26 lavoratori algerini, tre britannici e una francese sarebbero riusciti a sfuggire ai rapitori.

Attraverso il portavoce Jay Carney, la Casa Bianca condanna duramente l’attacco terroristico nell’impianto algerino di In Amenas e afferma di monitorare con attenzione la situazione, in costante contatto con "i nostri partner internazionali e con i vertici della Bp". L’amministrazione Usa, inoltre, afferma di non poter confermare nessuna rivendicazione sulla presa degli ostaggi e di essere impegnata a capire chi vi sia dietro l’azione terroristica. Il portavoce ha affermato che la Casa Bianca ritiene che fra gli ostaggi vi siano cittadini americani ed è preoccupata sulle notizie riguardanti perdite di vite umane durante l’operazione dell’esercito algerino. "Abbiamo chiesto chiarimenti al governo algerino". A chi chiedeva di un possibile coinvolgimento di tipo militare degli Stati Uniti per liberare il sito petrolifero occupato dagli estremisti, Carney ha risposto: "E’ prematuro parlare di questo".

Parole che seguono di poco la notizia di un drone americano in missione d’osservazione sul sito di In Amenas, notizia diffusa da Cbs, confermata da un funzionario americano alla giornalista Barbara Starr, corrispondente della Cnn al Pentagono, e da una fonte americana anonima alla Reuters. Il drone potrebbe essere partito dalla base italiana di Sigonella,a ma non ci sono conferme.

Tra gli ostaggi vi sarebbero alcuni giapponesi e almeno uno sarebbe sopravvissuto al blitz militare. Il viceministro degli Esteri giapponese, Minoru Kiuchi, che si trova in Algeria, ha chiesto lo stop immediato delle operazioni militari rivolgendosi al ministro degli Esteri algerino.

In Inghilterra si registra l’irritazione di David Cameron per non essere stato avvertito preventivamente dell’iniziativa militare algerina. Il premier, spiega un portavoce, ha appreso dell’operazione in una telefonata con il primo ministro algerino questa mattina alle 11. Downing Street fa sapere che Cameron ha fatto presente che avrebbe preferito essere informato dell’operazione militare e che il governo algerino ha sottolineato di aver dovuto agire "immediatamente".

"L’operazione militare e ancora in corso e la situazione è molto grave", ha aggiunto il portavoce. Secondo il Wall Street Journal, Cameron è adesso a colloquio con Obama e Francois Hollande sulla situazione in Algeria. Il presidente francese ha definito il momento "grave, condizioni drammatiche" nel corso di una cerimonia con i leader economici a Parigi. Hollande ha anche detto di essere in "contatto permanente" con le autorità algerine, ma di "non essere al corrente" di tutto ciò che sta succedendo sul terreno. Ma, ha aggiunto, "ciò che succede in Algeria giustifica ancora di più la decisione della Francia di andare ad aiutare il Mali. Bisogna fermare l’aggressione terrorista e permettere agli africani di mobilitarsi per ristabilire l’integrità territoriale del Mali".

Il ministero degli Esteri belga usa Twitter per annunciare: "Disponiamo ora di un sufficiente numero di elementi per confermare che non c’erano belgi sul sito di BP colpito dalla presa in ostaggio".

A quanto apprende Adnkronos da fonti italiane ad Algeri, l’ambasciatore Michele Giacomelli "ha convocato" il personale della sede diplomatica e delle altre rappresentanze italiane e "ha raccomandato prudenza". Ad Algeri, ha riferito la fonte, "c’è un po’ più di movimento di polizia vicino alle ambasciate interessate, come quella francese", ma comunque "c’è sicurezza e come ha detto l’ambasciatore la situazione è tranquilla, ma ci vuole prudenza. E’ chiaro che le passeggiate nel deserto sono da evitare, ma qui siamo a circa 1.500 chilometri di distanza" dalla sede dell’impianto per l’estrazione di idrocarburi di In Amenas.

Oltre al gruppo di occidentali - si parla di 41 persone in tutto - anche 150 algerini sono stati fermati ieri dal commando nel sito di In Amenas. Le rivendicazioni dei terroristi sono politiche: chiedono la liberazione di diversi prigionieri islamici detenuti in Algeria e in altri Paesi e hanno preteso come condizione per avviare un dialogo l’allontanamento delle unità di sicurezza e dell’esercito algerino che da ieri ha circondato il sito.

Al Jazeera era riuscita oggi a raggiungere per telefono alcuni ostaggi occidentali, che hanno lanciato un drammatico appello per l’avvio di negoziati. Il gruppo armato ha minacciato di uccidere un ostaggio britannico se le forze algerine non si allontaneranno. "La situazione è molto pericolosa, l’esercito algerino deve ritirarsi e avviare negoziati che potrebbero evitare perdite di vite umane", hanno detto al network tre sequestrati occidentali: si tratta di un inglese, un irlandese e un giapponese. Nel gruppo degli ostaggi sequestrati ci sono anche 9 norvegesi, 7 americani, diversi cittadini britannici, alcuni francesi, un irlandese e due malesi.

Il gruppo è armato in modo pesante e ha obbligato alcuni ostaggi a indossare cinture esplosive, riporta France 24 che ieri sera è riuscita ad avere la testimonianza di uno dei sequestrati di nazionalità francese. I jihadisti dispongono di un vero e proprio arsenale e hanno minacciato di far saltare in aria l’impianto se l’esercito algerino tenterà un blitz, ha riferito l’emittente francese.

