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 2013  gennaio 17 Giovedì calendario

PROFESSOR MONTI, LA ACCUSO DI TRADIMENTO

[Giulio Tremonti]
[note alla fine]

Più che scandaloso, il paragone tra Mario Monti e Alcide De Gasperi è penoso. Monti è solo il temporaneo Gaulleiter [1] dell’Italia. Come un podestà straniero». Giulio Tremonti non riesce a metabolizzare la sorpresa per il Professore che nella conferenza stampa di fine anno si è paragonato al grande statista. «Nelle mie prime uscite da presidente del Consiglio» ha azzardato Monti «mi sono trovato in una situazione che mi ha fatto venire in mente le prime parole di De Gasperi alla conferenza di pace di Parigi il 10 agosto 1946: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”». In realtà, per l’ex ministro dell’Economia leader del movimento 3L (Lista lavoro e libertà) alleato della Lega, Monti ha fatto gli interessi di Berlino più che di Roma, e scherzosamente gli ricorda il protagonista di Cognome e nome: Lacombe Lucien [2], film di Louis Malle del 1974 in cui «il contadino collaborazionista Lucien Lacombe va in giro per le campagne definendosi "police allemande", polizia tedesca". Perché il paragone con De Gasperi non regge?
C’è grande differenza tra i due luoghi, le due date, le due cifre umane. Parigi, agosto 1946, conferenza di pace, e Bruxelles, novembre 2011, un routinario Consiglio d’Europa. Alcide De Gasperi e Mario Monti. De Gasperi era stato all’opposizione e in prigione per le sue idee. Monti ha trascorso la vita in luoghi decisamente più «confortable». In ogni caso, le parole dello pseudo De Gasperi non risultano agli atti a Bruxelles; né risultano dai testimoni, da chi era presente, anche perché non ce n’era bisogno. Nel 1946 l’Italia era un paese accusato di una guerra d’aggressione, sconfitto, distrutto; nel 2011 l’Italia era un grande paese industriale seduto alla pari al tavolo del Consiglio europeo. In conclusione, Monti in linguaggio scientifico si direbbe un mitomane, un gasato si direbbe al bar.
Però ha salvato l’Italia...
Allora, da una parte i fondamentali dell’economia, dall’altra le operazioni organizzate per creare il governo Monti.
Operazioni?
De minimis: in un suo memorabile discorso d’aula del settembre 2011, l’onorevole Santo Versace indica come premier Mario Monti. Subito dopo, Monti lo chiama per ringraziarlo: o erano pappa e ciccia, o Monti era lì che ascoltava in cuffia ogni stormire delle fronde politiche romane. In realtà il nome di Monti era in campo da un anno e tutti lo sapevano.
Torniamo ai fondamentali dell’economia...
Nei 3 lunghissimi anni già di crisi dal maggio 2008 al maggio 2011, i fondamentali dell’Italia erano in linea. In questi giorni di trionfalismo sullo spread siamo solo tornati ai livelli dell’agosto 2011. Ciò che allora sembrava male adesso pare ottimo; comunque il triplo di 113, lo spread medio di quei 3 anni. Non che allora non ci fosse lo spread, c’era anche allora, ma la finanza pubblica era governata in modo da renderlo non problematico: il deficit pubblico era la metà di quello della Francia, il debito pubblico saliva ma a una velocità molto inferiore a quella degli altri paesi, la nostra riforma delle pensioni era considerata la migliore d’Europa, mancava solo la parte delle anzianità, comunque piccola nell’economia della riforma, la spesa pubblica era sotto controllo e concentrata non linearmente sugli ammortizzatori sociali. C’era coesione sociale, in 3 anni non ci fu un solo giorno di sciopero generale. C’era credito per le imprese. Autunno dopo autunno, il sistema nel suo insieme teneva.
Mancava la crescita...
Così si diceva, ma nel 2010 l’Italia era cresciuta più della Francia, senza la spinta del maggiore deficit francese. Poi tutto si ruppe, ma non fu una rottura dell’Italia o dei fondamentali. Se la criticità fosse stata strutturale, sarebbe dovuta venire fuori anche prima e non sarebbe potuta scomparire in pochi mesi. Basta leggere gli editoriali di Monti sul Corriere della sera fino all’agosto 2011. Manca la crescita, scriveva, ma Tremonti «tiene» con forza e abilità i conti pubblici. Grazie degli elogi, grazie... Ma se le cose stavano così ancora ad agosto, com’è che a novembre si scopre che tutto va male e poi a dicembre ci si salva? In realtà, la crisi dell’estate-autunno 2011 non è stata strutturale dell’Italia, ma soprattutto sovrastrutturale, politica.
E il ruolo della Banca d’Italia?
Un curiosum letterario nel senso della lettera apostolica: nell’agiografia autorizzata di Draghi (il riferimento è a «Mario Draghi il governatore», di Stefania Tamburello, Rizzoli, ndr), emerge il ruolo di consulenza giocato fra giugno e luglio 2011 dalla Banca d’Italia a favore, si fa per dire, della politica economica del governo, sfociato nella lettera della Banca centrale europea firmata proprio da Draghi. Guarda caso, una lettera molto più dura con l’Italia che con la Spagna che stava molto peggio. Questo mi fa dire: felice il paese che vede i banchieri fuori dalla politica nazionale, rigoristi in agosto ed espansionisti in gennaio. Grande visione!
Dopo la lettera ci fu il decreto di agosto...
Il mio ultimo atto di governo. Il Financial Times lo definì «perfetto», altri invece «migliorabile». Il problema è, che ottenuto il supporto della Bce con l’impegno di acquisto dei titoli italiani, in Parlamento si pensò che fosse possibile cambiare le carte in tavola. Da una parte ci fu una non sufficiente percezione della reale gravità di quanto stava succedendo in quel principio d’estate, dall’altra si scatenò l’opportunismo tecnopolitico. C’erano gli italiani che andavano all’estero a parlare male dell’Italia. Nessun tedesco, nessun francese, lo farebbe mai. Per i parvenu italiani, molti dei quali oggi al governo o in lista o dintorni, era lo sport preferito. Da Corrado Passera a Emma Marcegaglia.