Dall’inizio dell’operazione militare francese in Mali la situazione sul terreno si è fatta sempre più complicata, con ripercussioni che si allargano ai Paesi confinanti. L’attacco al sito petrolifero algerino è stato definito dagli islamisti come un atto di rappresaglia per la collaborazione algerina all’intervento francese nel Paese africano.

Ucciso in Somalia l’agente francese. Intanto Denis Allex, l’ostaggio francese in mano ai ribelli Shaabab in Somalia, è stato ucciso. L’annuncio è stato dato su twitter dalle milizie jihadiste somale ’al Shabaab al-Mujaheddin’. L’esecuzione, dicono, è avvenuta ieri alle 17 e 30 ora italiana.

L’uomo, un agente segreto, era prigioniero del gruppo dal 2009. Forze scelte inviate da Parigi nel Paese africano cinque giorni fa avevano tentato di liberarlo ma il blitz a Bulomarer, 120 chilometri a sud di Mogadiscio, si era concluso disastrosamente: la liberazione del prigioniero era fallita e due militari francesi avevano perso la vita, uno subito e l’altro dopo la cattura da parte dei ribelli. "L’esecuzione è stata compiuta", si legge nel tweet.

In un primo momento dalla Francia lo stesso Allex era stato dato per morto, ma gli Shabaab, testa di ponte di Al Qaeda nel Corno d’Africa, hanno sempre sostenuto che era ancora in vita, anche se ne avevano già stabilito la condanna a morte.

Terzi: In Mali non faremo intervento militare. Sul terreno, in Mali, sono attualmente dispiegati 1.400 militari francesi. Il supporto logistico che l’Italia darà alla missione francese "non sarà in nessun modo un intervento militare diretto", ha chiarito a Bruxelles il ministro degli Esteri Giulio Terzi. Il ministro ha ribadito che "non è previsto nessuno spiegamento di militari italiani nel teatro operativo" e che l’Italia offrirà i un "sostegno logistico". "Questo è lo stato della riflessione all’interno del governo ed è quello che si prospetta anche in Parlamento", ha detto Terzi alla riunione straordinaria con i colleghi dei Ventisette dedicata al conflitto in Mali.

Ok a missione Ue di addestramento. Dalla Ue è intanto arrivato il via libera alla missione di addestramento dell’esercito del Mali, che dovrebbe partire al più tardi a metà febbraio. La missione risponderà politicamente al Consiglio Ue e prevede l’invio di circa 200 istruttori, più il personale di appoggio e una forza di protezione, per un totale di circa 450 persone e un costo di 12,3 milioni di euro. La durata del mandato è fissata per ora a 15 mesi. Dall’Italia arriveranno una quindicina di militari, che potranno essere aumentati fino a 24.
(17 gennaio 2013)

CARLO CIAVONI MARCO PALOMBI
GOROM GOROM (Nord del Burkina Faso) - Gli occhi neri di Martine, che ha appena compiuto 2 anni, raccontano in un attimo la storia di una bambina minuta, malnutrita e bellissima, che chiede a chiunque le si presenti davanti di essere presa in braccio. Proprio come fanno tutti i piccoli, semplicemente bisognosi di essere toccati e rassicurati, assetati come sono d’affetto e attenzioni, ospiti dell’orfanotrofio "Casa Matteo", costruito dieci anni fa dal Movimento Shalom Onlus e Coop Italia, qui a Gorom Gorom, a circa 60 chilometri dal confine con il Mali. La sorte di Martine e di altri 26 ragazzini, dai 10 mesi ai 6 anni, è a rischio ora che la guerra al di là del confine sta dando i suoi primi effetti tragici, con ondate di profughi maliani che scappano dalla sanguinosa infiltrazione dei gruppi islamici nelle formazioni indipendentiste di etnia Tuareg, che nell’aprile 2012 avevano rovesciato il governo di Amadou Toumani Touré, senza peraltro avere le idee ben chiare sul futuro del loro Paese.
L’albergo vuoto e la miniera d’oro. Il centro di accoglienza di Gorom Gorom contiene al suo interno un albergo - "Le Dune" - per viaggiatori occidentali, attratti dal fascino del vicino deserto del Sahel e da altri richiami turistici, come le moschee di fango di Bani. Una struttura che era stata concepita come "motore" finanziario per assicurare il mantenimento dell’orfanoitrofio. Un motore che però ora s’è fermato. Chi ha la voglia, il coraggio, di arrivare fin qui, con i "tuoni" della guerra così vicini e gli accampamenti dei profughi nella zona? Gli unici ospiti che ancora occupano le stanze dell’hotel sono tecnici minerari indiani, che lavorano per società canadesi e statunitensi in una miniera d’oro poco distante da qui. Già, proprio così: l’oro. Che pare ce ne sia in quantità e che rappresenta anziché un’occasione di sviluppo e benessere da diffondere, una vera e propria maledizione. Un destino che ripete il suo copione un po’ in tutta l’Africa.
L’idea-guida di "Shalom". La logica che guida Coop Italia e il Movimento Shalom (organizzazione d’ispirazione cattolica nata nel 1974 nella diocesi di San Miniato (Pisa), per iniziativa di un allora giovane sacerdote, Andrea Pio Cristiani) nel realizzare strutture produttive capaci di produrre risorse sufficienti per aprire nuove occasioni di sviluppo, organizzate in forma di cooperativa. Logica ribadita durante il 1° congresso africano ("L’Africa sviluppa l’Africa") organizzato a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, al quale hanno partecipato ben 12 rappresentanti di altrettante nazioni africane.
Nel campo profughi di Goudebou. Gli effetti indiretti della guerra civile in Mali, destinata a diventare una polveriera dopo l’intervento militare francese, sarebbero bastati per avere un’idea di quanto sta accadendo alle porte di questo Paese con il bilancio statale nel quale la Cooperazione Internazionale occupa il 60% . Ma lungo la pista polverosa che da Gorom Gorom porta a Dori, scortati da uomini armati della Gendarmeria Nazionale, con elmetti e giubbotti antiproiettile, è stato possibile fermarsi a Goudebou, in uno dei campi per rifugiati allestiti nelle regioni settentrionali del Burkina Faso. Una distesa di 126 ettari nella savana, battuta dal vento, e popolata - per ora - da 4200 persone, sistemate nelle tende dell’’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr).
La scia di terrore. Ci accoglie Guillome Coulibaly, assieme ai suoi due assistenti. "La situazione è ferma per adesso, ma ci hanno detto di attrezzarci per accogliere almeno altre 15-20 mila persone nell’arco di qualche giorno". I rifugiati, qui a Goudebou sono quasi tutti di etnia Tuareg, gente che è potuta scappare da Gao, da Kidal, da Timbuctu con i pochi mezzi che aveva. ai più poveri è toccato invece restare dov’erano, sotto le leggi imposte dagli integralisti islamici, gruppi che formano un miscuglio micidiale spaventoso, popolato da mercenari senza scrupoli, provenienti dall’Algeria, dallo Yemen, dal Pakistan, ma anche dagli Usa, dalla Francia e dalla Regno Unito. "Quando prendono il controllo di un villaggio, di una città, di una provincia - dice un anziano Tuareg - sulla loro scia non lasciano nulla. Uccidono senza pietà chi non vuole arruolarsi, distruggono tutto: presidi sanitari, farmacie, panifici, antenne paraboliche". Raccontano che la polizia islamica arresta le persone per un abito non abbastanza lungo, perché si viene sorpresi a consumare alcol o a fumare una sigaretta. Si pratica la lapidazione e le amputazioni, per furto o adulterio.
"Ho visto sgozzare gente per strada". Washa, giovane donna Tuareg, madre di tre figli, appena arrivata da Gao, circa 150 chilometri dal confine con il Burkina Faso. Racconta: "Un anno fa ero ad Aguelhok, nel Nord del Mali. E’ lì che , prima di fuggire più lontano possibile, ho visto gruppi di uomini del Movimento di liberazione Nazionale dell’Azawad e quelli dell’Ansar Dine che sgozzavano letteralmente le persone per strada. Ho sentito dire che fra loro ci sono anche consiglieri militari del Qatar. Ma non sono sicura che sia vero". Ibrahim invece, un Tuareg trentaduenne, viene da Kidal: "Ma la mia famiglia l’ho mandata in Algeria - dice - e sto aspettando il momento buono per farla arrivare qui, in Burkina. Per fortuna non ce la passiamo male e ci siamo potuti permettere un trasferimento così complicato. Ma in Mali non si può davvero più stare. Qui al campo, al momento, non manca nulla. spero solo di riabbracciare presto la mia famiglia".
(15 gennaio 2013)