Il governo non aveva sottovalutato la crisi?
No. Nei primi 3 lunghi anni di crisi ho sempre detto e pensato che la crisi c’era ed era come i mostri nei videogame: arriva un mostro, lo batti, è lì che ti rilassi, arriva un altro mostro più grande. In quel maggio-giugno i mostri erano diventati addirittura due: la crisi sovrana dell’euro, il diffondersi dell’idea che tutto stesse per saltare e, secondo, la guerra fra i debiti pubblici. La crisi ha infatti portato tutti gli stati a emettere titoli di debito, chi è più forte cerca di piazzarli al meglio spiazzando gli altri. Per questo credevo giusto per il mio Paese continuare a fare come nei 3 anni trascorsi. Invece passò la linea opposta. Nel marzo 2008, nel nostro programma elettorale, quando Pier Luigi Bersani era ancora assolutamente ottimista, fu scritto: «Una crisi che arriva e si aggrava». La nostra politica, compresi gli impegni fiscali, veniva fatta dipendere dall’emergenza della crisi e di riflesso dal vincolo assoluto della tenuta del pubblico bilancio da cui dipendono risparmi, sanità, pensioni. Purtroppo non mi riuscì di far passare la stessa logica di prudenza e di cautela nell’estate 2011. E così il governo entrò nella tempesta perfetta spiegando le vele al vento e aprendo i boccaporti verso il suo naufragio.
Tempesta perfetta?
Il punto è che l’Italia ha il terzo debito pubblico del mondo senza avere la terza economia del mondo. Per decenni e anche negli ultimi anni abbiamo tenuto. Fino a che l’Europa non è entrata in crisi ed è esplosa la guerra dei debiti pubblici. Al principio abbiamo pensato che fosse sufficiente mettere il nostro debito pubblico nella fortezza di Maastricht. Non è stato sufficiente. Maastricht ha portato alla Germania l’unificazione e alla Francia la conservazione di una grandeur secondaria, all’Italia non ha portato ciò di cui aveva più bisogno: la sicurezza sul debito pubblico che pure l’Italia aveva ridotto e di molto. Da Ciampi a Berlusconi, a Prodi e ancora a Berlusconi, i governi italiani hanno gradualmente portato il debito pubblico da quasi il 120 per cento a quasi 100, poi il debito è risalito, per effetto della crisi e comunque molto meno che negli altri paesi. E così sono emersi i limiti della costruzione europea. Nell’impostare le politiche del debito e la nuova politica economica europea, la posizione dell’Italia è sempre stata molto rigorosa e molto chiara: serietà sopra, con la riduzione progressiva dei debiti pubblici, ma anche solidarietà sotto, cioè gli eurobond. Non l’una senza l’altra, e viceversa. La richiesta di inserire nei piani di riduzione del debito gli «altri fattori rilevanti», a partire dal patrimonio privato e dalla riforma delle pensioni e, sotto, gli eurobond, è stata portata avanti con forza dall’Italia quando ancora il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia avevano una posizione comune.
Lei e Berlusconi potreste sempre riprendere a parlarvi...
Due caratteri un po’ diversi, ma perché no?
Alla fine ha prevalso l’Europa egemonizzata dalla Germania. Monti ne è stato il Gauleiter temporaneo per l’Italia. Alla fine ha prevalso una linea di austerità senza solidarietà e senza visione. Intanto si è sviluppata una bolla finanziaria [3] che può esplodere. E, a differenza del 2008, non ci sono più gli strumenti di riserva, perché i bilanci degli stati sono esausti e le banche centrali hanno già fatto del loro meglio, ovvero del loro peggio. È durante questa crisi che il piccolo Monti ha pensato di potersi trasformare in un grande Monti... Se la bolla esplode, e può esplodere in ogni momento, emergeranno in Italia le conseguenze economiche e sociali di un Monti dissociato tra finanza e realtà. Per mettere a posto, si fa per dire, la finanza, Monti ha devastato la realtà. E la realtà si sta vendicando, sta erodendo le basi di stabilità del bilancio pubblico. Il povero Bersani, candidandosi a sostituire il Gauleiter, teme la polvere sotto il tappeto. Forse non capisce che non si tratta di una polvere qualsiasi, ma di una polvere che potrebbe essere esplosiva. Soprattutto se scoppia la bolla finanziaria. E non dia la colpa agli altri, non solo perché poteva accorarsene, ma perché di un governo disastroso come il governo Monti è stato non solo il sostenitore ma il principale beneficiario politico. Il bilancio pubblico e quello delle famiglie, si badi bene, sono due facce della stessa medaglia, per capirlo non serve essere tecnici, forse è sufficiente essere politici nel senso greco del termine, della Repubblica di Platone: la politica è la forma superiore della tecnica, la «technè politikè». Devi conoscere la nave, l’equipaggio, le correnti, i venti, le stelle. Dal greco all’inglese: first job prime minister, primo lavoro presidente del Consiglio, non esiste al mondo, non puoi trasformare un burocrate del pensiero in un politico. Fra i due estremi, tra Franco Fiorito e Monti, ci dovrebbe essere e ci può essere per l’Italia un giusto «mezzo» politico.
Eppure, Monti ha ottenuto la creazione del fondo salvastati.
È grazie a quello che paghiamo il conto delle banche tedesche e francesi. L’Italia è esposta al rischio per il 5 per cento e paga per il 18. Monti si vanta di avere inventato lo strumento, solo che non lo usa per l’Italia e lo paga alla Germania. In Europa i politici possono essere rispettati oppure apprezzati. Le faccio un esempio: sono Palazzo Chigi e il Tesoro italiano che propongono a Parigi i meccanismi di solidarietà europea. Meccanismo poi distorto da Monti, felice per il fatto che l’Italia esposta per il 5 paga per il 18. I tedeschi non farebbero lo stesso per l’Italia. In questi termini. Monti è molto apprezzato, un vero Gauleiter. Come un podestà straniero.