CORRIERE.IT
Si delinea un tragico epilogo nel sequestro di ostaggi stranieri da parte di un commando jihadista nel Sahara algerino. Dalle notizie confuse emerse nelle ultime ore, c’è stato un attacco degli elicotteri militari algerini contro un convoglio con cui i terroristi stavano tentando di trasferire più a sud una parte dei dipendenti stranieri. Secondo Al Jazeera, 35 ostaggi e 15 rapitori sarebbero morti. Una fonte jihadista citata dall’agenzia di stampa mauritana Ani ha parlato di 34 ostaggi uccisi, per lo più occidentali. Nello scontro a fuoco è morto anche il capo del commando, Abu Al-Baraa. Una fonte locale ha detto alla Reuters che sei ostaggi stranieri e otto sequestratori sono stati uccisi quando le forze di sicurezza algerine hanno aperto il fuoco su un veicolo usato dai terroristi nel campo di gas.
OSTAGGI LIBERATI - Gli algerini hanno fatto sapere che quattro ostaggi stranieri, due britannici, un francese e un keniano, e 600 algerini sono stati liberati dai loro militari. Fonti jihadiste hanno riferito che dopo l’attacco al convoglio è scattata un’offensiva aerea e terrestre contro l’impianto gestito dalla britannica Bp, dall’algerina Sonatrach e dalla compagnia norvegese Statoil e situato a Tigantourine, 40km da In Amenas, non lontano dalla frontiera libica.
IL BLITZ - L’esercito algerino avrebbe fatto scattare il raid sul campo petrolifero dopo il fallimento di negoziati avviati stamani dalle autorità, che proponevano la mediazione di capi tuareg. Il blitz è arrivato dal cielo, per salvare gli ostaggi.
LA FRANCIA - Di «momento grave» e «condizioni drammatiche» parla il presidente francese, Francois Hollande. Nel corso di una cerimonia con i leader economici a Parigi, riferendosi all’operazione dei militari algerini nel sito della BP in Algeria. Hollande ha anche detto di essere in «contatto permanente» con le autorità algerine, ma di «non essere al corrente» di tutto ciò che sta succedendo sul terreno. «Ciò che succede in Algeria giustifica ancora di più la decisione della Francia di andare ad aiutare il Mali», ha detto ancora Hollande, sottolineando che bisogna «fermare l’aggressione terrorista e permettere agli africani di mobilitarsi per ristabilire l’integrità territoriale del Mali».
CAMERON - Il premier britannico David Cameron, informato dell’operazione militare nel corso di una telefonata oggi alle 11.30 locali con l’omologo algerino Abdelmalek Sellal, ha detto che «avrebbe preferito essere avvertito del blitz in anticipo», dato che la «situazione era molto grave». Dopo il raid, l’esercito algerino ha cominciato un attacco via terra.
GLI USA - Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha detto che gli Stati Uniti «stanno monitorando da vicino la situazione». «Siamo in costante contatto con i nostri partner internazionali e con i vertici della Bp» ha aggiunto. Dagli Usa sarebbe anche arrivata un’offerta di collaborazione con il governo algerino per la liberazione degli ostaggi, ma il governo delpaese africano avrebbe rifiutato l’aiuto.
I SEQUESTRATORI - Secondo Yves Bonnet, che fu a capo dei servizi francesi negli anni Ottanta, l’attacco condotto dai militanti islamici non sarebbe strettamente legato alle operazioni militari condotte in Mali dalla Francia. «È stata una operazione organizzata ben prima, spettacolare e bisognosa di molta preparazione. Non è stata per nulla improvvisata», ha dichiarato il funzionario a Europe1. «L’operazione probabilmente era già programmata e semplicemente portare tutte quelle persone nel deserto necessita di diversi giorni», ha aggiunto.
Il ministro dell’Interno algerino, Daho Ould, ha negato che i militanti provengano dalla Libia o dal Mali. Ha affermato che si tratta di appena una ventina di uomini armati, provenienti dalla stessa Algeria e agli ordini di Moktar Belmoktar, uomo forte della jihad nel Sahara.
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GLI SCONTRI IN MALI - Intanto, in Mali, si continua a combattere. La Francia ha portato a 1.400 gli uomini sul terreno (2.500 l’obiettivo finale, secondo quanto anticipato nei giorni scorsi). Nella notte ci sono stati nuovi scontri tra l’esercito maliano, sostenuto dalle truppe francesi, e gli estremisti jihadisti che circondano la città di Konna, nel settore centrale.
LA MISSIONE UE - Dalla Ue è arrivato il via libera alla missione Eutm di addestramento e formazione dell’esercito maliano. La missione era in programma da tempo, ma i ministri degli Esteri dei 27, convocati in riunione straordinaria, hanno deciso di accelerare i tempi: la missione (formata da 400-500 uomini, la metà dei quali istruttori) potrebbe essere operativa già a metà febbraio, una settimana prima del previsto. L’Italia, ha annunciato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha dato una disponibilità «fino a 24 uomini». Non ci saranno invece soldati italiani impiegati direttamente sul terreno, ha confermato il ministro.
ITALIANI - L’ambasciata italiana di Algeri ha raccomandato ai cittadini italiani «prudenza», anche se la situazione «è tranquilla».

CORRIERE.IT -
Si allarga l’intervento internazionale in Mali. E l’Italia non se ne laverà le mani, anche se al momento viene esclusa ogni partecipazione militare diretta. Il nostro governo fornirà infatti «supporto logistico» all’intervento francese e dell’Ecowas in Mali, ma non dispiegherà truppe da combattimento nella zona. Lo hanno annunciato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, e della Difesa, Giampaolo Di Paola, in un’audizione dinanzi alle commissioni Esteri e Difesa riunite del Senato. Intanto la Corte penale internazionale ha aperto un’inchiesta sui presunti crimini di guerra commessi nel Paese africano a partire dal gennaio 2012. «Ritengo che alcuni degli atti brutali e delle distruzioni commesse costituiscano crimini di guerra», ha detto il procuratore della Corte, Fatou Bensouda, in un comunicato.

L’INTERVENTO MILITARE - L’Italia dunque non prenderà parte alle operazioni sul campo, come avvenne invece in Libia. L’operazione militare contro i jihadisti che controllano il nord del Mali, ha sottolineato il ministro Terzi, è «perfettamente in linea con la risoluzione 2085 del Consiglio di sicurezza dell’Onu ed è indispensabile per arginare l’avanzata dei movimenti estremistici». «È un’operazione inevitabile e corretta per evitare il consolidamento di una presenza terroristica che minaccia il Paese», ha aggiunto Di Paola. Contatti ci sono stati anche tra Di Paola e il suo omologo statunitense Leon Panetta che ha detto: «Oggi ho incontrato il ministro Di Paola: è stato un incontro molto produttivo e c’è comune preoccupazione per il Mali».

Il supporto italiano
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L’APPOGGIO LOGISTICO - L’Italia sta valutando i termini del suo apporto logistico. Per quanto riguarda gli aeroporti militari, potrebbe essere replicata l’esperienza già vissuta nel 2011, con risultati positivi sotto il profilo operativo, in occasione della missione multinazionale in Libia. Anche in questa circostanza si torna infatti a parlare della possibilità di permettere l’utilizzo di una o più basi aeree ancora da individuare tra quelle di Trapani (la più plausibile), Gioia del Colle (Bari), Brindisi, Amendola (Foggia). In attesa della definizione dei dettagli per quanto riguarda la missione di addestratori militari da inviare nel Paese africano, dovrebbe essere quindi assicurata la fornitura di alcuni aerei da trasporto militari, presumibilmente due C-130, per il trasferimento in loco di truppe, mezzi e materiali.

LA GERMANIA - La Francia dovrebbe avere presto l’apporto anche della Germania. «Coglierò certamente l’occasione delle celebrazioni per il 50esimo anniversario del Trattato dell’Eliseo, che si terranno lunedì qui a Berlino, per discutere con il presidente (francese) Hollande se ci sono altre aspettative» sull’impegno tedesco in Mali che per ora prevede soltanto un contributo logistico. «E poi decideremo conseguentemente alla situazione» nel Paese africano, ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel durante una conferenza stampa a Berlino.
Il rischio di un terrorismo che prende piede nel nord del mali va oltre l’Africa e può minacciare anche l’Europa ha aggiunto la Merkel. «La Germania - ha detto la Merkel parlando con i giornalisti - guarda alla sicurezza nel Nord Mali come alla sua stessa sicurezza perché naturalmente il terrorismo in Mali è una minaccia non solo per l’Africa ma anche per l’Europa».

IL BLOCCO ECOWAS - I soldati dell’Ecowas, il blocco dei Paesi dell’Africa occidentale, arriveranno in Mali «il prima possibile» ha assicurato il capo dello Stato della Costa d’Avorio e presidente di turno dell’organismo, Alassane Ouattara, durante una missione a Berlino organizzata per chiedere «il sostegno di tutti i Paesi europei». «Vogliamo mobilizzare le nostre truppe», ha specificato Ouattara, «il più velocemente possibile per aiutare l’esercito maliano e risolvere militarmente questa crisi». La Germania ha già garantito che metterà a disposizione due aerei da trasporto militari «Transall» per il trasporto delle truppe multinazionali dell’Ecowas perchè possano raggiungere la capitale del Mali, Bamako, e unirsi alle Forze armate locali e alle unità speciali francesi impegnate nella controffensiva al nord, controllato dalle milizie jihadiste.

LO SCONTRO - Le truppe francesi intanto hanno ingaggiato il primo scontro sul terreno con i guerriglieri islamisti nel nord del Mali. La battaglia-definita «difficile» dal ministro della Difesa francese, Jean-Yevs Le Drian- è avvenuta a Diabaly, dove ieri era giunto un convoglio militare partito nel pomeriggio da Niono, a circa 50 km di distanza. «Sia l’esercito maliano che quello francese sono sul posto», ha riferito una fonte della sicurezza del paese africano. Diabaly, caduta nelle mani dei ribelli del capo qaedista Abou Zeid lunedì scorso, si trova a 400 km di distanza da Bamako. Secondo Le Drian, è il covo dei jihadisti «più battaglieri, fanatici e meglio organizzati».

CORRIERE.IT NUOVA CRONACA
Trentaquattro ostaggi e 15 rapitori sono rimasti uccisi in un blitz dell’esercito algerino per liberare decine di stranieri e di lavoratori algerini presi in ostaggio mercoledì da un commando jihadista. Il tragico epilogo dell’assalto nell’impianto situato a Tigantourine, 40km da In Amenas, non lontano dalla frontiera libica e gestito dalla britannica Bp, dall’algerina Sonatrach e dalla compagnia norvegese Statoil conterebbe tra le vittime anche il capo del commando, Abu Al-Baraa.

Dalle notizie confuse emerse nelle ultime ore, gli elicotteri militari algerini avrebbero sferrato l’attacco contro un convoglio con cui i terroristi stavano tentando di trasferire più a sud una parte dei dipendenti stranieri. È ancora caos sulle cifre: secondo l’agenzia Reuters le vittime non sarebbero 50, ma 6.

IL RAPIMENTO - I jihadisti hanno fatto sapere di aver attaccato la base in risposta all’autorizzazione data dall’Algeria alla Francia a usare il proprio spazio aereo per operazioni militari contro i ribelli nel nord del Mali. L’agenzia algerina APS ha riferito di un imprecisato numero di morti, e di 600 lavoratori algerini e quattro ostaggi stranieri liberati (due britannici, un francese e un keniano). Tra gli ostaggi liberati, anche un irlandese.

Un quotidiano ad Algeri titola: «Attacco terroristico e ostaggi a In Amenas» (Ap)Un quotidiano ad Algeri titola: «Attacco terroristico e ostaggi a In Amenas» (Ap)
OSTAGGI LIBERATI - Gli algerini hanno fatto sapere che quattro ostaggi stranieri, due britannici, un francese e un keniano, e 600 algerini sono stati liberati dai loro militari. Fonti jihadiste hanno riferito che dopo l’attacco al convoglio è scattata un’offensiva aerea e terrestre contro.

IL BLITZ - L’esercito algerino avrebbe fatto scattare il raid sul campo petrolifero dopo il fallimento di negoziati avviati stamani dalle autorità, che proponevano la mediazione di capi tuareg. Il blitz è arrivato dal cielo, per salvare gli ostaggi.

LA FRANCIA - Di «momento grave» e «condizioni drammatiche» parla il presidente francese, Francois Hollande. Nel corso di una cerimonia con i leader economici a Parigi, riferendosi all’operazione dei militari algerini nel sito della BP in Algeria. Hollande ha anche detto di essere in «contatto permanente» con le autorità algerine, ma di «non essere al corrente» di tutto ciò che sta succedendo sul terreno. «Ciò che succede in Algeria giustifica ancora di più la decisione della Francia di andare ad aiutare il Mali», ha detto ancora Hollande, sottolineando che bisogna «fermare l’aggressione terrorista e permettere agli africani di mobilitarsi per ristabilire l’integrità territoriale del Mali».