[1] Gauleiter:
I Gauleiter (dal tedesco Leiter, capo, e Gau, regione) erano i capi delle sezioni locali dei partito nazista, oppure i capi di un Reichsgau (cioè Austria, Sudeti, Wartheland e Danzica-Prussia occidentale, i territori annessi alla Germania a partire dal 1938 e divenuti enti amministrativi dello stato). Solo cinque fra i Gauleiter nazisti avevano una laurea universitaria; tra questi Joseph Goebbels (filosofia). Il termine stava anche a indicare, spesso con natura ironica, un capo di stato o di governo totalmente asservito al Terzo Reich: nel 1939, durante uno dei loro colloqui, Vittorio Emanuele III irritò Benito Mussolini dicendogli che, secondo quanto gli aveva riferito un nobile tedesco, in Germania era definito il «Gauleiter per l’Italia».

[2] Lucien Lacombe:
Lucien Lacombe è il protagonista del film di Louis Malle del 1974 Cognome e nome: Lacombe Lucien, che racconta la storia di un giovane ignorante e illetterato che durante l’occupazione nazista della Francia diviene un collaborazionista degli occupanti. Tradisce i partigiani che lo avevano respinto, accecato dal lusso nel quale vivono i francesi che cooperano con la Gestapo. Cerca di riscattarsi solo alla fine della guerra civile, quando è ormai chiaro che i tedeschi sono in rotta, ma la sua generosità nei confronti di un partigiano torturato e di una ragazza ebrea, di cui è innamorato, non gli evitano la fucilazione.

[3] Bolla:
Giulio Tremonti teme l’esplosione della bolla provocata dall’aumento abnorme della massa finanziaria internazionale. «Negli anni Ottanta» dice «la massa era pari a 4-500 miliardi di dollari. Con la globalizzazione, la caduta delle regole, l’avvento dello shadow banking e degli hedge fund, la massa è aumentata in modo folle e oggi è pari all’incirca a 67 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari. Una mutazione totale e globale che ha annichilito stati, governi, sindacati, popoli, trasformato i valori finanziari in valori assoluti, bypassato l’industria, la manifattura e il lavoro, sostituito i vecchi valori morali con algoritmi finanziari». Dietro non c’è più un’economia, una produzione di beni reale. «Il tossico è passato da una tasca all’altra, dalle banche agli stati, dagli stati alle banche centrali che stanno estendendo i loro bilanci a quote di pil crescenti». Lo scoppio della bolla avrebbe «effetti tragici soprattutto in un paese come l’Italia, mandato in recessione da Monti».