CAMERON - Il premier britannico David Cameron, informato dell’operazione militare nel corso di una telefonata oggi alle 11.30 locali con l’omologo algerino Abdelmalek Sellal, ha detto che «avrebbe preferito essere avvertito del blitz in anticipo», dato che la «situazione era molto grave». Dopo il raid, l’esercito algerino ha cominciato un attacco via terra.

GLI USA - Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha detto che gli Stati Uniti «stanno monitorando da vicino la situazione». «Siamo in costante contatto con i nostri partner internazionali e con i vertici della Bp» ha aggiunto. Dagli Usa sarebbe anche arrivata un’offerta di collaborazione con il governo algerino per la liberazione degli ostaggi, ma il governo delpaese africano avrebbe rifiutato l’aiuto. Carney ha spiegato come il presidente Barack Obama sia stato e sia tuttora tenuto costantemente informato sulla situazione degli ostaggi, confermando che tra questi ci dovrebbero essere cittadini americani.

I SEQUESTRATORI - Secondo Yves Bonnet, che fu a capo dei servizi francesi negli anni Ottanta, l’attacco condotto dai militanti islamici non sarebbe strettamente legato alle operazioni militari condotte in Mali dalla Francia. «È stata una operazione organizzata ben prima, spettacolare e bisognosa di molta preparazione. Non è stata per nulla improvvisata», ha dichiarato il funzionario a Europe1. «L’operazione probabilmente era già programmata e semplicemente portare tutte quelle persone nel deserto necessita di diversi giorni», ha aggiunto.
Il ministro dell’Interno algerino, Daho Ould, ha negato che i militanti provengano dalla Libia o dal Mali. Ha affermato che si tratta di appena una ventina di uomini armati, provenienti dalla stessa Algeria e agli ordini di Moktar Belmoktar, uomo forte della jihad nel Sahara.
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GLI SCONTRI IN MALI - Intanto, in Mali, si continua a combattere. La Francia ha portato a 1.400 gli uomini sul terreno (2.500 l’obiettivo finale, secondo quanto anticipato nei giorni scorsi). Nella notte ci sono stati nuovi scontri tra l’esercito maliano, sostenuto dalle truppe francesi, e gli estremisti jihadisti che circondano la città di Konna, nel settore centrale.

LA MISSIONE UE - Dalla Ue è arrivato il via libera alla missione Eutm di addestramento e formazione dell’esercito maliano. La missione era in programma da tempo, ma i ministri degli Esteri dei 27, convocati in riunione straordinaria, hanno deciso di accelerare i tempi: la missione (formata da 400-500 uomini, la metà dei quali istruttori) potrebbe essere operativa già a metà febbraio, una settimana prima del previsto. L’Italia, ha annunciato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha dato una disponibilità «fino a 24 uomini». Non ci saranno invece soldati italiani impiegati direttamente sul terreno, ha confermato il ministro.

ITALIANI - L’ambasciata italiana di Algeri ha raccomandato ai cittadini italiani «prudenza», anche se la situazione «è tranquilla».

PEZZO DEL CORRIERE DI STAMATTINA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — «I terroristi ci hanno detto di avere minato la base», dice uno degli ostaggi in una delle ultime telefonate. Sono 41 gli occidentali — 13 norvegesi, 7 americani, 5 giapponesi, alcuni francesi e britannici — prigionieri dei terroristi islamici che alle quattro e mezza del mattino di ieri hanno preso d’assalto una centrale per l’estrazione del gas a In Amenas, in Algeria, al confine con la Libia.
Nell’attacco un cittadino britannico e un algerino sono stati uccisi. I terroristi chiedono il ritiro della Francia dal Mali, e la liberazione di un centinaio di detenuti. Nella notte, dopo che le autorità di Algeri avevano subito rifiutato qualsiasi negoziato, le forze speciali algerine erano pronte a intervenire.
«Oltre agli stranieri, prigionieri nella base ci sono anche 150 miei dipendenti locali», dice Régis Arnoux, presidente del gruppo francese Cis che fornisce catering e appoggio logistico alle piattaforme per petrolio e gas in molti Paesi.
L’azione degli islamisti è la risposta all’intervento della Francia in Mali e alla concessione fatta dall’Algeria di poter sorvolare il proprio territorio per condurre i bombardamenti nel Nord.
«Apparteniamo alla brigata Khaled Aboul Abbas di Mokhtar Belmokhtar», ha detto uno dei terroristi, chiamando in causa uno dei capi storici di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), detto «il guercio» o «l’imprendibile».
La missione in Mali, giunta al suo settimo giorno, si complica con il coinvolgimento del potente vicino settentrionale, l’Algeria, e la cattura di sette cittadini degli Stati Uniti, Paese ancora segnato dall’uccisione dell’ambasciatore Chris Stevens al consolato di Bengasi: l’unità di intervento creata dopo quell’occasione (forse di stanza a Sigonella, in Sicilia) è in stato di allerta, il segretario alla Difesa, Leon Panetta, in visita a Roma avverte che «gli usa faranno tutto il necessario per gestire la situazione». La centrale assalita è frutto di una joint venture tra il colosso britannico British Petroleum, la società nazionale Sonatrach e i norvegesi di Statoil.
In Mali sono cominciati intanto i combattimenti «corpo a corpo» tra le truppe di terra francesi e gli islamisti. I blindati francesi giunti dalla Costa d’Avorio sono entrati a Diabali, il villaggio a soli 400 chilometri dalla capital Bamako che due giorni fa era stato conquistato dai jihadisti; i soldati di Parigi cercano di stanare i terroristi asserragliati nelle case. L’obiettivo della Francia è ricacciare i ribelli il più possibile verso il Nord, in attesa che la Ecowas, la forza internazionale dei Paesi dell’Africa occidentale, sia in grado di subentrare.
A Parigi il presidente della Repubblica, François Hollande, ha tenuto un discorso ai giornalisti in occasione degli auguri di inizio anno. Lontano dal microfono, Hollande ha poi dato qualche informazione non ufficiale: a suo avviso i terroristi della centrale algerina non sono venuti dal Mali ma dalla vicina Libia, che è al cuore di tutta la vicenda. Hollande ricorda che gran parte delle armi e molti uomini di Al Qaeda provengono dalla Libia, fattore destabilizzante della regione.
Non bisogna poi sopravvalutare la motivazione ideologica di quelli che Hollande chiama «terroristi» e non «islamisti». Almeno una delle tre formazioni ribelli, il Mujao (Movimento per l’unione e la jihad nell’Africa occidentale), è in realtà composta da trafficanti di droga legati alle grandi reti internazionali: più che la jihad cercano un corridoio sicuro verso l’Europa.
Stefano Montefiori

ALTRO PEZZO DEL CORRIERE DI STAMATTINA
WASHINGTON — Mokhtar Belmokhtar, l’intoccabile, sospettato di essere coinvolto nella presa di ostaggi a Amenas, Algeria, ha fatto la spesa per bene. Nel marzo di un anno fa, informatori maliani hanno segnalato il suo viaggio in un’oasi libica dove ha incontrato dei commercianti speciali. Un po’ di trattative, poi l’intesa e se ne è tornato indietro, verso la zona d’operazioni, con le armi ben oliate e mezzi in ottimo stato. Belmokhtar, capo della Brigata qaedista definitasi «coloro che firmano con il sangue», ha fatto ciò che aveva promesso un anno prima in un’intervista: «E’ naturale per noi rifornirci con quello uscito dagli arsenali libici». E il terrorista, noto per le sue connessioni con il mondo del contrabbando — era il suo vecchio lavoro — si è servito di questo gigantesco mercato a cielo aperto. Una realtà che si è sviluppata in diverse località, remote ma ben vicine alle aree di conflitto. Con la sconfitta di Gheddafi, i depositi sono diventati «un bene rivoluzionario» e le diverse milizie hanno tenuto una parte del materiale rivendendo il surplus. Enorme.
I servizi di sicurezza americani, francesi e italiani, in questi mesi, hanno indicato alcune delle rotte dei trafficanti. La prima ha come perno l’oasi libica di Gadames, al confine con Algeria e Tunisia. E’ strategica, serve molti clienti, è tra le preferite dei qaedisti, anche tunisini. Da Bengasi si dipana quella che rifornisce, via Egitto, i palestinesi nella striscia di Gaza. Attiva come non mai, spedisce sopratutto razzi. Quella «centrale», che ruota attorno a Sebha e Mourzuk, sfrutta la vecchia via del sale. Infine nel Sud-Est il quadrante di Kufra. Qui arrivano e agiscono intermediari locali e i loro «colleghi» provenienti dal cuore dell’Africa. Indaffarati, ovviamente, i tuareg. Quelli di credo islamista e i laici del movimento Azawad. Tanti di loro avevano militato nell’esercito libico e se ne sono andati quando hanno capito che per il raìs era finita. Ma non hanno rinunciato ai loro sogni di indipendenza nel Mali e li hanno alimentati portandosi dietro un po’ di armi. Poi, grazie ai contatti, ne hanno procurate altre finite spesso alle fazioni jihadiste, dal Mujao Aqim, oggi impegnate negli scontri con la Francia. Un flusso sviluppatosi per fasi con il crescere della tensione nel Sahel.
Chi segue il trend dei fucili ha evidenziato almeno tre fasi. La prima è, appunto, quella che si è sviluppata dopo il crollo del regime gheddafiano. E’ in questo modo che agli islamisti sono arrivate le mitragliatrici russe ZSU, i lanciarazzi di tipo katyuscia, cannoni senza rinculo, mortai, probabilmente qualche missile antiaereo Sam 7, munizioni in quantità. Grazie ai rifornimenti i ribelli hanno potuto lanciarsi nella campagna di conquista mettendo in fuga il disastrato esercito maliano. Che ha abbandonato il Nord lasciandosi dietro veicoli blindati, mezzi, scorte che hanno finito per rafforzare i loro nemici (è la seconda fase). E l’armamento di Al Qaeda è cresciuto ancora. Poi, quando si è iniziato a parlare di un intervento dell’Onu, i terroristi hanno dato vita alla terza fase. Trafficanti regionali e internazionali sono stati contattati per ottenere equipaggiamento più sofisticato. In alcune capitali africane si sarebbero svolte trattative serrate mentre altri emissari sono tornati sul mercato libico. I qaedisti hanno chiesto visori notturni e apparati di comunicazione adeguati per coordinare azioni veloci.
In questi giorni i ribelli hanno mostrato di cosa sono capaci. Lasciate le posizioni più esposte, ne hanno attaccate altre a centinaia di chilometri di distanza attraversando confini segnati sulle mappe ma inesistenti per i terroristi transnazionali. Anche perché molti governi fanno poco per fermarli. I francesi bombardano gli islamisti a nord, loro sbucano a sorpresa a ovest. Infiltrazioni dalla Mauritania nel Mali occidentale, incursioni nel Sud della Tunisia, il colpo di mano nell’Est dell’Algeria con decine di persone nelle mani di Al Qaeda. Una dispersione che è anche moltiplicazione delle «Kataeb», le brigate, feroci quanto temprate da anni di vita in una terra poco ospitale.
Fondamentali per questi movimenti i mezzi. Una volta i predoni del deserto si lanciavano nei loro raid a dorso di cammello. Resistenti, veloci, adattabili. Oggi si affidano ai camioncini di marca giapponese, i robusti pick up della Toyota, e a qualche jeep. A bordo di questi mezzi sono capaci di compiere lunghi tratti, quasi che filassero su un’autostrada inesistente. Invece percorrono le vecchie carovaniere che solo in apparenza sono lisce. Ex ostaggi hanno raccontato che gli estremisti coprono anche 800 chilometri in un giorno. Usano Gps o le stelle per orizzontarsi, hanno inventato sistemi empirici per ritrovarsi in caso che una delle jeep perda il contatto, i loro autisti sanno come tenere insieme questi muli su quattro ruote.
Rispetto al passato, i qaedisti hanno lavorato anche sui veicoli aggiornandoli tenendo conto dell’esperienza libica. E’ aumentata la potenza delle bocche di fuoco installate a bordo, sono state accresciute le scorte ed è stato ampliato il parco macchine grazie ai pick up acquistati oltre confine. Certamente le colonne jihadiste possono essere prese di infilata dai raid di elicotteri ma, al tempo stesso, possono trasformarsi in «nidi di vespe». L’ultimo sciame, composto da 15 camionette, ha investito il sito Bp ad Amenas.
Guido Olimpio

PEZZO DI REPUBBLICA DI STAMATTINA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI
— Un commando terrorista prende d’assalto un sito petrolifero in Algeria e tiene in ostaggio 41 occidentali, mentre nel Mali le truppe francesi starebbero lottando «corpo a corpo» per cacciare i fondamentalisti dai loro rifugi nel Nord. Cinque giorni dopo l’inizio delle operazioni militari, la guerra si estende e la situazione si fa più complessa per i francesi, ma François Hollande si mostra più deciso che mai. Parlando coi giornalisti, durante e dopo la cerimonia degli auguri alla stampa, il capo
dello Stato ha giustificato senza incertezze la scelta di combattere i gruppi fondamentalisti. Negli ultimi giorni, il presidente ha fatto valere più volte la sua determinazione e durante la sua visita a Dubai ha anche utilizzato accenti marziali (i
terroristi vanno «distrutti»). E gli europei lo sostengono: ieri, il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha annunciato un sostegno logistico italiano, con l’impiego di aerei da trasporto, droni e addestratori (15 militari al massimo).
Sul terreno la situazione è complicata, non solo nel nord del Mali. Ieri mattina alle cinque, infatti, un gruppo islamico ha attaccato un sito petrolifero algerino, a pochi chilometri dalla frontiera con la Libia. Nel corso dell’attacco, un britannico e un altro ostaggio probabilmente
algerino sono stati uccisi, altre sei persone sono rimaste ferite. I terroristi sarebbero una sessantina e avrebbero preso in ostaggio 41 stranieri (sette americani, numerosi britannici, giapponesi, francesi e norvegesi). L’impianto è un giacimento di gas sfruttato dalla Bp con un gruppo norvegese e l’algerina Sonatrach, sarebbe ancora in mano al commando. In serata, secondo una fonte mauritana, i ribelli avrebbero anche respinto un tentativo di blitz per liberare i rapiti. L’esercito algerino
avrebbe circondato il sito, i terroristi assicurano di averlo minato e di volerlo far saltare in caso di assalto. Oltre agli stranieri, almeno 150 algerini sarebbero intrappolati nell’impianto, altri sono stati autorizzati a uscire. Il
Figaro
parla di 400 persone ancora presenti all’interno dell’impianto. Il commando, a quanto pare, chiede la liberazione di 100 terroristi detenuti nelle carceri algerine, ma il ministro dell’Interno ha subito risposto rifiutando «qualsiasi negoziato». Secondo lui, gli integralisti vorrebbero uscire
dal paese portando via gli ostaggi, una richiesta «inaccettabile».
La situazione era confusa, ieri sera, ma l’azione dimostra come la guerra in Mali rischi di estendersi ai paesi confinanti. I terroristi dicono di appartenere al gruppo diretto da Mokhtar Belmokhtar, uno dei leader storici di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi). Secondo un loro portavoce, l’attacco sarebbe direttamente legato alla guerra e all’atteggiamento assunto da Algeri, che ha autorizzato i caccia francesi
a sorvolare il proprio territorio. Nel frattempo, le truppe di terra transalpine hanno cominciato la loro avanzata nel nord del Mali. I blindati sono andati a proteggere un ponte sul fiume Niger, mentre le forze speciali hanno tentato di riprendere il controllo di Diabali. La zona è stata bombardata a più riprese dai caccia francesi, ma i fondamentalisti cercherebbero di nascondersi fra la popolazione e di usare i civili come scudo.